New York, fine giugno 1967. Si riuniscono poco più di cinquanta persone – pastori protestanti, ebrei, un vescovo armeno nato a Gerusalemme e un cattolico – allo scopo di conoscere il punto di vista israeliano sulla situazione medio-orientale dalla viva voce del ministro degli Esteri, Abba Eban. Terminata l’esposizione di Abba Eban, il noto rabbino-filosofo Abraham Heschel propone di prolungare l’incontro, invitando i presenti a dire con tutta semplicità quali erano i sentimenti dei loro cuori, in che cosa gli uni si sentivano feriti dalle scelte e dai giudizi degli altri. Quel confronto fu appassionato e sincero. Chi parlò per ultimo ebbe a fare una sconcertante dichiarazione. “Lasciate che mi presenti, sono ebreo, sono prete cattolico; nato in Egitto, dove ho vissuto diciotto anni, sono cittadino israeliano. Porto quindi in me quattro identità: sono veramente cristiano e prete, liberamente ebreo e mi sento pure assai vicino agli arabi che conosco ed amo. Non è comodo, specie nelle circostanze attuali, mantenere queste quattro identità, spesso in lotta fra loro; e la tentazione di conservarne una sola, lasciando da parte le altre, è grande. Ognuno di esse è inevitabilmente inquinata da egoismo, parzialità, ristrettezza di spirito. No! Io devo accettare ognuna delle mie quattro identità e vivere la conferenza che deriva dalle tensioni interne fra esse”.
Chi aveva parlato così era Bruno Hussar, l’uomo dalle quattro identità. La sua vicenda personale egli stesso l’ha narrata con cristallina semplicità, sobriamente, nel bel volume Quando la nube si alzava (trad. it. Marietti), che in questi giorni è uscito in Francia in una nuova edizione accresciuta. Ed è ad esso che rimandiamo il lettore per ricostruire le tappe di una straordinaria avventura umana e spirituale che ha portato Bruno Hussar ad essere nel nostro tempo l’alfiere più efficace e persuasivo del riavvicinamento tra Chiesa cattolica ed ebraismo, da un lato, e dall’altro il profeta della riconciliazione tra arabi palestinesi ed ebrei in Israele. “Io sogno spesso ed è grazie ai sogni – confida Hussar – che ho potuto realizzare certe cose nella mia vita”. Il primo in ordine di tempo dei suoi sogni è stato ed è quello di far abbandonare alla Chiesa cattolica “l’insegnamento del disprezzo” nei riguardi degli ebrei che ha condizionato negativamente per troppi secoli la mentalità e i modi di comportamento di tante popolazioni cristiane. Il suo era un compito irto difficoltà accumulatesi nel corso di due millenni e la sua stessa posizione personale in Israele era esposta ad ogni sospetto: pur sempre di razza ebraica per gli ultrà delle confessioni cristiane in Israele, traditore perché convertito al cattolicesimo agli occhi degli oltranzisti ebrei. “Ripensando a quei primi sei anni in Israele ho l’impressione – ricorda Hussar – di aver camminato sulle uova cercando di non romperle: uova rabbiniche e uova ecclesiastiche…”.
Ma i frutti arrivarono, grazie anche alla comprensione che i suoi arditi progetti trovarono presso eminenti personalità ecumeniche, intellettuali preparati, come il domenicano Albert-Marie Avril e i cardinali “romani”, Agostino Bea ed Eugenio Tisserant. Nacque così la “Casa sant’Isaia”, il centro domenicano di studi ebraici e per le relazioni tra la Chiesa cattolica e il popolo ebraico; fu fondata, a sostegno della Chiesa cattolica ebraica in Israele, la cosiddetta “Opera san Giacomo” e numerose furono le associazioni ecumeniche ed interconfessionali a cui si diede vita in quegli anni. Tuttavia l’opera lungimirante e paziente dell’ebreo-cristiano Bruno Hussar concorse direttamente a conseguire un traguardo storico di altissima portata negli anni 1964-1965, nel biennio del Concilio Vaticano II, a cui il padre domenicano partecipò in qualità di esperto. Nella lunga, difficile battaglia per giungere a far votare dall’assemblea conciliare la celeberrima Dichiarazione sugli ebrei incorporata nella “Nostra Aetate”, Hussar fu direttamente coinvolto e la sua azione fu determinante: il 20 ottobre 1965 la Dichiarazione sugli ebrei fu votata con una maggioranza del 96%. Con quel fatto si cominciava decisamente a cambiare in senso evangelico una forma mentis e una prassi e si recuperava una grande verità: vi è non solo un “ecumenismo dei rami”, cioè per la reintegrazione nell’unità delle diverse confessioni cristiane, ma anche e in primo luogo un “ecumenismo delle radici”, tendente a ricostituire l’unità dell’albero, la Chiesa, nel suo insieme con la propria radice: l’ebraismo.
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La guerra dei Sei Giorni nel giugno 1967 gettò una viva luce sul carattere drammatico della situazione esistente tra Stato d’Israele ed arabi palestinesi. Come ben dice Hussar, “quel conflitto non è, come viene quasi sempre presentato, una lotta fra giustizia e ingiustizia, bensì un conflitto fra due giustizie”. E il dramma consiste in questo: ciascuno dei due popoli in lotta ha dei diritti su quella terra, ma nessuno dei due, almeno per bocca dei rispettivi rappresentanti, riconosce pienamente quelli dell’altro. Hussar condivide le scelte operate dal movimento “Pace adesso” e non si stanca di ricordare il principio solennemente proclamato nella Dichiarazione d’indipendenza dello Stato d’Israele: ”Conformemente alla visione dei Profeti, lo Stato d’Israele sancirà la perfetta uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi cittadini, di qualunque religione, razza o sesso”. Certamente Israele non può sottovalutare il problema della sicurezza, ma è un dato di fatto che ebrei e palestinesi debbono sapere di trovarsi di fronte a una scelta ineluttabile: vivere o morire insieme. Bruno Hussar vide allora che era impossibile ipotizzare una comunità di vita tra cristiani ed ebrei in Israele senza tener conto degli arabi, degli altri figli di Abramo che abitano su quella terra. Nacque così nel suo cuore il progetto di tradurre in realtà, in un angolo della tormentata terra di Israele, il versetto 32, 18 di Isaia: “Il mio popolo abiterà un Nevè Shalom” (oasi di pace). Un villaggio che divenisse segno di pace e scuola di pace, punto di incontro tra ebrei ed arabi d’Israele, dove tutti sono accolti e vivono del proprio lavoro, in uguaglianza e amicizia fraterna. Nevè Shalom è oggi l’unico luogo in cui i bambini arabi e i bambini israeliani parlano, cantano e giocano nelle due lingue del Paese, l’ebraico e l’arabo. Quale mirabile germe di pace per l’avvenire! “Sormontare ferite e pregiudizi – afferma Hussar – è sempre cosa assai ardua, ma la nostra ambizione è più alta. E’ di contribuire a preparare una nuova generazione di cittadini ebrei e arabi, maturi e responsabili, capaci di liberarsi dai miti e dalle manipolazioni politiche per risolvere i loro problemi in spirito di dialogo e fare la pace, cosa di cui i più anziani sembrano così incapaci”. A quanti lavorano per abbattere in concreto i muri della paura, della diffidenza, dei pregiudizi e per costruire ponti di rispetto e di reciproca amicizia tra uomini appartenenti a comunità etniche e politiche in conflitto fra loro va la commossa ammirazione, la solidarietà fraterna, la gratitudine di coloro che hanno a cuore la pace. Noi li onoriamo tutti attraverso l’omaggio che rendiamo a uno di loro, a Bruno Hussar.
Giornale di Brescia, 13.3.1989. Articolo scritto in occasione dell’incontro promosso dalla Ccdc con Bruno Hussar sull’esperienza di Nevè Shalom.