Nel cuore dell’estate bresciana è stato ricordato l’ottantesimo compleanno del professor Pier Vincenzo Cova. Credo che sia esatto scrivere che è stato solo ricordato, e non festeggiato, perché, conoscendone il carattere alieno da celebrazioni e da sottolineature encomiastiche, è facile immaginare che tra le mura domestiche sia prevalsa anche in questa occasione la linea della sobrietà nel ricordo. Posso aggiungere che lo stesso avvenne, all’esterno, al termine della sua docenza universitaria nella sede bresciana della Cattolica, quando ci vietò esplicitamente qualsiasi forma di saluto ufficiale e di ringraziamento.
Il traguardo anagrafico da lui ora raggiunto è comunque occasione per delinearne un profilo didattico e scientifico. E’ vero che la persona è molto nota nel mondo della scuola e della cultura, per cui alcune annotazioni parrebbero superfluee; tuttavia è opportuno fornire qualche cenno riepilogativo.
Pavese di nascita, dagli anni ’40 è divenuto bresciano per residenza e vi si è progressivamente radicato. E’ stato coinvolto nelle vicende belliche dell’ultima parte della Guerra, in momenti e situazioni che si rivelarono drammatiche, per non essersi presentato all’arruolamento imposto dalla Repubblica di Salò. Subito dopo quella esperienza militare, e dopo essersi laureato nel 1947, Cova si è dedicato all’insegnamento delle discipline umanistiche, iniziando dalle scuole medie di Palazzolo. E’ poi passato agli Istituti superiori, prima al Luzzago in città e quindi, una volta vinto il concorso per divenire docente di Letteratura italiana e latina nel Licei, all’Istituto (allora) Magistrale Veronica Gambara e allo Scientifico Calini di via Monte Suello. Col 1960 si è aperta l’importante fase della docenza al Liceo classico Arnaldo di corso Magenta, che è durata fino al 1980. Ma già da alcuni anni, e in contemporanea con l’insegnamento liceale, egli era stato chiamato all’ Università, prima a quella di Bergamo e poi alla Cattolica di Brescia: la disciplina professata è stata la Lingua e la Letteratura latina.
Nella sede bresciana della Cattolica, cioè nel palazzo Martinengo Cesaresco di via Trieste, Cova ha insegnato fino al 1996, a partire dalle fasi iniziali di vita della Facoltà di
Magistero, aperta sin dal 1965 come sede dislocata di Milano, poi in quella di Lettere, quando qui approdò nel 1993. Nel corso di quegli anni la sede bresciana della Cattolica ha subito radicali trasformazioni non solo legate agli spazi e agli ambienti, ma soprattutto alle funzioni culturali, al suo allargamento verso la città come centro di attività culturali, alla nuova strumentazione (si pensi all’introduzione negli Istituti dell’ateneo e nella biblioteca dei computers e di Internet). Si pensi poi alla trasformazione della tipologia e della mentalità degli studenti frequentanti (che erano e sono soprattutto studentesse, almeno al Magistero e a Lettere), alle nuove figure dei docenti e del personale tecnico e amministrativo. Di quel passato originario della Cattolica, Cova conservava (e credo che ancora conservi) una forma di nostalgia più o meno esplicita, tanto che, quando ne ha scritto un articolo per il "Giornale di Brescia", il titolo, anche se redazionale, ne rispecchiava fedelmente lo spirito: Quando l’Università non era cablata.
In totale, se congiungiamo l’inizio con la fine della sua carriera docente, si arriva a ben 49 anni dedicati alla scuola, nei suoi diversi ordini e gradi.
E da uomo di scuola, la sua attività si è esplicata innanzitutto nella produzione di testi di natura scolastica, soprattutto in raccolte di versioni dal latino e dall’italiano, come Fidus Interpres (1967), Interpretari (1968), Sententia verbis (1973), Lumen Linguae (1983) e Munus interpretis (1994). Sono volumi che spesso si trovano tuttora, devotamente conservati, nelle librerie personali di molti suoi ex-alunni, anche quelli che in altre città hanno studiato su questi libri, insieme alle raccolte antologiche curate da lui con Aldo Ragazzoni, come Laurus et arbusta, oppure con i collaboratori all’Università, come la Tappa iniziale. In questo campo ci sono poi le monografie curate da lui solo, come il commento scolastico al quindicesimo libro degli Annali di Tacito o al sesto libro dell’ Eneide, per la collana che in passato l’Editrice La Scuola aveva in questo ambito.
La collaborazione con La Scuola ha portato all’edizione anche di molti altri volumi, come le Voci oraziane, uscite nel 1993 come raccolta di testi di conferenze organizzate a Brescia dal Liceo Arici e dall’Università Cattolica, in occasione del Bimillenario oraziano; oppure collaborare con La Scuola Editrice ha significato partecipare (per un certo periodo) al Comitato direttivo della neonata rivista "Nuova secondaria", che viene redatta ed edita in via Cadorna e alla quale tuttora egli collabora. Anche alcune pubblicazioni di natura didattica sono stati il frutto di questo radicamento con l’Editrice La Scuola: penso, tra l’altro, al vecchio volumetto Il latino nell’Italiano, che risale al 1978, e ai più recenti Latino e didattica della continuità, del 1982, e L’Italolatino, che è del 1998. Se oggi sfogliamo il bellissimo Catalogo storico, curato da Luciano Pazzaglia e da poco edito da La Scuola Editrice nel centenario della sua fondazione (1904-2004), incontriamo quattordici volte il nome di Cova.
Ma per uno studioso sono soprattutto le pubblicazioni scientifiche a contare e probabilmente a essere più amate. Questo perché, per lui come per ogni specialista nei diversi campi, esse sono il frutto di un lavoro stratificato, fatto di acquisizione successive negli anni, quando le letture e gli approfondimenti consentono di arrivare a quella completezza di visione della materia, che una publicazione destinata agli addetti ai lavori richiede.
Cominciamo la rassegna scientifica con i due Plinii, quello detto il Giovane, studiato per il problema delle persecuzioni contro i Cristiani e per la sua critica letteraria, e il Vecchio, invece, per la concezione del lavoro e del progresso. Un autore normalmente ignorato a scuola, Frontone, che è un retore del secondo secolo d.C., è stato l’oggetto della pubblicazione del 1970 incentrata sull’opera intitolata Principia Historiae. Lo stesso Frontone è presente, insieme a capitoli su Virgilio, Seneca e Tacito, nel volume Lo stoico imperfetto, uscito a Napoli nel 1978. Come recita il sottotitolo, si tratta della ricerca di un’immagine minore dell’uomo nella Letteratura latina dell’ età imperiale, all’interno di quegli autori in cui le caratteristiche della filosofia stoica si misurano con realtà di tutti i giorni. In essi lo stoico non è solo il saggio perfetto, astrattamente superiore a sentimenti e passioni, ma conosce anche i limiti e le debolezze dell’ uomo comune, divenendo perciò lo stoico imperfetto.
Già si è detto di un volumetto uscito in collaborazione con gli assistenti e i lettori di allora all’ Università Cattolica. Frutto di quella fase editoriale a più mani sono anche alcuni testi editi presso Vita e Pensiero, uno ancora su Plinio il Vecchio (1986), un altro su Aspetti della paideia di Quintiliano (1990), e un terzo intitolato Letteratura latina dell’Italia settentrionale (1992). Da segnalare a proposito di quest’ultimo, che esso venne curiosamente recensito da un grande latinista come Alfonso Traina con un articolo che si apriva con le parole: "L’ombra della lega sulla Letteratura latina?". Ma di leghista non c’era proprio nulla, e l’equivoco nasceva solo dalla localizzazione settentrionale degli autori considerati (Plinio il Giovane di Como, Elvio Cinna forse di Brescia, il mantovano Virgilio e Cassio parmense). Sempre presso la stessa editrice milanese, Cova aveva pubblicato nel 1989 una monografia su Il poeta Vario e avrebbe curato nel 1995 la raccolta dei testi scritti in memoria di Virginio Cremona e usciti con il titolo Doctus Horatius.
Ma una sezione speciale va dedicata all’autore più amato e studiato nel corso della sua carriera, cioè Virgilio. A lui ha dedicato più di un saggio e molti articoli scientifici: compreso quello che uscirà tra qualche mese presso Vita e Pensiero, dedicato ad Achemènide, personaggio minore dell’ Eneide. Di rilievo, dopo il saggio su Otium e libertas del 1976, e quello su L’eticità del lavoro in Virgilio, uscito nei Commentari dell’ Ateneo di Brescia, sono l’antico studio su L’Omerismo alessandrinistico dell’Eneide, che risale al 1963, e soprattutto quello di Commento al terzo libro dell’Eneide, che coronava nel 1994 una lunga fedeltà all’autore prediletto. Mi piace ricordarne il significato, esposto in quel commento: il terzo libro virgiliano è il canto della riconciliazione tra i Greci e i Troiani, è il superamento di un passato di lotte feroci in vista di un comune futuro di pace nella nuova società, frutto della fusione tra i due popoli. Dal punto di vista scientifico, è forse questo il lavoro più noto: solo pochi giorni fa mi è capitato di conversarne a Udine, nel corso di un Convegno di latinisti, per i quali citare il nome di Cova significava ricordare soprattutto questa pubblicazione.
Sono sicuro di avere tralasciato molto e l’ho fatto di proposito, sia per la vastità degli ambiti professionali esplicati, sia per evitare un noioso elenco di titoli e di autori.
Mi piace concludere pensando alle innumerevoli schiere di studenti sia liceali sia universitari che egli ha avuto che, da tempo divenuti adulti, svolgono ora una professione nei più diversi campi. E se tra questi solo alcuni ne hanno seguito le orme nell’insegnamento, i più si sono dedicati ad ambiti lavorativi svariati, ricoprendo spesso ruoli e posizioni di prestigio in città e fuori.
In tutti è vivissimo il ricordo del suo insegnamento e, soprattutto, della sua figura morale sostanziata di correttezza esemplare e di forte del senso del dovere. A lui deve molto non solo la scuola bresciana, ma tutta quella parte di città e provincia che con lui ha avuto a che fare, per ciò che egli ha trasmesso e testimoniato.
Città e Dintorni, n.83/2004