Polivalenza del termine ambiente
Quel che S. Agostino diceva del tempo, con un celebre paradosso, forse si potrebbe ripetere a proposito dell’ambiente: “Si nemo ex me quaerat, scio, si quaerenti explicare velim, nescio”: se nessuno me lo domanda, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo domanda, non lo so più .
Ambiente è parola comune, ma fluida e complessa; è voce che ha visto confluire nel suo alveo torrenti di significati, sì che non è facile precisarne il concetto. In realtà il termine «ambiente» è andato assumendo un senso pregnante proprio nei tempi moderni e si può dire appartiene ancora alla speculazione viva di oggi scoprire e concretare il concetto che esso vuol esprimere.
La prima accezione fu tratta dalle scienze naturali; per lungo tempo l’ambiente fu inteso come unità spazio-temporale, quadro di condizioni per la coesistenza di più fatti. Poi la considerazione antintellettualistica della natura, iniziata dal Boutroux e dal Bergson, fece pensare all’ambiente come ad una situazione di stimolo e di resistenza entro cui si afferma e si determina l’individuo. L’ambiente, così interpretato, si è congiunto per tal via con altri termini suggeriti da interessi storici e sociali come età, comunità, società, civiltà, cultura .
J. Dewey lo ha definito «l’insieme delle condizioni che promuovono ed implicano, stimolano ed inibiscono le attività caratteristiche di un essere umano» . Il Casotti ha esattamente osservato che «ambiente», in fondo, è tutto quello che circonda il bambino, il ragazzo, il giovinetto e agisce su di lui con una continua azione, che il Lambruschini avrebbe chiamato indiretta, ma appunto per ciò tanto più efficace, forse, quanto meno esplicitamente avvertita . L’ambiente agisce per conto suo comunque: ambiente, in tal senso, per il fanciullo è la famiglia e la casa, ambiente la società che gli parla in mille voci dalle strade, dalla radio, dalla televisione, dai manifesti murali; ambiente la natura che si rinnova col passare delle stagioni; ambiente il costume d’un popolo; ambiente la storia con le sue feste e celebrazioni civili, coi suoi monumenti.
Il problema pedagogico dell’ambiente e le sue antinomie
La pedagogia moderna riconosce all’ambiente una netta preminenza, in opposizione polemica alla asserita preminenza esclusiva che l’adulto-maestro aveva avuto nella pratica scolastica tradizionale. La presa di coscienza del problema del rapporto tra educando ed ambiente portò ad accentuare, spesso in modo esagerato e paradossale, le antinomie inerenti al rapporto stesso.
Rousseau, il vero profeta dell’educazione nuova sia nei meriti che nelle illusioni, riprende la proposta platonica di un’educazione separata, in un ambiente che sia predisposto, conforme allo sviluppo psicologico dell’educando, con una fedeltà così assoluta ed efficace, da ridurre di fatto il conclamato libero sviluppo di Emilio a pura spontaneità psichica controllata, prevista e guidata. Che questa tesi interpretativa non sia affatto lontana dal vero, basta a provarlo tra l’altro, quel celebre passo dell’ “Emilio” in cui è scritto: «L’Allievo crede sempre di essere il padrone e siatelo, invece, sempre voi. Non v’ha soggezione più completa di quella che presenta le apparenze della libertà: si imprigiona così la stessa volontà. Il povero fanciullo che nulla sa, che nulla può, che nulla conosce, non è alla vostra mercé? Non disponete, rispetto a lui, di tutto ciò che lo circonda? Non siete voi padroni di guidarlo dove vi piace? I suoi lavori, i suoi giochi, i suoi piaceri, le sue pene, tutto ciò è nelle mani vostre senza che egli lo sappia. Senza dubbio egli deve fare ciò che vuole; ma deve volere ciò che voi volete lasciargli fare; né deve fare un passo senza che sia da voi previsto, né deve aprir bocca senza che voi non sappiate quello che dirà» .
Il nostro Capponi, con finissima arguzia, notava che, in virtù di un’arte pedagogica così implacabile, il povero Emilio non sarà se stesso nemmeno nell’amore: infatti sarà indotto ad innamorarsi della donna che il precettore ha già scelta per lui. L’azione dell’educatore roussoiano, regista invisibile ma ossessivamente onnipresente, è dunque positiva, ma è detta negativa ed indiretta sol perché dissimulata mediante «la dipendenza dell’educando dalle cose» in un ambiente appositamente adattato allo scopo. In verità, nessuna soluzione sarebbe più infelice di questa che riduce a sotterfugio l’opera del maestro, e ad illusione la libertà dello scolaro.
Il Rousseau introduce nel rapporto educativo una finzione indegna della dignità umana e della spiritualità dell’educazione. Se il fanciullo è convinto di essere lui il padrone, non potrà nutrire per il maestro quel rispetto che è la condizione essenziale del successo dell’opera educativa; dall’altro canto, dare al fanciullo l’impressione di essere il padrone, e tenerlo in realtà soggetto, è una violazione flagrante del principio di libertà; la libertà di Emilio, come s’è già detto, si riduce a spontaneità psichica . Al di là dei paradossi roussoiani è senza dubbio rilevante l’importanza dell’educazione indiretta anche nell’azione dell’educatore – ciò che egli sa suggerisce senza forzare o esplicitamente richiedere il consenso degli educandi – e su questo punto sarebbe bene richiamare l’attenzione dei docenti.
Non sarà messa in evidenza mai abbastanza la spontanea tensione educativa della “discretio” – virtù eminentemente cristiana – ossia della costante, abituale disposizione interiore secondo cui, nei rapporti con gli allievi, ci si deve attenere ad una sollecitudine pronta, ma anche delicatamente rispettosa della loro autonomia. La “discretio” è frutto di una signorilità spirituale che si manifesta non negando l’azione dell’educatore, ma – come è stato ben detto – mantenendola in «eccezionale equilibrio tra intervento e non intervento» . La “discretio” dell’educatore è interiore disponibilità, ospitalità del cuore senza esigere atteggiamenti confidenziali, intuizione dei bisogni e delle difficoltà degli educandi, ma senza forzarne i ritmi di espressione e la maturazione interiore.
Dunque “discretio” sì, ma non “jeu des dupes” nel rapporto educativo: in una prospettiva pedagogica non unilaterale l’aspetto indiretto dell’opera educativa del maestro prepara e, a sua volta, rafforza, potenzia il magistero diretto, esplicito, intenzionale, e l’uno e l’altro momento reciprocamente si presuppongono e si armonizzano in un docente che abbia una compiuta personalità. In tal senso è giusto dire che «non solo il maestro deve sempre esserci nella scuola,, ma anche lo scolaro deve sapere che c’è: deve riconoscerlo nel suo esempio, nella sua autorità, nella sua iniziativa, precisamente per poter ricavare da questo esempio l’incentivo a fare da sé e dall’autorità che quegli rappresenta lo stimolo a disciplinare nell’autonomia l’esercizio della propria libertà» .
L’ambiente educativo quale «cordone sanitario»?
Di recente il Cousinet ha drasticamente riaffermato la necessità di organizzare un ambiente separato, «su misura», che assolva in nome dell’igiene pedagogica all’ufficio di «barriera protettrice» rispetto al nostro mondo, in quanto mondo degli adulti.
«Si è considerato – egli scrive – che "la scuola sia una vita" e si è concluso che essa deve "aprirsi alla vita come se le due parole qui e là avessero lo stesso significato". Questa confusione è esiziale. Infatti, quando si dice che l’educazione deve essere vita, si intende dire che nella scuola il ragazzo deve vivere "la vita corrispondente ai suoi bisogni", mentre quando parliamo della scuola aperta alla vita intendiamo per vita "la vita di noi adulti, le attività che esercitiamo, il mondo dei bisogni reali e dei bisogni fittizi nel quale viviamo". Se si vuole che l’educazione sia vita – conclude il Cousinet – è proprio al nostro mondo di adulti che il bambino deve "essere chiuso"» .
Nella pedagogia italiana avvertì potentemente l’efficacia dell’ambiente appositamente adattato all’educando e su misura dell’educando Maria Montessori. In quella grande educatrice vi fu sempre una doppia anima: da una parte, l’intuizione del processo educativo come liberazione del fanciullo mediante la spontaneità; dall’altra, la tendenza a erigere a sistema il ricorso a materiali uniformi e brevettati, preordinati a esercitare le nascenti attività dell’educando. Ebbene, anche Maria Montessori, la pedagogista della polemica ad oltranza contro la «tirannia dell’adulto», a confutazione della tesi «ambiente educativo-isolamento», riconosce che «l’ambiente del bambino deve essere il mondo, tutto ciò che è nel mondo che lo circonda» e che, nonostante molte obiezioni, «se vogliamo aiutare il bambino, dobbiamo tenerlo in mezzo a noi perché egli possa vedere ciò che facciamo e udire la nostra parola»; altrimenti, come possiamo giudicare noi ciò che ha virtù d’interessare il bambino? . Appare, dunque, inevitabile riconoscere che le attività degli adulti sono le condizioni indispensabili per la realizzazione delle tendenze degli… educandi.
Come la letteratura per l’infanzia non deve pargoleggiare «coi piccoli raccontini e i drammi pigmei» e mantenere il fanciullo in una perpetua minorità, perché il fanciullo ha l’ambizione di diventare uomo e non si appaga certo degli esempi dei soli coetanei, ansioso com’è di specchiarsi negli esempi «più alti e più lontani», i quali esercitano un magico potere di richiamo alla sua volontà, così è altamente innaturale voler isolare l’educando dal mondo degli adulti, da cui pure egli proviene ed in cui dovrà inserirsi e con cui è inevitabilmente a contatto.
Pure, vi è nella tesi dell’ambiente educativo come barriera, quale cordone sanitario, un’anima di verità, una preoccupazione che deve renderci vigilanti: per tanti aspetti l’ambiente è disumano e corrotto e perciò può farsi potentemente corruttore. Nell’ambiente vi sono valori, di cui dobbiamo prendere coscienza e che dobbiamo far nostri ed arricchire a nostra volta, ma vi sono disvalori da ripudiare.
La seconda antinomia della problematica dell’ambiente: «adattamento all’ambiente o mediazione della scuola tra persona ed ambiente in funzione della scoperta e della incarnazione personale dei valori», non può avere che una risposta. È falso il primo termine del dilemma ed è vera la tesi espressa nel secondo termine.
Vi deve essere «aderenza all’ambiente o dominio di esso in funzione dei valori» ed i valori fondamentali, nel significato autentico dell’espressione, sono e saranno, oggi e domani come ieri, il bello, il vero, il bene.
Il valore, come esigenza stimolatrice e ragione intrinseca dell’orientamento dell’attività umana, assolve alla funzione di categoria, norma, criterio di valutazione, idea regolativa dell’attività spirituale. Il valore sollecita l’assenso libero della persona, senza determinarlo fisicamente. Resta, dunque, aperta la tragica possibilità del rifiuto: a questa possibilità, quando si traduce in atto, si devono la produzione dei disvalori e spesso anche il culto degli pseudo-valori. L’umanità orientata verso l’incremento dei valori, è spesso impegnata a disperderli. Per questo è necessario all’uomo l’educazione, attraverso la quale la tensione dell’educando al dover essere si specifica come potenza attiva di discriminazione e realizzazione dei valori e diventa l’espressione del destino umano nelle sue forme più alte e caratteristiche .
L’ambiente come società, storia, civiltà, l’ambiente come cultura popolare e folklore, come mondo umano nella vasta complessità dei suoi aspetti propone all’educando valori e disvalori, grandezze e miseria, verità decisive per la vita e suggestioni irrazionali, pregiudizi, superstizioni. Balza, quindi, evidente il ruolo della scuola rispetto all’ambiente: la scuola integra l’opera educativa della famiglia ed assolve al dovere dello Stato di elevare il grado di cultura dei cittadini secondo quanto è richiesto dal bene comune ed in rapporto al grado di civiltà raggiungibile dalla comunità nazionale; ma la sua vera vita è la vita dei valori dello spirito, vita destinata a rifluire e a circolare nella società tutta quanta.
La scuola ha la possibilità di formare essa stessa un ambiente speciale con una triplice funzione: semplificatrice, in quanto sceglie tra gli innumerevoli stimoli e fattori ambientali gli elementi educativi essenziali all’opera educativa; purificatrice, in quanto elimina da sé tutto quello che può agire negativamente e favorisce quello che può agire positivamente; ampliatrice ed equilibratrice dei singoli ambienti in cui vivono gli educandi. Questa triplice possibilità attesta il compito insostituibile della scuola educativa e quanto essa sia necessaria, a tutti i livelli, nella società in cui viviamo.
L’ambiente come "principio didattico" nei programmi per la scuola elementare
Dopo aver sommariamente tratteggiato l’evoluzione del concetto di ambiente nella cultura e nella problematica pedagogica, passiamo ora a cogliere nei programmi per la scuola elementare italiana, dal 1860 al 1955, qualche spunto e motivo ancor oggi valido per la tendenza sempre più consapevole ad assumere l’ambiente come principio didattico base di tutto l’insegnamento.
I programmi del 1860 e più ancora la «Istruzione» del Fava, chiamando la scuola a dare unità linguistica alla patria, impostano con buon senso il rapporto tra dialetto e lingua nazionale. La lettura è concepita non come puro esercizio, ma quale occasione per stabilire una corrispondenza tra parola e idea, «alimento alla curiosità».
Le «Istruzioni» aggiunte ai programmi del ’67 riconoscono esplicitamente l’opportunità di «abituare i fanciulli alla osservazione di tutto ciò che li circonda», dalle «meraviglie della natura» agli «agli esercizi di cose domestiche e d’arti e mestieri». Ma i frutti furono negativi: nomenclatura come esercizio di parole e cartelloni figurati, il tutto nel chiuso delle aule scolastiche.
Contro il dilagare mortificante del nozionismo il Gabelli reagì vigorosamente nelle «Istruzioni» generali premesse ai Programmi del 1888. La sua reazione ebbe felici spunti critici e suggerimenti didattici. «Il maestro – precisava il Gabelli – deve avvezzare gli alunni ad osservare le cose in mezzo alle quali vivono, facendo loro comprendere quanto frutto di ammaestramento possono trarre con la loro testa da tutto quello che li circonda. In altri termini, esso deve continuare in luogo di interrompere, come più spesso accade, l’istruzione che ricevettero dalla natura prima di metter piede nella scuola». Il Gabelli, la cui pedagogia ha un ricco contenuto umano e un vivo senso di concretezza ben degni di sopravvivere alle formule del suo positivismo metodologico, accentua l’osservare, il constatare, lo sperimentare, avendo di mira l’oggettività del sapere. I limiti di questa concezione e dei programmi dell’88 sono innegabili, ma il molto di buono che vi era rimase, purtroppo, quasi del tutto lettera morta.
I programmi Baccelli del 1894 cominciarono ad avvertire il punto di vista psicologico come essenziale al fatto educativo. In essi si raccomandava di tener conto delle «predisposizioni e tendenze degli allievi», così come emergono dalla libera conversazione. Si insinuava che le disposizioni del ’99 che bisogna «uscire dalla scuola per la raccolta del materiale e per osservare l’organizzazione del lavoro nella vita».
Con i programmi Orestano del 1905 si mette in valore l’aderenza alla vita intesa però come «praticità ed utilità» in rapporto alla «pressione dei bisogni» che urge sul popolo. Non si può lasciar cadere un felice suggerimento per l’insegnamento del canto: si invita il maestro alla ricerca dei canti tradizionali popolari e a coltivare i «canti della terra», modi assolutamente locali di canto. L’invito è sempre attuale e meriterebbe di essere accolto dai colleghi di ogni regione, perché ogni regione conosce canti popolari di sublime fattura, in cui il trasporto delle anime si unisce all’armonia del canto in melodie che vanno custodite, con trascrizioni musicali ed incisioni su nastri magnetici e dischi, a cui possano attingere tutti coloro ai quali questa o quella regione ha svelato il suo incantevole mistero, la sua misteriosa identità.
Con i programmi del ’23 subentra in primo luogo la considerazione del soggetto stesso dell’educazione nella sua spontaneità e nella esplicazione delle sue attività espressive. Finalmente nello scolaro si scopre il fanciullo. L’essenziale in una scuola elementare è avviare l’educando ad una personale esplorazione del mondo. Il sistema della scienza deve ripiegare a favore dell’esperienza immediatamente vissuta. Insostituibile punto di partenza e di continuo riferimento deve essere l’ambiente vivo dell’educando, ambiente vivo che nella sua prima vasta unità linguistica, storica e geografica si chiama regione.
Uno dei meriti precipui della riforma del ’23 fu l’aver riconosciuto in modo esplicito il rapporto tra l’insegnamento linguistico e ambiente, inquadrando questo medesimo rapporto nella cultura regionale e popolare, in quella cultura del popolo che si esprime appunto nel dialetto, nel folklore, nelle tradizioni etico-religiose.
Lombardo-Radice ribadì il concetto che la cultura va impiantata sul costume del popolo, che è vario da regione a regione. L’istruzione che la scuola dà al fanciullo deve, pertanto, stimolare, integrare e sollevare su un piano di maggiore consapevolezza la sua esperienza dell’ambiente.
Molti suggerimenti e indicazioni dei Programmi del ’23 sono ancor oggi validissimi. Tali, per esempio, gli esercizi di traduzione dal dialetto in lingua nazionale di indovinelli, proverbi, novelline, canti popolari, con l’intesa, però, che si tratti esclusivamente di «materiale sceltissimo, tratto dalla più schietta letteratura di popolo d’arte e di contenuto educativo» .
L’istanza dell’aderenza all’ambiente
I programmi didattici del ’45 accentuano il problema della formazione dell’uomo e del cittadino nel fanciullo. In modo particolare essi rivendicano il valore economico, etico, sociale del mondo del lavoro, vasto campo di esplorazione, di ricerca, di indagini che preparino nel futuro lavoratore una nuova mentalità. Nella premessa viene poi ribadito il principio che «ogni scuola deve trarre dal suo ambiente i motivi culturali e pratici di cui si alimenta».
I programmi del ’55 riconoscono una continuità nella vita della nostra scuola e avvalorano l’operante presenza dei principi validi in essa introdotti mediante le successive edizioni dei programmi. Essi si qualificano per il riconoscimento di «due istanze particolarmente vive nella scuola contemporanea: la globalità e l’aderenza all’ambiente».
Nella Premessa si legge: «La consapevolezza delle fondamentali caratteristiche dell’anima infantile pone la scuola su una linea di naturale continuità con quanto l’alunno ha già imparato, inteso e sentito nel cerchio della famiglia, del suo ambiente naturale e sociale, delle istituzioni educative che abbia frequentato; perciò l’insegnante non può dimenticare l’aderenza e la partecipazione alla vita dell’ambiente nella varietà delle sue manifestazioni e nell’ispirazione morale e religiosa che la anima».
La scuola italiana di base è sollecitata a valorizzare tutta una tradizione pedagogica, metodologica e programmatica il cui motto è: “l’education et l’instruction par l’observation du milieu”.
Nelle più progredite scuole d’oltralpe, da anni ormai, il suolo natio, il natio cielo, la natia campagna con le sue piante, i suoi animali e minerali, l’arte locale, il dialetto con i suoi pregi e i suoi difetti, la storia, le leggende, la poesia e i canti del proprio paese, gli aspetti della natura e dell’arte della propria terra, i costumi e gli usi, gli ordinamenti di natura tecnica danno l’impronta all’intero insegnamento e vengono utilizzati didatticamente come materia di intuizione e di comparazione.
In Svizzera, per limitarci ad un esempio, sviluppando l’insegnamento di P. Girard e del Can. Horner, il Dévaud è giunto a parlare di «pedagogia topografica» per sottolineare nel modo più deciso possibile l’importanza dell’ambiente in funzione di una scuola per la vita. È un acquisto fatto per sempre dalla psicologia pedagogica il pieno riconoscimento che la potenza delle impressioni e delle esperienze locali sullo spirito e sull’animo del bambino è, sotto tutti i rapporti, così grande che le rappresentazioni acquistate nel proprio ambiente natale si dimostrano i più forti aiuti per l’assimilazione in ogni altro insegnamento. Le rappresentazioni relative al proprio paese sono il visibile substrato di tutta la vita dell’anima in un essere umano, il fondo e il terreno da cui lo spirito può partire verso altezze sempre più astratte, e su cui tutto il restante edificio rappresentativo si poggia, per quanto alto possa elevarsi. «L’anima umana – scrisse profondamente lo Zeissig – cerca troppo volentieri di collegare luoghi ed avvenimenti remoti e stranieri con i propri già conosciuti… Dall’orizzonte locale gli scolari debbono conquistarsi l’intera cerchia del mondo. La propria terra offre anche molto per ciò che è lontano» . La nostra scuola primaria (ed anche quella media) avrà posto su nuovi binari e rese formative l’istruzione e l’educazione il giorno in cui, senza limitare in modo esclusivo il suo interesse, le sue ricerche agli stretti confini del luogo, essa avrà fatto dell’ambiente locale il cuore del proprio insegnamento perché, per il fanciullo come per l’adulto, questo luogo è praticamente il cuore della patria e del mondo.
Gradi e forme di esplorazione dell’ambiente nei programmi del 1955
Gli attuali programmi hanno opportunamente chiarito che, in una concezione moderna dell’educazione, l’ambiente esprime l’interazione, la continuità specifica delle situazioni e delle cose circostanti con le tendenze attive del fanciullo, con i suoi compiti di vita e di azione. L’Attisani lo ha sottolineato con vigore. «L’ambiente dal quale può attingere un fanciullo per la sua istruzione sarà sempre quello ch’egli è in grado di sperimentare in dipendenza del suo bisogno di azione, che è un bisogno d’inserirsi attivamente nella realtà, proporzionato alle sue possibilità fisiche, mentali, morali» .
Di qui la diversità di gradi e forme di esplorazione dell’ambiente in rapporto all’evoluzione psicologica dell’educando, forme distinte e collegate nei tre cicli didattici.
Nel primo ciclo l’ambiente ha un significato prevalentemente affettivo. L’insegnante condurrà il fanciullo, mediante conversazioni, indagini personali, osservazioni più attente, a riflettere su oggetti e fatti della più elementare esperienza e dell’ambiente locale «perché parlino più suggestivamente alla sua naturale sete di conoscere e lo avvierà ad esprimere nelle più varie forme, con spontaneo processo spirituale, i risultati delle sue personali conquiste».
Facendo nostre le parole dello Spranger, si potrebbe dire che in questo ciclo tutto deve avere una risonanza affettiva, perché le cose del mondo «si deve porle nel cuore dei fanciulli», per i quali «le cose (e il loro passato) sono intese nel loro totale senso di vita» .
Nel secondo ciclo «dalla globale intuizione del mondo circostante il fanciullo sarà avviato ad una prima attenta analisi soprattutto attraverso l’esperienza episodica, prima base del sapere sistematico».
«Sarà dunque ancora l’ambiente, nei suoi molteplici aspetti, il punto di riferimento per ogni ulteriore attività di osservazione, di ricerca, di riflessione, di espressione».
«Spetta all’insegnante suscitare, scegliere, coordinare, favorire le occasioni di ricerca e di studio nel graduale trapasso dalla globale intuizione dell’ambiente alle prime analisi dei contenuti culturali dell’ambiente stesso».
«Oggetto della ricognizione, sempre episodica, dell’ambiente – prosegue il testo dei Programmi – non saranno soltanto gli elementi naturali del paesaggio, ma soprattutto le opere con le quali gli uomini lo hanno modificato e incessantemente lo modificano per adeguare sempre più il loro ambiente ai bisogni dell’individuo, della famiglia, della società».
La connessione con l’ambiente didatticamente si esprime nella possibilità di passare dalla rilevazione dei dati ambientali (osservare) alla scoperta dei problemi che vi sono impliciti (riflettere) e alla loro estrinsecazione nei vari linguaggi (esprimere). «A questo punto – nota Marco Agosti nel suo commento ai Programmi – si maturano i primi bisogni razionali e la conoscenza episodica dell’ambiente rivela nettamente i propri limiti… la lettura del testo ambientale si fa sempre più approfondita e quindi meno slegata; nasce il presentimento della unità dell’assieme» e con essa l’esigenza di un’incipiente organizzazione sistematica delle esperienze.
I programmi del terzo ciclo sono caratterizzati dall’assunto di consolidare la cultura di base integrandola con il lavoro. Lo studio dell’ambiente assume perciò i caratteri di ricerca approfondita nei riguardi della geografia, della storia e delle scienze; si prevede la compilazione «da parte degli alunni, di brevi monografie sulla località in cui vivono… per illustrarne le principali caratteristiche geografiche ed economiche, storiche, folkloristiche, artistiche e turistiche». L’accento batte, però, con maggiore insistenza – ed assai opportunamente – sullo studio degli aspetti delle principali attività lavorative locali sia di carattere agricolo e artigiano che industriale.
I programmi del terzo ciclo sono caratterizzati, inoltre, da relazioni particolari con le famiglie, con il mondo del lavoro e con le scuole elettive: con le famiglie, perché al principio dell’anno esse possono essere interpellate affinché indichino «qualche punto di particolare interesse, che possa trovar posta nel programma annuale» (relazione di grande rilievo che inizia una ragionevole forma di auto-governo della scuola); con il mondo del lavoro, per «favorire nell’alunno la scoperta delle sue inclinazioni e delle sue disposizioni al fare nel campo delle attività manuali e pratiche» (si tratta di aiutare l’alunno «a trovare il suo posto» nell’ambiente sociale ed economico); con le scuole elettive, perché «la prudente, oculata, paterna guida dell’educatore si adegui alle capacità, attitudini, inclinazioni dell’alunno, affinché non sia mai preclusa ad alcuno la possibilità di seguire una via più impegnativa, o semplicemente diversa nel campo degli studi» .
La scoperta dei valori morali e sociali in connessione con la base ambientale
Un’attenzione particolare va dedicata alla scoperta dei valori morali e sociali e alla formazione religiosa. In che senso è possibile e doveroso parlare di scoperta dei valori morali e sociali e di formazione religiosa in connessione con la base ambientale?
Non vi può essere vita morale e vita religiosa fin quando l’educando rimane al livello della sua individualità empirica, una specie di “carrefour d’influences” – per servirsi di un’incisiva espressione del Lavelle – ; il carattere morale, la sensibilità sociale, l’interiorità religiosa hanno inizio solo quando le influenze ambientali e le tendenze subite come un destino si capovolgono in scelta, accettazione di influenze e tendenze contenute, corrette, utilizzate come elemento di una vocazione.
Non conformismo all’ambiente, dunque, ma vivificazione morale, sociale, religiosa dell’ambiente stesso. La persona non si eleva al piano morale se non per un impegno libero, volontario che traduce un’intenzione retta in una scelta operante. La lotta morale s’impone allora nell’interiorità della coscienza dell’educando come atto elementare di umanità, ed in questo conato sta il primo principio della civiltà così mirabilmente espresso nell’asserzione di “Genesi” (4, 7): «L’appetito tuo ti sarà sottoposto e tu potrai dominarlo».
Come l’educatore promuove l’attenzione dell’educando ai valori morali? . Come nell’insegnamento della lingua il maestro parte dal dialetto del fanciullo per giungere alla lingua nazionale, così l’educatore parte dal… dialetto morale del fanciullo, cioè dai suoi interessi, dalle sue valutazioni soggettive, dalle sue abitudini, dalla sua condotta, dalla sua vita.
I Programmi segnano una sicura direzione di lavoro in tal senso. Tra i numerosi passi mi limito a richiamare l’attenzione sul seguente: «Per la conquista di una prima consapevolezza dei principi direttivi della condotta, l’insegnante abbia cura di avviare gradualmente l’alunno alla riflessione sugli atti della vita individuale nell’ambiente scolastico, familiare, sociale». L’aderenza e la partecipazione alla vita dell’ambiente nella varietà delle sue manifestazioni vuol essere anche invito all’educatore a cogliere tutti quei motivi positivi di «ispirazione morale e religiosa» che la animano (Premessa).
Si tratta di indurre l’educando a considerare con spirito equanime i casi della vita di cui è attore o testimone per interpretarli rettamente, e a ricavarne l’indicazione del proprio dovere. Questo è lo spirito animatore del metodo della «scienza ed arte della vita», così profondamente fatto valere dal Förster e dal Modugno: scienza ed arte della vita, la quale non è nuda esposizione di freddi concetti, né arida precettistica, e può servire mirabilmente come guida per cogliere nella vita con