“I diritti del malato” è un problema che può avere uno sbocco parlamentare e giuridico. Sono già stati presentati infatti due disegni di legge, uno al senato ed uno alla camera, che, a prescindere dall’iter che potranno avere, indicano l’importanza che si dà, e che si deve dare, ad un problema di questo genere. Vi è poi una diffusa richiesta popolare riguardo i diritti del malato, se ne discute entrando e uscendo dagli ospedali ed è un problema che riguarda tutti. E’argomento che non è motivo di discussione disincantata ed è diventato anche un motivo di riflessione etica, perché la medicina ha sempre avuto a che fare con la filosofia e con l’etica, dal momento che, fin dai primordi, la medicina si è sempre confrontata con l’uomo: quindi è argomento di studio sia sul piano etico che giuridico e, su questo argomento, intervengono psicologi, politici, moralisti ed anche coloro che curano la pastorale sanitaria.
Innanzi tutto partiamo da una considerazione sociologica fondamentale, citando Lehmann, sociologo e filosofo della medicina: “Il sistema della medicina si vede esposto a due critiche: non sarebbe abbastanza umano e costerebbe troppo. Da entrambe le prospettive la critica è plausibile e difficile da confutare, finché non si sa quale umanità e quali costi rappresentino la giusta misura”.
E’ il dilemma attuale del sistema organizzativo della sanità: la giusta misura di umanità e di costi. Tenendo presente l’evoluzione attuale della società, questo dilemma porta in primo piano il problema del rapporto profondo tra malattia e salute, tra malato e colui che lo cura, il medico e tutto il personale sanitario. Le conseguenze sono evidenti : in primo luogo l’aspirazione alla personalizzazione della salute, così diffusa nel mondo, che ha ovvie ripercussioni anche sulla qualità dell’atto professionale di chi tutela la salute, del medico, dell’infermiere e di tutto il personale ausiliario. Da più parti si afferma che queste azioni non devono essere l’esercizio freddo di una tecnologia che, fatta una diagnosi, trovi poi di conseguenza automaticamente dei rimedi ad opera di personale robot, ma debbono costituire l’incontro tra due persone che si danno fiducia reciproca e che si sentono legate da una forte confidenza, quindi un incontro che va ben oltre la semplice coscienza professionale e non concerne solo l’azione del medico in senso stretto, bensì tutto ciò che è in relazione con la salute degli altri. Il primo effetto evidente è la necessità che si crei un vero rapporto di fiducia, di cui si fa tanto parlare, ma pochi esempi si possono osservare.
Il secondo effetto è quello dell’emergere di una nuova dimensione spirituale. Questa sfera spirituale mette in evidenza la personalizzazione della salute e il suo profondo dinamismo; essa infatti cammina parallelamente allo spirito di adattamento dell’umanità, la quale cambia il modo di crescere, di invecchiare, di guarire: quindi la salute è, nel suo dinamismo, in piena armonia con la storia personale.
Tutto ciò invoca la riconciliazione dell’uomo con il proprio destino nell’ambito di una considerazione più naturale della propria salute. Non basta dunque recare sollievo e cura, ma bisogna anche cercare di integrare, nella maniera più serena possibile, la propria umanità con la consapevolezza della morte. In tale senso servire nella sanità significa lavorare per l’umanità riscoprendo nella medicina il suo significato più antico, cioè l’aspetto sacro che la contraddistingue. E’ la sintesi di studiosi come Lehmann, che hanno considerato il lato spirituale e dinamico della medicina: questa spiritualità della malattia e della salute è il fondamento della società cristiana. Per essi, la nostra civiltà occidentale attraversa il dramma etico dell’indifferenza, se non della mancanza di tenerezza e d’amore. Questo è grave perché un mondo senza amore non è umano anche se va alla ricerca di una più puntigliosa giustizia. C’è il rischio di creare una società senz’anima che a contatto quotidiano con gli isolati, gli emarginati, gli handicappati rende più gravosa sia l’esistenza di questa povera gente, sia il servizio sanitario stesso. Questo è il rischio che si può correre ed è il diretto risultato della tecnologizzazione che rende i rapporti umani superficiali ed epidermici.
Sono considerazioni di origine sociologica e morale che giustificano il perché si è iniziato a parlare, in ambito non solo sociale, di diritti del malato, di tutela del malato e soprattutto di condizioni di degenza.
E’ opportuno affrontare il problema prendendo spunto in primo luogo dalle sue origini storiche: come nasce la questione sui diritti del malato? Secondariamente dalle cause che hanno reso meno umano il rapporto medico – paziente.
Il concetto di diritti del malato è antichissimo e già al tempo della medicina ippocratica se ne sente parlare: siamo immersi qui nella cultura greca e questa medicina sicuramente deriva da una precedente scienza medica, se pur con un salto di qualità che è l’uscita dal magico verso lo spirituale. Nella medicina ippocratica viene privilegiato lo studio del comportamento che il medico deve avere di fronte ad alcune sintomatologie, e vengono resi espliciti alcuni casi in cui il comportamento è obbligato perché l’esperienza lo insegna e lo vuole, mentre sono citate altre circostanze in cui il comportamento è opzionale. Pertanto ci si affida ad un comportamento prudente basato sull’esperienza e viene così messo in luce un importante comportamento epistemologico: il dubbio. In Ippocrate il malato è passivo di fronte al medico curante. Egli è una prosecuzione, a livello operatorio, del dovere terapeutico del medico curante: “Se tu farai così procurerai la salute del malato”. E’ l’inizio della deontologia. L’esperienza concreta corretta dal dubbio impone in primis il dovere del medico.
A volte appare una seconda formula: “Se egli farà queste cose presto guarirà”. Ciò è il rovescio della medaglia perché si lascia al malato l’arbitrio di fare o meno certe cose, quindi si propone il principio della libertà del malato in base al diritto che egli ha di provvedere alla propria salute: pertanto il malato è proprietario della sua salute e discute con il medico se accettare o meno una determinata cura, ed ecco che nasce il principio del consenso; sono tutti concetti che si ritrovano nella formulazione più moderna del problema dei diritti del malato.
Il concetto di consenso informato è fondamento di uno dei diritti del malato e da esso discende il concetto di consenso fiduciario, causa prima del degrado dei rapporti tra medico e paziente. Tecnologizzazione e burocratizzazione hanno allontanato il medico dal paziente, e vengono poste due cause fondamentali per spiegare il fenomeno: una è l’insufficiente educazione deontologica e formativa che un medico ha, uscito dall’università dove ci si preoccupa eccessivamente del nozionismo anziché delle modalità di erogazione delle cure; la seconda causa è l’istituzionalizzazione del sistema mutualistico che ormai da decenni ha sostituito la medicina clinica.
Il primo fattore si può recuperare attraverso una revisione del curriculum degli studi, e si stanno facendo sforzi in questa direzione. A parte ciò, ci possono essere dei metodi aggiuntivi di formazione del personale, e qui subentrano tutte le proposte dei comitati etici circa non solo la consulenza, ma anche l’insegnamento a tutto il personale sanitario.
Riguardo il secondo fattore, certamente il sistema mutualistico ha provocato uno strano fenomeno di competizione sociale tra i medici che, dopo lunghi e faticosi studi, dopo aver superato vari concorsi, finalmente giungono a sedersi in un proprio studio e tutti i loro sforzi sono tesi allora a raccogliere i frutti delle fatiche precedenti. Ciò porta il medico a non curare più la qualità della propria professionalità e a diventare vassallo del paziente nel momento in cui compila ricette acriticamente, ma abbondantemente. Si è cercato di ridimensionare questo fenomeno per mezzo di controlli, da parte di équipes specializzate, delle capacità diagnostiche del medico.
Un altro fattore molto importante è l’incremento del lavoro burocratico. La mutualistica ha provocato un aumento delle prestazioni che sono assicurate al paziente anche se non è malato, secondo un’ottica preventiva della salute.
Di conseguenza il medico è stato distolto dal lavoro clinico e dal rapporto con il paziente, e ciò vale soprattutto per una medicina di base extra mutualistica dove il medico è indotto a guardare più alla burocrazia che all’ammalato. Inoltre ha forse prodotto un allentamento del rapporto interpersonale l’aumento continuo dei ricoveri ospedalieri, perché esso viene a massificare l’ammalato, soprattutto là dove la mancanza della tutela familiare provoca l’abbandono dell’ammalato stesso. L’ospedalizzazione massiva può essere necessaria e vantaggiosa, ma quando è provocata da fattori di comodo diventa elemento di dispersione non solo per il funzionamento del sistema, ma anche per il rapporto interpersonale. Qui si innesta un’altra componente più complicata da valutare: l’ansia che ha ogni cittadino per la paura di non ricevere cure adeguate a domicilio e per la sfiducia nei soccorsi immediati, dal momento che, per quanto si organizzino ambulanze ed elicotteri, sussistono sempre difficoltà di intervento. Quindi bisogna trovare la giusta misura tra le esigenze di umanizzazione e i costi. C’è poi un altro fattore che viene annoverato tra le cause di disumanizzazione ed è la tecnologizzazione. Tuttavia bisogna stare attenti a fare affermazioni demolitive perché senza il progresso tecnologico non si sarebbero potute raggiungere molte conquiste, quali l’allungamento della vita media, la guarigione da alcune malattie, l’assistenza adeguata. Certo il progresso tecnologico non ha infinite possibilità: si è convinti che non si possa puntare tutto sul progresso, tuttavia è anche vero che senza lo sviluppo tecnologico biomedico non si otterrebbero certi risultati; ciò che è importante è non restare ingabbiati nel progresso tecnologico, perché la società sarebbe esposta a molti pericoli: se prevalesse l’ottica dell’autoalimentazione del progresso tecnologico come fine a se stesso, ciò porterebbe infatti ad un’enorme diminuzione di moralità e al crollo della società. Ci sono dunque dei limiti da assegnare al progresso. Il primo è quello riguardante la qualità del materiale a disposizione: tipi di apparecchiature, durata, costi, beneficio, e questi sono limiti documentabili che pesano molto sull’organizzazione sanitaria. Limiti più delicati derivano da indicazioni e controindicazioni per l’uso di determinate tecniche biomediche: quali soggetti sono idonei ad un determinato trapianto di organo, quali possono ricevere un cuore artificiale, quali possono essere sottoposti ad eventuali terapie genetiche? Poi ci sono i limiti imposti da motivi etici ed allora bisogna trovare i fondamenti della medicina, perché esiste la medicina. Essa, finché ha assunto il significato di una terapia diretta e restaurativa delle condizioni patologiche dell’uomo, non si è mai posta problemi di tipo etico, dove diventa più opinabile è quando non si limita ad un restauro di menomazione o malattia ma in qualche modo introduce altre dimensioni, per esempio di tipo aggressivo, esercitando sul soma e sulla psiche del malato un’attività che va ben oltre il semplice restauro fisico. Tutto ciò fa da cappello al problema del rapporto medico malato, e dei diritti del malato come fatto giuridico a sé stante. Sono due problematiche che non possono essere separate, perché esiste quasi una dimensione speculare dove esiste un diritto- dovere del curante e del malato. Se durante l’epoca ippocratea il rapporto deontologico del medico prevaleva, era perché la storia dava questa indicazione, mentre ora la storia dà un’indicazione di equilibrio fra le due dimensioni. Bisogna dire che ciò non è tanto tacitamente accolto dal mondo medico e che una delle difficoltà maggiori sta nel convincere i medici che l’affermazione giuridica dei diritti del malato non significa scavalcare la deontologia medica, bensì mettere in discussione la responsabilità e l’autonomia del medico, quindi i suoi diritti e doveri. Questo è uno dei punti più delicati che si incontrano nella discussione: cioè, fino a che punto ci sentiremo accusati di avere inficiato un concetto secolare quale il rapporto medico paziente, inteso però come fatto unico? Si pone la domanda se dando delle norme giuridiche scritte a tutela dei diritti del malato non si ottenga l’effetto paradosso, cioè l’indebolimento della responsabilità del medico nei confronti del malato. La deontologia può essere, se correttamente applicata, un mezzo di umanizzazione della medicina: si tratta infatti di un complesso sistema di regole in parte legislative, in parte deontologiche, che indicano il dover essere, la maniera di porsi, e disciplinano l’esercizio medico.
Da lungo tempo la professione è regolata da codici deontologici che traducono in scritti norme che si sono confermate nei secoli. Da quando è emersa la professione medica come arte liberale, proprio nel momento in cui tutti i paesi europei e gli USA stavano nascendo nell’800, essa è nata come istituzione statale. E’ lo stato che garantisce l’assistenza medica facendo un patto bilaterale: lo stato riconosce la competenza di esercitare la medicina e il medico si assume il compito di curare il paziente esercitando in esclusiva la medicina. Questa istituzionalizzazione è recente, infatti prima era un’arte libera ed esisteva la figura del medico condotto. Anche la codificazione delle regole è recente: non sono state introdotte leggi dallo Stato perché non si è ritenuto opportuno farlo, si è infatti preferito un rapporto più elastico che prevede l’esercizio della medicina garantendo cure a tutta la popolazione, accanto ad una autoregolamentazione della categoria. Quindi questi codici sono nati come espressione di norme professionali accettate dallo Stato. I codici sono svariati e vengono periodicamente rivisti, quello attualmente in vigore è del ’78; tuttavia determinati presupposti rimangono costanti perché rappresentano i principi etici su cui si basa la medicina. Un altro fatto si è verificato nei paesi modernizzati dove si è sviluppato un servizio sanitario positivo con norme di legge riguardanti alcuni settori della medicina: soprattutto con la socializzazione della medicina, prima con il sistema mutualistico, poi con la medicina sociale estesa a tutta la popolazione, si è affiancato al codice deontologico un codice sanitario, per cui casi dove un medico si trova di fronte ad un’interruzione di gravidanza sono regolati da una legge. Ugualmente si faranno leggi che regolino i trapianti di organi. Ciò dimostra la tendenza a sostituire norme di codici propri della professione con leggi statali. Ecco da cosa scaturisce anche la tendenza a costruire un disegno di legge che regoli i diritti del malato. Come nasce questa tematica giuridica dei diritti del malato? Il legislatore deve affermare dei diritti che come tali sono esigibili e fonte di gratificazione e punizione, altrimenti non saremmo di fronte ad una legge. Il problema dei diritti del malato ha origine dopo la seconda guerra mondiale di contro alla constatazione di un manipolo di medici che al servizio del regime utilizzavano i malati e i prigionieri come cavie.
Questa è l’origine storica del problema che nasce parallelamente alla necessità di applicare, e codificare, i diritti fondamentali inalienabili dell’uomo, della persona, anche ai casi di sperimentazione clinica su persone sane o malate.
Scaturisce così una serie di norme generali e di significativi articoli a cominciare dall’assemblea delle Nazioni Unite del 1948, poi vi è la convenzione nazionale relativa ai diritti economici, culturali e sociali del ’66 che raccomanda ai paesi membri di provvedere nella maniera necessaria affinché ognuno possa usufruire di servizi che garantiscano il miglior stato di salute fisica e psichica, ed infine la soluzione dell’organizzazione mondiale della sanità del ’70 che prescrive il diritto all’assistenza sociale per mantenere lo stato di salute. Importanti inoltre nel ’76 le raccomandazioni dell’assemblea del Consiglio d’Europa sui diritti dei malati e dei morenti, proclamate come vere e proprie raccomandazioni ai ministri dei paesi della CEE perché fossero poi trasformate in legge. Infatti è così che agisce il Consiglio d’Europa: raccomanda ai vari paesi di tener presente una migliore e più specializzata cura della preparazione del personale sanitario in modo da poter assicurare ai malati ospedalizzati o curati a domicilio di essere sollevati dalle sofferenze nella misura in cui lo permettono le conoscenze mediche attuali; sottolinea anche il diritto dei malati di essere informati completamente sul loro stato di salute e, in caso di accesso in ospedale, sul funzionamento e sull’attrezzatura medica presente nello stesso e sull’uso terapeutico che eventualmente se ne potrà fare sulla sua persona a scopo terapeutico. Inoltre i malati terminali, e non, hanno diritto all’assistenza psicologica per prepararsi all’idea della morte, quindi è necessario predisporre l’assistenza necessaria a tal fine, facendo appello non solo a personale sanitario come medici e infermieri, che a tal fine dovranno avere una preparazione adeguata, ma anche a psicologi, psichiatri, ministri del culto. Quindi sono prevedibili commissioni altamente specializzate che prendano in considerazione il trattamento dei morenti fissando principi di orientamento medico nel caso di utilizzo di apparecchiature per il prolungamento della vita. Queste commissioni devono esaminare le sanzioni previste da leggi civili e penali a cui si può trovare di fronte un medico allorché abbia rinunciato a prendere misure artificiali di prolungamento del processo di morte in malati la cui agonia è già cominciata e la cui vita non può essere salvata allo stato attuale della conoscenza medica, o quando sia intervenuto con provvedimenti miranti a calmare la sofferenza di tali malati, ma suscettibili di avere un processo secondario sul processo di morte; queste commissioni dovranno poi porre l’attenzione sulle dichiarazioni scritte e rilasciate da personale giuridicamente capace che impediscono di prolungare la vita di persone che presentano irreversibili lesioni cerebrali.
Viene raccomandato di creare anche commissioni particolari per analizzare denunce e reclami contro il personale sanitario per errori o incompetenze professionali e ciò senza pregiudicare i tribunali ordinari; tutte queste precauzioni e provvedimenti devono confluire in relazioni da far pervenire al Consiglio d’Europa per armonizzare i criteri sui diritti dei malati e le sanzioni giuridiche e tecniche per garantirli. Questa è una solenne dichiarazione di invito a tutti i ministri dei paesi della CEE per raggiungere una soluzione di tali problemi. Qualcosa in Europa si è fatto e la Francia ha stabilito una specie di comitato etico nazionale che studia varie questioni. Qui in Italia non si ha nulla di ciò ma ci si è limitati a costituire commissioni per lo studio di casi particolari: per esempio la commissione Stefanini per i trapianti, la commissione per la genetica medica e le manipolazioni embrionali: sono commissioni costituite ad hoc che in qualche modo tengono presenti le raccomandazioni del Consiglio europeo, ma che non possono avere una visione generale dei problemi e non possono dare istruzioni per risolverli. Questa riflessione è poi andata avanti ed è nata la “Carta dei malati” adottata dal Comitato ospedaliero della CEE il 9 maggio ’79. I punti fondamentali sono:
1° ogni individuo ha diritto di fruire delle cure mediche in strutture ben organizzate
2° si riconosce al malato il diritto all’autodeterminazione, all’informazione e alla protezione della sua vita privata
3° la libertà religiosa e filosofica.
Il malato ha il diritto di essere curato nel rispetto della propria dignità umana, di assumere tutte le decisioni suscettibili di produrre conseguenze sul suo benessere e di essere informato di tutti gli aspetti del suo stato di salute.
Vi sono poi tutta una serie di regole giuridiche del settore sanitario (Strasburgo 1984): si dice che ogni intervento a carattere preventivo, diagnostico, terapeutico o riabilitativo, deve rispettare la dignità, la privacy, le convinzioni filosofiche e religiose del malato; il medico deve astenersi dal discriminare i pazienti per motivi di razza, di sesso, di religione, di appartenenza politica, di origine nazionale e sociale, di appartenenza a minoranze etniche; il trattamento medico non può essere effettuato senza il libero e consapevole consenso del paziente.
Finalmente è arrivata la guida europea di etica del comportamento professionale del medico che è stata adottata dal Consiglio internazionale dell’ordine dei medici nell’80 parallelamente al trattato di Roma sulla libera circolazione dei medici nei paesi della CEE. Ciò ha imposto la garanzia di equipollenza dei titoli di studio e dei principi deontologici ed ha imposto, in tempi più recenti, i principi di etica medica europei approvati dalla conferenza il 6 gennaio ’87. Le varie costituzioni, le varie leggi nei vari Stati, già proteggono molto la salute.
Di fronte a queste premesse generali ci si muove per raggiungere delle conclusioni. Al senato è depositato un disegno di legge: “Norme per la tutela dei diritti dei malati in condizioni di degenza ospedaliera”, e un altro: “Riorganizzazione dell’assistenza neonatale e norme per l’assistenza del bambino ospedalizzato”. Il primo prende in considerazione la ristrutturazione degli ospedali e la miglior qualità del servizio da dare agli ammalati: è un argomento importante ma non è specifico per i diritti del malato. Il secondo riguarda un settore molto importante perché i malati più delicati sono i bambini che hanno bisogno di particolari previdenze anche sul piano psicologico: il bambino, per esempio, non deve essere emarginato dalla famiglia, ed ecco dunque l’apertura ai parenti. Anche alla camera dei deputati è depositato un disegno di legge: “Norme per la tutela dei diritti dei malati a degenza ospedaliera” che equivale a quello in senato. Questo disegno di legge comprende norme di carattere generale, di regime di ricovero nelle strutture assistenziali pubbliche e convenzionate, e norme di attuazione. Si tratta di tre titoli diversi. Il primo comprende la tutela dei diritti dei malati: il diritto all’informazione, il consenso degli aventi diritto, l’accesso alle prestazioni di volontariato, l’assistenza religiosa, psicologica, sociale, con particolare riguardo ai lungo degenti e agli anziani. Il secondo titolo riguarda le condizioni di degenza e i rapporti con i familiari e gli esterni, il sostegno psicologico e la presenza della madre accanto ai neonati, l’assistenza al bambino di lunga degenza pediatrica, l’istruzione scolastica, l’assistenza ai malati terminali e ai moribondi.
Il terzo titolo comprende gli interventi esecutivi, cioè quello che devono fare la regione e i comitati etico deontologici, i problemi della responsabilità personale e assistenziale. Vale la pena analizzare quali sono i diritti sanciti. Al malato, proprio per le sue condizioni psicofisiche, devono essere garantiti i diritti inalienabili di cui gode una persona: il diritto alla vita, alla salute, alla libertà, alla riservatezza, all’identità personale e religiosa; sul suo cadavere solo la legge può prevedere come ci si deve comportare di fronte al consenso o al dissenso, o alla mancata espressione sulla donazione degli organi. E’ obbligatorio per tutte le istituzioni pubbliche e private attenersi ai principi generali della legge. Si iniziano quindi ad evidenziare questi diritti. Il diritto all’informazione è esplicitato a cura dell’ufficio di accettazione al momento del ricovero; al malato deve essere consegnato un opuscolo informativo che contiene l’elenco dei servizi e dei presidi, i numeri telefonici più importanti, la via di accesso ai mezzi di trasporto, la numerazione dei servizi di cui può usufruire il malato: assistenza religiosa, scolastica, volontariato, bar, psicologi sociali, posta, biblioteca, sale di svago, televisione. ecc., ed ai loro familiari i reparti che effettuano servizio di day hospital, le modalità attraverso le quali viene attuata la disciplina, l’oggetto delle attività ambulatoriali, l’iter da seguire per la documentazione d’amministrazione, gli orari, le norme di carattere igienico e organizzativo che devono essere da tutti rispettate per la salvaguardia di ricoverati e visitatori. Inoltre è necessaria la descrizione delle diverse categorie di personale in modo da permettere il riconoscimento: tutto il personale deve portare una targhetta con nome e cognome; in ciascun servizio di diagnosi e cura i responsabili devono designare un componente incaricato di ricevere i parenti o chi si prende cura dell’ammalato; inoltre il medico di base ha la facoltà di prendere contatto con il malato e con il medico specialista.
Il concetto di consenso prevede che tutti gli atti terapeutici devono essere effettuati con il consenso del paziente tranne i provvedimenti sanitari obbligatori o in stato di necessità, quando il paziente è in pericolo di vita o di grave menomazione permanente. Tutto ciò indica l’aspetto speculare dei compiti e della deontologia professionale, ma il significato è puntualizzare anche ciò di cui ha diritto il malato e non solo ciò che deve fare il medico. Inoltre è necessaria l’informazione in termini esaurienti sull’utilità e sui rischi che possono derivare da ricerche diagnostiche o terapie cosiddette sperimentali o ad alto rischio. Si devono considerare anche tutte le problematiche di genitori di minori che prendono decisioni in loro vece. Poi vi sono i problemi più delicati di ricerca sperimentale scientifica, ecc.
Il volontariato è un altro aspetto molto importante. Nasce con la legge 833 la possibilità da parte del malato di usufruire del servizio di volontariato. Se il malato, anche ospedalizzato, lo richiede, ha diritto ad avere accanto a sé una determinata persona che offre un servizio di compagnia; si tratta quindi di un diritto e non più di un regalo che viene fatto dall’ospedale.
L’assistenza religiosa è un servizio assicurato dalla legge, ma non altrettanto viene fatto per l’assistenza psicologica e sociale. In particolari situazioni esistenziali l’aiuto che può dare un’assistenza psicologica è determinante ed in grado di superare condizioni di abbattimento, depressione ed anche di preparare all’esito.
Le condizioni di degenza è l’aspetto della legge che riguarda i doveri del malato nei confronti dell’organizzazione, che non consistono solo nel buon comportamento, ma anche nella collaborazione per il buon funzionamento della gestione dell’ospedale. Si stabiliscono i reciproci rapporti di doveri: un esempio può essere il ricevimento dei parenti solo in precisi orari di visita. Il disegno di legge porterà tutti gli ospedali a munirsi di un regolamento per fissare più chiaramente i rapporti reciproci.
L’assistenza alla maternità e al neonato: sono importanti la psicologia della gestante e l’assistenza al bambino che non implica solo il tenerlo il più vicino possibile alla madre, ma il creare attorno a lui ambienti adatti, magari per l’avvicinamento ai coetanei.
L’istruzione scolastica in casi di lunga degenza pediatrica: il provveditore deve farsi carico della responsabilità di procurare a bambini in lunga degenza maestri disponibili per la loro istruzione.
L’assistenza ai malati terminali e ai moribondi: questo articolo ha creato enormi problemi riguardanti la strumentalizzazione. Inoltre è naturale il confronto con l’articolo sull’eutanasia per cercare di formulare un articolo unico. Ai malati in fase terminale devono essere apportati i trattamenti di ordine sanitario proporzionalmente al suo stato di salute clinica, quindi devono essergli assicurate assistenze religiose e psicologiche e la vicinanza dei familiari. In particolare ai moribondi deve essere assicurata la continua vigilanza dei parenti anche attraverso il trasferimento in una camera singola del reparto. Questo articolo non ha nulla a che vedere con l’eutanasia, perché dire “procedimenti proporzionati allo stato di salute clinica” è solamente ribadire il concetto fondamentale della medicina secondo cui ogni atto medico deve essere proporzionato a tre parametri fondamentali: indicazioni, contro indicazioni, condizioni permettenti; questo è il criterio di giudizio del medico. Inoltre è anche da curare il metodo di organizzazione sanitaria regionale con sondaggi che ogni regione deve predisporre per venire a conoscenza del grado di soddisfazione e insoddisfazione degli utenti. Sono tutte norme che dovrebbero concorrere alla umanizzazione delle strutture e delle cure; si devono prevedere poi anche norme di sollecito all’aggiornamento del personale medico e di quello impegnato nel servizio di ricovero e cura, al fine di rendere esecutiva la legge sui diritti.
Si perviene ora alla sostanza più moderna del discorso: i comitati etico deontologici.
Anche se esistessero leggi e comitati che proclamassero i diritti dei malati e poi non prevedessero sanzioni specifiche, essi non sarebbero operativi. Ci sono già degli strumenti sanzionatori: il ricorso agli ordini quando vi è un problema di tipo deontologico, il ricorso alle strutture amministrative quando il problema tocca l’amministrazione, inoltre vi è il pretore o la denuncia alle autorità giudiziarie nei casi limite. Quindi non si tratta di rinnovare il diritto civile o penale, tuttavia vi può essere una situazione intermedia non prevista che potremmo chiamare promozionale: si tratta dei comitati etici. I temi sono tre e girano uno dentro l’altro: prima di tutto l’umanizzazione degli ospedali, poi il sostegno e la valorizzazione dei diritti dei malati per un maggior rispetto del malato stesso, infine il comitato etico visto come organo di tutela e controllo di questi diritti.
Il problema dei comitati etici nasce nel mondo anglosassone ed ora si sta affrontando anche qui da noi. I comitati etici sono nati negli USA per i casi limite come eutanasia ecc., hanno quindici anni alle spalle e una loro formazione propria. Furono permessi anche dall’allora presidente per cercare di dare una base oggettiva a valutazioni etiche, e non solo di etica cattolica, ma anche di etica naturale. In tutti i procedimenti medici esistono delle differenze e anche questi comitati hanno preso due vie diverse.
Una è quella dei comitati centrali nazionali che danno delle linee guida su come operare; per esempio in Francia un comitato di questo genere lavora già da tre anni su tutti i problemi biogenetici, in Inghilterra un comitato simile si sforza di rendere centrali e nazionali una serie di opinioni comuni emerse da équipes di biologi, psicologi, moralisti. Tuttavia sono indicazioni di massa e si fermano a bei concetti e alla firma di eloquenti documenti.
La seconda via è data invece da comitati etici decentrati o ospedalieri; questi dovrebbero essere istituiti in tutti gli ospedali di grosse dimensioni con il compito di dare un aiuto o essere una struttura di supporto per le decisioni difficili in medicina, perché su ogni singola decisione ci può essere un fattore etico più o meno forte. Anche somministrando una compressa di aspirina posso trovarmi di fronte ad un problema etico se non ho chiesto a quella persona se è allergica al farmaco. Ovviamente il dovere o meno di staccare l’ossigeno ad una persona attaccata al respiratore mi trova di fronte ad un problema di ben altra dimensione.
Alcune organizzazioni sono fortemente contrarie all’istituzione dei comitati etici, infatti dicono che in questo modo viene tolta la responsabilità del singolo medico curante perché viene indebolita dalla decisione e dalla politicizzazione dei comitati. Sorge quindi il problema concreto di come il comitato etico venga posto e di chi ne entri a far parte , e quindi unitamente di quali siano i compiti da svolgere e affrontare, perché, se questi comitati devono essere strutture di supporto a titolo di consiglio per discutere e far emergere problematiche di tutti i tipi compresi i diritti dei malati e dei familiari, allora ben vengano, ma se debbono diventare strutture decisionali che emanano un verdetto da far divenire esecutivo, allora non va bene perché così veramente si toglierebbe la responsabilità al singolo curante. Quindi il dibattito è aperto, per il momento si è detto che deve esistere un’etica ben definita come quella che esiste in ospedali cattolici dove i medici sono bene o male coerenti a certi valori: allora si possono creare dei comitati etici a titolo sperimentale per analizzare la funzionalità e l’utilità anche a livello di informazione sulla bioetica. Su questa linea l’Università Cattolica si è già mossa.
Problema delicato è anche quello della sperimentazione clinica e sono state prese in considerazione soprattutto le sperimentazioni dei farmaci, individuando anche la necessità di un comitato che stabilisca l’utilità o meno della ricerca, l’esistenza delle condizioni che permettano di fare la ricerca in determinate strutture e quali siano le tutele messe in atto sul paziente su cui si esperimenta. Non si può fare a meno della ricerca e non tutto può essere sperimentato sugli animali, ecco dunque la possibilità di un comitato che definisca i programmi di ricerca.
Sono queste le tematiche di un problema aperto: si tratta di un problema culturale e operativo perché, se fosse solo culturale, ci si limiterebbe a dibattiti che non porterebbero mai all’umanizzazione della medicina e non si ristabilirebbero i rapporti giusti tra medico e paziente. Solo rispettando la dignità dell’uomo si potrà avere una società più umana.
NOTA: testo, non rivisto dal’Autore, della conferenza tenuta a Brescia su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura il 9.3.1987.