Qual era il cuore antico della città di Roma, il luogo da cui si diffondeva il senso religioso che permeava tutto il territorio circostante? Gli antichi non avevano dubbi a rispondere a questa domanda: era la zona all’ interno del pomerio a rappresentare tutto questo, cioè lo spazio interno primigenio, quello da cui era partita la spinta alla crescita dell’ Urbe.
Il pomerio era una linea di confine di natura giuridica, entro la quale si ricavavano gli auspici urbani, ovvero le profezie che riguardavano la vita della città, nei suoi diversi ambiti. In quanto confine, esso costituiva il limite della città, e ne distingueva il territorio interno da quello esterno: in parte il pomerio coincideva col tracciato delle mura, in parte se ne discostava.
Il pomerio veniva stabilito, inizialmente, nel momento della fondazione della città, con un rito di origine etrusca. Il fondatore del nuovo insediamento urbano aggiogava un toro e una vacca a un aratro e, sulla base di auspici favorevoli, tracciava un solco nel terreno, per delimitare la zona in cui sarebbe sorto la città. Con la terra asportata dal solco, e gettata verso l’ interno, veniva poi abbozzato il muro che avrebbe definito il perimetro dell’ abitato.
Tutta questa procedura rituale, con l’etimologia della parola pomerio, nonché la sua natura ed evoluzione, sono stati analizzati e approfonditi da una giovane studiosa bresciana, Antonella Simonelli. E’ opera sua un saggio specifico, uscito recentemente nella rivista "Aevum", dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore.
Proviamo a ricavarne qualche punto fermo. Partiamo dall’ etimo della parola, innanzitutto. Al termine di molte discussioni in merito, la Simonelli propone di intendere il pomerio come l’ indicazione di ciò che si trova al di là (pone) o al di qua (pro) del muro della città. Di seguito la studiosa ne definisce il valore di linea di confine, dotata di un valore guirido-sacrale. Questo comportava a Roma una serie di prerogative e di esclusioni, come il divieto di portare armi al suo interno, di ammettervi ambasciatori stranieri, e di inumare o cremare i cadaveri. In terzo luogo vengono studiati dalla Simonelli i motivi e le circostanze dell’ allargamento del pomerio stesso.
Già i Romani dell’ età repubblicana, prima, e imperiale poi, avevano avvertito il bisogno di ridefinire progressivamente lo spazio sacro della loro città. Ridefinire significò allargare: Roma si espandeva territorialmente, e ciò riguardava non solo il caso dell’ Urbe con l’ allargamento edilizio dovuto all’ incremento della popolazione, ma anche il territorio dello Stato in generale, con l’ annessione di nuove genti e di nuovi spazi.
E’ possibile ricavare una constatazione significativa, anche attualizzabile: l’ apertura dello Stato romano ai nuovi territori conquistati, e agli abitanti degli stessi, non significava chiusura e arroccamento interno, alla difesa della peculiarità o dell’ identità locale, ma si traduceva in un allargamento del pomerio. Sappiamo che così fece Silla, quando assoggettò gli Italici, e che così fece anche Cesare, vincendo nelle Gallie e ad Alessandria: così di seguito fecero i vari imperatori che seguirono. L’ annessione di territori provinciali determinò di regola la dilatazione dello spazio sacro interno: era il cuore di Roma che si allargava, protendendosi verso la periferia del mondo sottomesso.
Anche in materia religiosa avvenne la stessa evoluzione del pomerio. In un primo tempo infatti i culti stranieri, denominati sacra peregrina, furono vietati all’ interno della linea cittadina. Ma l’ evoluzione dei rapporti con altre comunità e il profilarsi di pericoli di guerra indussero i Romani all’ accoglienza interna anche di riti considerati esterni.
Persino la statua che rappresentava la Magna Mater, cioè la divinità orientale della vita e della morte, venne accolta in processione dentro il pomerio. Si era negli anni della minaccia di Annibale contro lo Stato romano, e il Senato della città ritenne di dover chiedere una speciale protezione religiosa contro il pericolo cartaginese. Naturalmente il culto di quella divinità, con le sue caratteristiche spiccatamente orientali, venne romanizzato, in modo da sentirlo come più vicino, più consono alla propria spiritualità. E la statua venerata fece in suo ingresso trionfale in città, oltrepassando il limite del pomerio, accolta dai cittadini più eminenti dell’ epoca.
Giornale di Brescia, 5.5.2002.