Il mare è una presenza costante, non solo nella geografia della Grecia, ma anche nella sua storia antica e recente e, possiamo aggiungere, nella sua letteratura. E ancor prima è presente nella lingua: se sfogliamo un vocabolario di greco antico, troviamo che non bastava una sola parola per designare un elemento naturale tanto importante per l’ esistenza, e così i Greci impiegarono termini come thálatta o thálassa, ma anche póntos, oppure háls. E come se non bastasse, ricorrevano anche a numerose perifrasi, per esempio a quella che lo indicava come la distesa umida, oppure come il regno di Posidone, che ne era il dio. Ha ragione Grytzko Mascioni a scrivere ne Lo specchio greco che "è il mare l’ immagine che ci domina, se pensiamo alla Grecia: ma il mare è tutto, principio e fine della vita e dell’ immaginazione, abitazione di ogni sgomento e speranza".
Ritrovare nella letteratura greca le pagine che hanno a che fare con la vita sul mare, o che ne testimonino l’ importanza storica o la presenza nel mito, non è difficile. Basta scegliere l’ impostazione, il taglio graditi: la disponibilità è notevole.
Teocrito di Siracusa è appunto uno dei poeti che ci offrono il respiro del mare e il sapore della sua vita. In un idillio, intitolato le Talisie, ovvero le feste del raccolto, descrive il paesaggio caldo dell’ isola di Cos, assolata all’ interno ma piacevolmente temperata dalla brezza marina sulla costa. In altri idilli ci parla della Sicilia nativa e del mare che la circonda; altrimenti la descrizione paesistica è ambientata sulle coste settentrionali dell’ Egitto, da lui conosciute dopo il trasferimento ad Alessandria. Si può dire che la mediterraneità sia la caratteristica ambientale della sua poesia, e il mare è ovviamente al centro delle descrizioni.
Uno degli idilli meno noti di Teocrito (il XXI) è intitolato I pescatori, dei quali descrive la vita sul mare, le speranze, le ansie, i sogni. I protagonisti sono due vecchi pescatori, che attraverso la vita quotidiana sul mare hanno trovato il ritmo della loro esistenza: non conoscono e non possiedono molto di più degli strumenti atti alla pesca, le canne, gli ami, le lenze, le nasse, le cordicelle, i remi. La capanna in cui vivono, sulle rive del mare, non possiede né porta né cane da guardia, perché è la povertà insieme alla solitudine a custodire i loro averi. Scrive Teocrito che alla loro povertà si avvicinavano, mollemente frangendosi, solo le onde del mare.
Ma a questa vita manca la serenità per poter essere definita idilliaca, almeno nel senso che abitualmente attribuiamo alla parola. I due pescatori vivono infatti nell’ ansia, dettata essenzialmente dalla precarietà dell’ esistenza, in cui ogni giorno è incerta la quantità e qualità del cibo per sopravvivere. L’ ansia si manifesta anche con un sonno difficile e spesso interrotto; accade così che a metà della notte i pescatori si sveglino dopo un breve riposo e mettano in comune i sogni e le paure che percorrono la loro mente.
Asfalione, uno dei due, ha sognato di catturare all’ amo dopo una lunga lotta un grosso pesce che, una volta uscito dall’ acqua, si è rivelato essere tutto d’oro. Grazie all’ impensato bottino ha allora immaginato di abbandonare la vita da pescatore, per ritirarsi sulla terra a vivere nell’ agiatezza, ricco dell’ oro trovato. Il compagno al quale chiede l’ interpretazione del sogno si incarica di ridimensionare ciò che appare come un miracolo e aggiunge un suo monito: lascia perdere il pesce d’oro, che non esiste, e insieme ad esso i sogni d’ oro che lo portano. L’ invito conseguente è molto banale ma insieme concreto: cerca piuttosto i pesci di carne, se non vuoi morire di fame.
Il realismo di Teocrito ci appare qui in tutta la sua evidenza: innanzitutto perché la vita sul mare non è né facile né bella, ma i pescatori devono faticare e lottare ogni giorno per ricavarne di che vivere. In secondo luogo perché è assente dalla poesia ogni idea di paesaggio ameno, ma tutto l’ ambiente è all’ insegna dell’ asprezza, della difficoltà e del rischio.
Giornale di Brescia, 28.10.2002.