Per quanto possa sembrare incredibile, chi era vissuto negli anni del fascismo, di Gramsci o di Sturzo, non sapeva nulla. Anche Bobbio, che pure è nato a Torino ed è della classe 1909, ha “scoperto” Gramsci solo negli anni fervidi successivi al 1945, attraverso la pubblicazione delle Lettere dal carcere prima e poi dei Quaderni. In effetti, al di là della martellante utilizzazione in sede di propaganda politica, le prime cose serie su Gramsci sono state scritte da Eugenio Garin nelle sue Cronache di filosofia italiana e in Politica e cultura, uno degli scritti migliori di Bobbio; ed entrambe quelle opere sono del 1955.
Ora Norberto Bobbio ha raccolto i suoi Saggi su Gramsci in un unico volume, edito dalla Feltrinelli, e forse non si rende conto che è stato proprio il suo libero rapportarsi a Gramsci a dare la spinta decisiva ad un’operazione che, comunque la si voglia giudicare, si è verificata nel nostro Paese: la sostituzione, cioè, tra gli anni ’50 e ’70, del pensiero di Gramsci a quello di Croce come punto di riferimento “obbligato” nel giudicare uomini e cose della vecchia, della nuova e nuovissima Italia.
Bobbio in questi Saggi ha saputo cogliere dell’intellettuale sardo la vivacità degli interessi culturali, il bisogno di cercare di capire le ragioni dell’avversario, le sfumature e le incrinature del suo marxismo-leninismo. A suo avviso la figura di Gramsci ne esce, invece, rimpicciolita se si cerca in lui la perfetta ortodossia marxista-leninista, il seguace più che il pensatore genuino.
Bobbio, del resto, dice apertamente di essersi interessato al Gramsci dei Quaderni (“le mie analisi si riferiscono quasi esclusivamente agli scritti del carcere”), astenendosi in modo programmatico dal “fare dell’opera di Gramsci uno strumento di giudizio e di battaglia pro o contro il comunismo storico”.
Il metodo di Bobbio è certamente legittimo; e tuttavia è inevitabile chiedersi se l’opera del Gramsci “storico e critico della società contemporanea” possa veramente essere esplorata mettendo tra parentesi il marxismo e il leninismo di “un uomo ferramente e integralmente impegnato” nella lotta ideologica e nella prassi politica; e impegnato a tal punto da costituire egli stesso l’esempio, per un verso, e, per l’altro verso, la vittima della tanto discussa teoria dell’intellettuale organico. Si può non avere interesse per la natura e i limiti del marxismo-leninismo di Gramsci e privilegiare le varianti personali rispetto al sistema, ma il problema non si può eludere: soprattutto se, come fa il Bobbio, si sottolinea “il rarissimo esempio che egli ci ha dato di coerenza fra pensiero e azione, fra le idee professate e l’impegno politico”.
L’atteggiamento di Bobbio verso il pensiero dell’ultimo Gramsci è, insieme, di simpatia intellettuale e di distacco critico. Ormai è noto a tutti che il materialismo storico non è difendibile se non nella misura in cui lo si riduce drasticamente; e uno dei primi a capirlo fu proprio Gramsci. Non è questo un merito da poco. Resta, però, in Gramsci la celebrazione di una dialettica che, malgrado le differenze rispetto a Marx o a Croce (messe così acutamente in rilievo in questi Saggi), in virtù dei suoi “rovesciamenti”, opera il singolare miracolo per cui la “terribile dittatura del Partito Comunista” (sono parole testuali di Gramsci) diventa “la massima garanzia della libertà delle masse”. Resta cioè in Gramsci l’errore che Bobbio non si è stancato di additare ai suoi interlocutori di sinistra: il tragico errore, appunto, di credere di poter, anzi di “dover” mettere da parte i valori del liberalismo per accelerare il cammino redentivo della storia, l’avvento della società perfetta. Con gli esiti criminali e catastrofici che tutti conoscono.
Non si può che nutrire profondo rispetto e ammirazione sincera per quanti hanno sacrificato la loro vita per le loro idee; ma occorre sempre tener presente anche il monito di Simone Weil, a non trasformare il sacrificio dei martiri in prova della giustezza delle loro dottrine. Il giudizio conclusivo a cui perviene l’Autore di questi Saggi è che “l’egemonia del partito unico della classe operaia e l’idea di una società pluralistica sono incompatibili”. Bobbio nutre, inoltre, un dubbio: che il PCI possa servirsi ancora di Gramsci nella nuova fase “ormai diventata, per convinzione e per necessità, riformista” (p. 9, nota 4).
Non è stato possibile rintracciare la pubblicazione e la relativa data. Ai fini della pubblicazione sul sito è stata indicata la data del 31.12.1970.