FOIBE ED ESODO
Ogni avventura umana ci ricorda Claudio Magris, inizia con un esilio, una condizione drammatica. Il profugo vive una violenza,un senso d’incompletezza,una funambolica sospensione dell’esistere. Come trapezisti camminano in bilico tra due culture, sono gente di frontiera a cavallo tra due mondi diversi a cui sentono sempre di appartenere. Non sono solo “psicopatologie di frontiera” come le definisce lo scrittore e poeta croato Milan Rakovac, una delle voci fuori dal coro della retorica nazionalista e figlio di un eroe della resistenza istriana,Joakim Rakovac,ucciso su delazione. In un’affollata Sala Bevilacqua su iniziativa della CCDC, Cooperativa cattolico-democratica di Cultura, Valerio Di Donato redattore del Giornale di Brescia e autore del libro “IstrianIeri Storie di esilio”, ha sollecitato e introdotto nel vivo di un dibattito doloroso due voci, Rakovac e Fulvio Salimbeni docente di storia contemporanea nell’Università di Udine, studioso dei rapporti tra Italia e Slavia nell’Otto e Novecento. La riflessione proposta, “Foibe ed esodo, memorie divise di una tragedia nazionale”, parte dall’esigenza di un reale contraddittorio tra parte italiana, slovena e croata. Rakovac con il romanzo “Riva i druži” nell’83, ha narrato l’esodo di 350 mila italiani dall’Istria in conseguenza del Trattato di pace che cedeva l’Istria alla Jugoslavia.In un idioma ritmato da inflessioni venete, ha elencato cento modi multilingui di dire stupido in istriano. Un tentativo letterario per evidenziare quanto siano aberranti tutti gli “ismi”. “Esistono due culture affacciate sull’Adriatico, nazioni in contrasto che non s’incontreranno mai; croati e italiani si guardano con un fucile immaginario, scusate, sono uno scrittore non sono politically correct”. Ciononostante, ha proseguito il poeta, una riconciliazione,un’armonia va riconquistata per onorare i cadaveri di quelle gole carsiche. Le foibe sono come due binari paralleli ma, con testardaggine, dobbiamo riuscire a farle convergere; ecco perché la giornata del ricordo diventa un obbligo storico nazionale, il recupero di una storia collettiva. Si dovrebbero unire due memorie, con la volontà politica di creare quell’“Italia affratellata con gli slavi del Sud”, di mazziniana memoria. E’ proprio l’istituzione della giornata del ricordo, 10 febbraio,riporta lo strappo di una verità frammentata, in un secolo quello del 900, teatro di massacri spaventosi. Il prof.Fulvio Salimbeni citando Raul Pupo,massimo conoscitore del fenomeno delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata,osserva che la memoria non può che essere personale ma altresì rispettosa di quella altrui. E’ doveroso ricostruire la storia comune laddove la scuola dovrebbe rivestire un ruolo fondamentale per insegnare ciò che unisce. L’istituzione della giornata del ricordo è sicuramente servita a far conoscere uno dei capitoli più dolorosi e a lungo dimenticati ma attenzione che sia la memoria della Shoa, degli Armeni,dei Croati… ognuno rivendica un lutto privato. Chi è più vittima, chi ha sofferto di più? Salimbeni ha sottolineato quanto le interpretazioni storiche separate e divise in realtà tengano vivi i contrasti. Forse si dovrebbe istituire una giornata unica per fare i conti con il proprio vissuto senza il bilancio delle colpe altrui, scrivendo la storia a più voci, così come sono riusciti a fare Francia e Germania.
Ma com’è possibile, ha ricordato Rakovac che terre come Istria, Fiume e Zara, crogiuoli multietnici e mistlingui abbiano dovuto vivere la tragedia dell’esodo,delle torture,delle foibe quando nel XV-XVI secolo Venezia assicurava l’equilibrio e la serena convivenza tra i popoli. I poeti croati stampavano nelle tipografie veneziane e i Dogi imponevano lo studio delle lingue slave. L’armonia è morta con la morte della Repubblica Veneta. Il nazionalismo è stato la vera peste come la definì Stuparich. Ma al di là della storia politica e diplomatica, dei trattati, Salimbeni rivaluta la forza della memorialistica, le testimonianze di chi ha vissuto realmente “Amore e guerra”,perché è lì che si annida la vita.
Giornale di Brescia, 15 maggio 2010.