Giuseppe Luigi Spera

Tematiche: Biografie

CEDEGOLO, VIA NAZIONALE, 27

QUI ABITAVA

GIUSEPPE LUIGI SPERA

NATO 1895

ARRESTATO COME POLITICO IL 19.6.1944

DEPORTATO A FLOSSENBÜRG

ASSASSINATO IL 22.2.1945 A HERSBRUCK

Nato il 31 marzo 1895 a Margherita di Savoia, in provincia di Foggia, era residente a Cedegolo, in località̀ “Baste”, e in paese gestiva l’osteria “Novecento”, l’attuale “Bar Baraonda”. Era figlio di Antonio e Francesca Lopez. Sposò Maria Boldini di Saviore, con la quale ebbe due figli: Andrea, nato nel 1933, e Stefania, nata nel 1938. La moglie era cugina di Gino Boldini, una figura importante considerata “la memoria storica della Resistenza in Valsaviore”. Gino da carabiniere divenne infatti responsabile di polizia del gruppo di partigiani della 54a Brigata Garibaldi che, con l’appoggio dei cittadini e delle famiglie di Cevo e Saviore, contribuì in modo fondamentale alla liberazione del territorio dall’occupazione nazifascista. Giuseppe Spera aveva la passione del disegno, in particolare delle caricature, che siglava con “GS” e la data di esecuzione. Fu arrestato a Cedegolo il 19 giugno 1944 nel corso di un rastrellamento da parte di un gruppo di falsi partigiani appartenenti alla “Banda Marta”, un reparto di polizia speciale diretto dai tedeschi e legato alla brigata nera “Ettore Muti”. Si trattava di ex detenuti liberati dalle carceri con lo scopo di stanare i partigiani dai loro nascondigli e catturarli. Giuseppe fu condotto nel carcere di Cevo e poi in quello di Breno. Da quest’ultimo mandò una lettera alla moglie in cui emergono la sua forza d’animo e i metodi brutali utilizzati dai nazifascisti: “Venerdì̀ sono stato nuovamente interrogato e torturato bestialmente. Pazienza! Ho subito ancora e spero sia stata l’ultima volta”. Il 27 giugno 1944 da Breno venne trasferito nel carcere di Canton Mombello di Brescia, da dove inviò altre lettere alla famiglia. In una di queste scrive alla moglie che non sta più ricevendo sue notizie, che lo conforterebbero molto. Poi indica a Maria di non inviargli più pacchi e lette- re indirizzate a suo nome, ma a nome di un altro detenuto, meno controlla- to di lui. Chiede di poter ricevere cibo, soldi, dolci, formaggella, caramelle e un po’ di cioccolata, insieme a qualche sigaretta. Le scrive anche di inserire la sua lettera di risposta nel pacco insieme agli altri beni. Nel frattempo, Giuseppe continua ad essere torturato, ma nonostante questo non svela mai informazioni sul movimento di Resistenza della Val Saviore, ragion per cui il 10 agosto 1944 è condotto a Bolzano, dove rimane fino al 5 settembre, quando viene avviato al lager di Flossenbürg con il trasporto n. 81 tramite la Sicherheitspolizei (polizia di sicurezza) di Verona. Giunto a destinazione il 7 settembre, Giuseppe riceve il numero di matricola 21572 e viene classificato come “politisch”, ossia deportato politico, il cui simbolo è un triangolo rosso rovesciato cucito sulla giacca. Il 30 settembre è trasferito nel sottocampo di Hersbruck, dove muore il 22 febbraio 1945, per “causa non registrata” secondo alcuni documenti, per altri a causa di malattia. Quando la guerra si conclude, la famiglia invia telegrammi agli ospedali per chiedere informa- zioni nella speranza che Giuseppe sia sopravvissuto al campo di concentra- mento, ma non ottiene risposta fino a quando i medici dell’ospedale Porta Marina di Merano confermano la presenza di un Giuseppe Spera. Sfortunatamente non si tratta del loro Giuseppe, ma di un caso di omonimia: la moglie Maria offre al giovane scampato alla prigionia il pacco di vestiti por- tati per il marito. Soltanto a maggio del 1946 arriva alla famiglia la notizia della sua morte. Viene celebrata una messa a suffragio, in memoria di tutti i suoi sacrifici per difendere la sua terra e i valori di libertà e giustizia: “Egli è morto. Ma anche per lui l’Italia oggi vive e risorge a vita nuova”, disse Mons. Vittorio Bonomelli nell’orazione ufficiale.

Quando abbiamo conosciuto e approfondito la storia di Giuseppe Luigi Spera per poterne stendere la biografia destinata a questo opuscolo, ci siamo sentiti “toccati” da vicino, perché́ luoghi e persone coinvolti parlano anche di noi: delle nostre comunità̀ e dei nostri paesi, delle nostre montagne, dei nostri avi, dei valori e delle speranze dei nostri nonni…

Come eredi di quegli uomini, delle loro storie e dei loro valori, raccogliamo il testimone della Memoria da consegnare a chi verrà̀ dopo di noi, affinché́ non vada perso per sempre.

A cura degli studenti della classe 3a F Scuola Secondaria di Primo Grado di Cedegolo, Istituto Comprensivo Pietro da Cemmo, Capo di Ponte, coordinati dalla professoressa Stefania Bera. Si ringraziano i figli Stefania e Andrea, i nipoti Laura Chignoli e Massimo Spera, la nuora Giovanna Scaglia.