Gli eventi che fanno da sfondo al saggio “Sulla libertà” sono circoscritti a pochi anni: l’idea di un lavoro sull’argomento risale al 1854; quella di un libro matura durante un viaggio in Europa nel 1854-55 quando John Stuart Mill prende coscienza che molti progetti riformistici europei erano liberticidi e che la forza dell’ opinione pubblica stava usurpando sempre più la libertà; la stesura occupa gli anni ’56-’57, mentre la revisione procede con l’aiuto della moglie Harriet Taylor (cui il saggio è dedicato) fino alla sua morte immediatamente precedente l’edizione, che è del 1859. “Sulla libertà” è sicuramente un classico del pensiero politico che, come tutti i classici, solleva una serie di riflessioni e di problemi e, al contempo, un intenso dibattito critico e controversie mai sopite. Fin dalla sua edizione – dal 1859 al 1869 ne ha ben quattro – il libro attira l’attenzione delle persone colte. Oggi a distanza di quasi centoquaranta anni l’esegesi milliana ha perduto quell’asprezza di toni che la vicinanza alle vicende storiche aveva favorito, per riflettere sui grandi temi che lo scritto sollecita. Temi molteplici perché “Sulla libertà” è un testo di filosofia politica, morale, e in parte di sociologia ed anche perché Mill, con notevole anticipo sui tempi, propone un’analisi lucida, buona parte ancora oggi attuale, sul ruolo dell’individuo, della società e dello Stato nelle moderne democrazie liberali. Va, pertanto, salutato con vivo apprezzamento la nuova traduzione di quel mirabile lavoro per i tipi dell’Editrice Armando (Roma, 1996, pp.144). A riproporcela è Ornella Bellini, studiosa della filosofia inglese del Settecento e dell’Ottocento, che ha premesso al testo una chiara e succosa introduzione. In realtà, la riflessione politica di Stuart Mill segna l’avviamento del liberalismo verso la democrazia; ma egli, avendo assimilato la lezione di Alexis de Tocqueville, vide con chiarezza i due pericoli a cui la democrazia è esposta. Il primo è di carattere politico e consiste nell’oppressione esercitata sul corpo sociale da una maggioranza dove predominano gli interessi esclusivi di una classe o di pochi demagoghi. La “tirannia della maggioranza” agisce oggi anche negli Stati che hanno ordinamenti liberali o lo fa attraverso quelle deliberazioni che, sebbene votate dal Parlamento, sono lesive della libertà degli individui e dei gruppi sociali; ma il suo veicolo ordinario è costituito soprattutto dall’imposizione sistematica di atti che il potere fa eseguire per mano dei funzionari pubblici. Più insidiosa è la tirannia che la società stessa esercita non tanto con le leggi quanto con la routine, le abitudini passive, il disorientamento di un’opinione pubblica plagiata da miti e pregiudizi.
Da un certo punto di vista, la «tirannia sociale» è assai più grave di altri generi di oppressione politica. “Vi deve pur essere un limite – scriveva Stuart Mill nelle pagine introduttive – alla legittima interferenza dell’opinione collettiva sull’indipendenza individuale: e trovare tale limite, mantenendolo contro ogni usurpazione, è indispensabile al buon andamento delle cose umane quanto la protezione contro il dispotismo politico. La questione pratica di come stabilire un organico accomodamento tra l’indipendenza individuale e il controllo sociale è un argomento su cui quasi tutto rimane da fare. Occorrono regole di condotta, sia attraverso leggi appropriate, sia attraverso movimenti di opinione pubblica nei molti campi che non si prestano all’azione delle leggi.”. Contro l’uno o l’a1tro pericolo occorre svolgere efficace azione di contrasto, se si vuol evitare quel livellamento verso il basso, che rende tutti gli uomini ugualmente mediocri. Alla schiavitù sociale deve opporre la libertà morale, la riscoperta da parte del maggior numero di cittadini della sfera intangibile dell’io. Aperto all’influenza di Claude Henri Saint-Simon, iniziatore del positivismo in Francia, e per qualche tempo in relazione diretta con Auguste Comte, il filosofo inglese non aderì mai al socialismo dell’uno e alle teorie politiche, di ben diverso orientamento, dell’ altro; cercò, invece, a più riprese un punto d’incontro tra il liberalismo e il socialismo, affinché la soluzione del problema sociale conseguisse lo scopo di limitare il più possibile le ingiustizie, senza per questo far naufragare la libertà in un sistema politicamente oppressivo, che a sua volta genera un’economia improduttiva. Occorre tener distinti, per Stuart Mill, il processo che produce la ricchezza e quello che la ridistribuisce nel corpo sociale. Il primo non può non tener conto delle leggi economiche, che sono pressoché immodificabili; il secondo può essere modificato dalla volontà politica e morale. Stuart Mill si ripromette la soluzione della questione sociale anche da una serie di rimedi, quali l’elevazione delle classi lavoratrici mediante l’istruzione, il frazionamento della proprietà terriera, l’emigrazione e la limitazione delle nascite. Egli ha avuto il merito di aver capito che il problema di fondo della democrazia è la difficile conciliazione tra i valori di giustizia e di libertà. Rimane comunque fermo il principio che l’azione dello Stato è sempre finalizzata alla libertà ed è soltanto a difesa dei diritti dell’individuo che si giustifica l’intervento statale, assegnando ad esso nello stesso momento precisi limiti. Con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, Stuart Mill non può accettare che la rivoluzione liberale sia limitata ed inficiata dal privilegio di classe. Un’osservazione finale. Si può discutere l’uno o l’altro punto del saggio “Sulla libertà”, ma chi oggi, in campo liberaldemocratico, ha l’ampiezza di vedute e l’onestà intellettuale del suo Autore? Chi può essergli paragonato, anche alla lontana?
Giornale di Brescia, 24.7.1996.