1. Relazione sul documento del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace
Letto con interesse il documento “Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di un’autorità pubblica a competenza universale” del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace. Condivido molte critiche sui fallimenti e aspetti poco etici del capitalismo finanziario. Come l’aspirazione a qualche autorità globale di regolamentazione della finanza, visto che la finanza è globale.
Ma credo che la dimensione dei problemi sia anche diversa e per certi aspetti anche più preoccupante. La crisi finanziaria globale non è solo il risultato della visione ultraliberista (cioè: 1- i mercati deregolamentati si autoregolano da soli e 2- i nuovi strumenti finanziari consentono di suddividere ancora più il rischio, così che l’espansione del credito o della moneta bancario è virtualmente unbounded), della greediness degli operatori finanziari, solo dediti ad accumulare profitti o della concorrenza al ribasso delle autorità di regolamentazione nazionali. Tutto vero, ma non solo.
Un problema di fondo è che almeno in questa fase storica il capitalismo nei paesi avanzati non sembra più in grado di coniugare crescita e eguaglianza come ha fatto in passato. Esempi di successo, come gli USA o la Germania, sono stati caratterizzata da una crescita straordinaria della diseguaglianza, sia sul fronte dei redditi che della ricchezza. E sia per quello che riguarda i redditi da lavoro che da capitale (Saez, Piketty etc.).
Quindi la diseguaglianza in qualche modo precede la bolla finanziaria e forse quest’ultima è un risultato della prima.
Problema non solo economico, ma etico e sociale e politico. Le nostre società liberaldemocratiche non sono fatte per poter sostenere una disuguaglianza così forte. Forti rischi di inquinamento nel funzionamento del sistema politico. Anche da noi esempi, con l’uomo più ricco del paese che diventa presidente del consiglio. Dunque, diseguaglianza minaccia democrazia.
Perché maggiore diseguaglianza? Non è chiaro. Possibili candidati: 1) globalizzazione (pressione dei lavoratori stranieri sui lavoratori nazionali tradizionali) tramite il commercio e/o esternalizzazione di produzioni di massa; 2) sviluppi tecnologici, Internet, e la distinzione tra i lavoratori skilled che sanno usare queste tecnologie e gli altri.
La deregolamentazione della finanza e le politiche monetarie espansive in USA forse tentativo di soluzione a questo problema per sostenere la domanda aggregata (i ricchi e i paesi in crescita hanno maggiore propensione al risparmio) e suscitare il consenso (se non ti do reddito, almeno ti consento di indebitarti a costi bassi per finanziare i consumi).
Qui problema. La globalizzazione che ha aumentato la disuguaglianza nei paesi sviluppati, ma l’ha ridotta tra paesi sviluppati e non; centinaia di milioni di persone uscite dalla povertà. Dunque, è cosa buona.
Anche Internet e gli sviluppi tecnologici collegati a internet cosa buona; miglioramento qualità vita, minori pressioni sull’ambiente.
Dunque?
– E’ possibile che la formazione (tutti skilledworkers) possa aiutare, riducendo effetto tecnologico, ma richiede tempo e non ovvio funzioni. Forse non ci sono posti sufficienti per tutti. Problema serio per i paesi più indietro (noi).
– Tassazione su asset e redditi. Va certo seguita. Complicato senza accordi internazionali o qualche forma di residenttaxation (anche se ti trasferisci fuori continui a pagare qui). Tema su cui in Europa si potrebbe far molto.
– Un maggior coordinamento mondiale delle politiche economiche; i paesi emergenti devono spendere di più. Più facile a dirsi che farsi.
Non è dunque solo un problema di finanza, su cui oltretutto si è fatto poco. Ci vuole una riflessione e revisione del sistemamondiale complessivo; il coordinamento assicurato dai vari G-20 o G-7 o da istituzioni sovranazionali (IMF) non sufficiente. Qui suggerimenti da un alto magistero come quello della Chiesa cattolica possono giocare un ruolo essenziale nello spingere governi e opinioni pubbliche.
2. L’Europa
Ma almeno qui in Europa il problema non è solo la crisi finanziaria; o meglio, la crisi finanziaria è stata affrontata peggio che altrove, e se il problema non è ancora risolto altrove, da noi è molto peggio.
In Europa due crisi.
1) 2008-9 crisi finanziaria. Ha colpito tutti, più o meno nella stessa misura. Da noi (Italia) più che altrove perché paese già debole (ha smesso di crescere da 20 anni), perché pesantemente orientato su manifattura e export, che sono crollati durante crisi, e perché condizioni di finanza pubblica peggiori e dunque non si è potuto usare la leva fiscale per sostenere la domanda.
La risposta europea ragionevole. Dove possibile bilanci pubblici hanno sostenuto la domanda. Ma non si è affrontato il problema bancario, o ciascun paese lo ha affrontato a modo suo, senza ricapitalizzare le banche o facendosi carico dei debiti bancari. Da qui crisi di paesi anche con le finanze pubbliche a posto (Spagna, Irlanda). Di qui, commistione tra debiti bancari e debiti sovrani. I debiti privati sono stati socializzati.
La frantumazione del sistema finanziario europeo dopo la crisi dell’euro ha peggiorato la situazione rinazionalizzando i debiti e quindi rendendo più forte la commistione tra crisi bancari e crisi dei sovrani.
2) 2010-2012 crisi dell’euro, generata dal caso greco. Ha colpito solo i paesi dell’euro e in particolare i paesi della periferia (sud) d’Europa. Il caso greco (mancata soluzione di) ha generato aspettative di frattura dell’area (effetti di spillover sulla sostenibilità debito altri paesi); ciò ha generato fughe di capitali; per risolvere problemi (e per sollecitare risposte positive dai paesi + forti o sotto-forma di prestiti (ESM) o di libertà di azione concessa a BCE(OMT)), politiche di bilancio molto severe, che hanno aggravato la crisi e reso meno e non più sostenibile le finanze pubbliche.
Si osservi che questo è il contrario di quello fatto negli USA. Prima, si sono messe a posto le banche e si è sostenuto la domanda e i mercati finanziari con politiche monetarie non convenzionali. Poi, ora, con ripresa in corso, si sta cercando di mettere a posto le finanze pubbliche.
Perché risposta europea insufficiente?
Problemi NON risolti nella costruzione della moneta unica. Problemi tecnici (mandato BCE, mancanza di una unione bancaria, supervisione, soluzione delle situazioni di crisi, assicurazione sui depositi..), ma di fondo problemi politici. Manca sufficiente unità politica per sostenere la moneta; di qui, risposta insufficiente delle autorità europee.
Lenti passi avanti, sempre insufficienti. Forte condivisione dei meccanismi di coordinamento dei bilanci nazionali (sixpacks, twopacks, fiscal compact e riforme costituzionali sull’equilibrio di bilancio), ma poca condivisione della politica economica (procedure per squilibri eccessive senza denti). Introduzione della supervisione comune (delle grandi banche), ma non di un fiscal backstop comune o di assicurazione congiunta, che solo eliminerebbe la fuga dei capitali. Fondo salva stati, ma non europeo; soldi degli stati e gestiti dagli stati. OMT, ma non politiche monetarie non convenzionali. Ecc.
Dietro, problemi politici e istituzionali.
Duplice meccanismo di decisione in Europa, istituzionalizzato dal Trattato di Lisbona, dopo il fallimento della convenzione europea.
Metodo sovranazionale: Commissione-Parlamento-Consiglio, con controllo CEJ per materie comunitarie.
Metodo intergovernativo: Consiglio Europeo ( o euro summit) su politica economica, politica estera e difesa. Solo coordinamento tra gli stati; non ruolo o ruolo limitato altre istituzioni europee.
Decisioni crisi dell’euro: prese da assemblee di leader nazionali, legittimati solo da proprie opinioni pubbliche nazionali. Spesso decisioni che hanno portato a trattati intergovernativi nuovi presi al di fuori dai trattati europei (Fiscal Compact), proprio per limitare il controllo degli organismi europei.
In Europa non c’è nessuno che parla a nome dell’Europa, cioè legittimato a parlare a nome di una constituency europea.
Conseguenze:
1. Timing; decisioni tardive (too little too late). Leader nazionali contrattano prima di decider e hanno altre priorità. Forse non avremmo avuto crisi euro se decisioni su caso greco prese nel 201o invece del 2012.
2. Sub-ottimalità: in consessi intergovernativi, decide il più forte. Germania (Francia) su base propri interessi (sostegno alle banche creditrici invece che ai debitori) e filosofia economica (l’ordo-capitalismo e le regole fiscali).
3. Perdita di legittimità democratica. Le opinioni pubbliche risentono decisioni prese da governi di altri paesi. Perdita di legittimità istituzioni europee tipo Commissione, che implementa decisioni consiglio.
4. Regole eccessivamente complesse, non trasparenti e non comprensibili per i cittadini.
Soluzioni?
1) Uscita euro, unilaterale o collettiva, rischia di peggiorare la situazione e far fare passi indietro sia economici che politici. Pagherebbero soprattutto i poveri. Non è soluzione.
2) Ma restare non basta. Crisi non risolta. Politicamente, (e da qualche parte qualche paese (Italia?) potrebbe decidere comunque di ribaltare il tavolo). Economicamente, si rischia una deflazione perenne che renderebbe politicamente meno sostenibile la situazione.
Soluzione più sensata.
3) Migliori politiche economiche europee. Meno recessive, orientate su beni pubblici europei, integrazione mercati e fiscalità, più spazio al bilancio europeo, maggiore integrazioni su policies dove c’è ampio consenso (immigrazione, trasporti, energia etc.).
4) Ma politiche economiche endogene, dipendono da istituzioni.
Suggerimenti per riforme istituzionali nel senso di più legittimità e capacità decisionale.Non fantapolitica. C’è percezione di questo tra elites europee (il documento dei quattro presidenti del 2012 ne è prova) ma processo lento e non iniziato. Costoso agire per i leader nazionali.
Quali proposte.
1. C’è bisogno che dove si decide sull’Europa (Consiglio) ci sia qualcuno che possa parlare a nome dell’Europa e che sia legittimato a farlo.Ad esempio, un presidente direttamente eletto dai cittadini europei che contrasti i paesi. Per esempio, Presidente Unione o Commissione direttamente eletto dai cittadini, magari su base grandi elettori per stati. Esempio Barroso-Merkel su eurobonds.
2. Rafforzamento ruolo parlamento europeo, unico organismo che è legittimato a rappresentare i cittadini europei. Deve co-decidere su quello che fa il consiglio europeo anche su materie economiche. E impedire trattati esterni all’unione.
Questo aumenterebbe sia la legittimità democratica che la qualità delle decisioni, tenendo conto in modo più appropriato della pluralità degli interessi. Consentirebbe anche politiche migliori.
La crisi politica (l’emergenza dei partiti anti-euro), il referendum inglese (che richiede comunque di rivedere i trattati) , la vacancy della commissione (finché la nuova non viene eletta), offre ottima occasione a Italia durante presidenza europea per far avanzare una agenda di riforme istituzionali in Europa, che dovrebbe complementare le proposte economiche.
Ma un’ultima notazione. La critica alla politica economica europea non significa assolvere la politica economica italiana. Il paese è in queste condizioni perché non si è fatto nulla per decenni per rimetterlo in grado di funzionare. Il dividendo dell’euro largamente sprecato. Classi dirigenti incapaci e corrotte. Anche una politica europea migliore servirebbe a poco se il paese non si risistema, anche se il momento è ora più difficile (ma almeno c’è la percezione dell’esistenza di una crisi, prima del lento declino precedente). Non sarà mai la Merkel o la Commissione che affronta i problemi del mercato del lavoro, della giustizia, della corruzione, dell’istruzione, del credito etc. dove abbiamo accumulato paurosi ritardi. Tocca a noi.
Schema della relazione tenuta dal prof. Bordignon in data 10 maggio 2014.