L’ambiente toscano dei novatori e la preparazione pedagogica del Capponi
Gino Capponi, gentiluomo uscito da una delle più antiche e celebri famiglie fiorentine, fu indubbiamente il centro attorno al quale gravitò la cultura toscana del suo secolo, uno dei più vigorosi ed anche dei più problematici spiriti che vanti il nostro Risorgimento.
Aperto a tutte le idee generose, spirito meditativo e fornito di acuta originalità, il Capponi non ebbe il sentimento del proprio valore effettivo, né la volontà decisa e pronta all’azione; nondimeno, egli fu servitore costante e leale della causa del progresso e della libertà e partecipò in primo piano al movimento dei novatori toscani, con coscienza di italiano, non rifuggendo il carico della presidenza del governo granducale nel 1848 e poi la partecipazione al Senato del Regno d’Italia.
L’ammirabile operosità di quelle forze liberali che intendevano rinnovare la coscienza nazionale senza audacie rivoluzionarie, ma con vivo senso di concretezza e con slancio generoso e spesso eroico, si imperniò essenzialmente, sovrattutto in Toscana, su questi tre cardini: agricoltura, storiografia, educazione.
La necessità di migliorare le condizioni morali, intellettuali ed economiche delle plebi d’Italia mirava, oltre che al vantaggio umano in sé, a dar loro coscienza di popolo: di qui l’importanza, chiaramente avvertita dai più chiaroveggenti dei nostri patrioti di allora, di estendere la cultura elementare tra il popolo. Nel 1818 in Toscana sorge la «Società per la diffusione delle scuole di reciproco insegnamento», alla quale il Capponi fu iscritto l’anno successivo; “L’Antologia”, fondata dallo svizzero Gian Pietro Viesseux e ideata dalla mente del Capponi, propone il problema di una degna letteratura popolare e dell’avviamento al lavoro dei figli dei poveri; a Siena lo scolopio Tommaso Pendola fonda per i sordomuti una scuola a spese di privati; generoso impulso dà Ferrante Aporti alle istituzioni delle scuole infantili e la Toscana è la prima regione d’Italia a importarne la salutare istituzione; Lambruschini fonda scuole festive e a San Cerbone apre un convitto-famiglia celebre nella storia delle istituzioni educative; il solitario di San Cerbone dà vita al primo giornale pedagogico della Penisola, la “Guida dell’educatore” (1836 – 1845), preoccupandosi inoltre di rispondere alle esigenze della letteratura infantile col pubblicare periodicamente anche le “Letture per i fanciulli”.
In questo ambiente di novatori, a una così vigorosa e feconda fioritura di iniziative e di discussioni, il Capponi partecipò tra i primi dando un suo proprio originale contributo di critica pedagogica. Egli aveva, ancor giovane, viaggiato in Francia, in Inghilterra, in Olanda, in Germania, in Svizzera con l’intendimento di studiare le istituzioni, i costumi, le scuole dei popoli che visitava (1818 – 1820); in Inghilterra divenne intimo del Foscolo e in Svizzera visitò le scuole di Padre Girard, l’istituto di Yvrdun del Pestalozzi e gli istituti di Hofwyl del Fellenberg; tornò in Svizzera, la terra classica della pedagogia moderna, nel 1825; meditò le opere principali che la letteratura pedagogica antica e moderna gli porgeva, promosse la fondazione dell’istituto della SS. Annunziata per l’educazione delle donne e, per suo interessamento, la «Società fiorentina per la diffusione del metodo di reciproco insegnamento» bandì nel 1833 e poi nel 1836 un concorso di lettura amena e di istruzione morale per i fanciulli dai 6 ai 12 anni (e nel secondo concorso fu premiato il “Giannetto” di Luigi Alessandro Parravicini). Il Capponi seguì con favore premuroso le vicende dell’istituto di San Cerbone e dell’istituto agrario di Meleto – il primo che sorgesse in Italia – e le pubblicazioni pedagogiche del Lambruschini, anche se in certi punti dissentiva dal suo egregio amico.
Il Gambaro, l’esimio studioso della pedagogia italiana dell’800, ha fatto il punto sulla pedagogia dell’aristocratico fiorentino in uno studio monografico esemplare per scrupolosa obiettività e per acume critico ; conoscere e discutere il contributo del Gambaro ci sembra oggi assolutamente indispensabile a chi voglia mettersi in grado di rivivere, con umana simpatia, le vicende spirituali e il messaggio educativo di Gino Capponi e dell’età che fu sua.
Gli scritti pedagogici minori
Il Gambaro ha per la prima volta raccolto e curato con rigore filologico in un solo corpo e disposti in ordine cronologico, tutti gli scritti pedagogici del Capponi e di questa fatica gli dobbiamo essere grati avendo reso così possibile a tutti gli studiosi una conoscenza diretta e approfondita dello sviluppo del pensiero pedagogico dell’Autore dei “Pensieri sull’educazione” .
Tra gli scritti minori veramente notevole è la relazione pedagogica del 1822: “Considerazioni sopra un libro relativo agli istituti di Hofwyl”.
La relazione, riguardante il ginnasio-liceo di Hofwyl, non discorre degli altri tre istituti del Fellenberg: la scuola d’agricoltura per i poveri, l’istituto superiore d’agraria e la scuola femminile diretta dalla moglie del patrizio bernese. Il Capponi riconosce il nesso pedagogico tra il Pestalozzi e il fellenberg, pur rimproverando al «santo vegliardo» di aver fatto delle matematiche una guida per ogni disciplina; nel ginnasio-liceo di Hofwyl era, invece, riconosciuta una netta prevalenza alla grammatica e alla storia. Il greco era insegnato prima ancora del latino, anche perché l’Odissea di Omero è particolarmente adatta ai ragazzi dai 10 ai 12 anni per il fascino dei sentimenti vigorosi a cui li avvezza: motivazione questa che Herbart farà sua.
Per la parte storica la Bibbia ed Erodoto hanno il primo posto e il Capponi esprime la speranza che non sia scordato Plutarco.
La coesistenza di fedi diverse non dispensa nessuno dal professare la propria con scrupolosa osservanza culturale. Grande importanza si annette alla geografia, alla ginnastica, ai giochi, al lavoro manuale (giardinaggio), ai viaggi, alle escursioni alpine, alla visita di luoghi che offrano interesse storico o artistico e alla raccolta di materiali.
Il Capponi non conviene con l’educatore bernese nell’escludere dalla prassi educativa ogni stimolo di emulazione: questione in cui il Fellenberg è con Rousseau, Kant, Pestalozzi, P. Girard, Lambruschini, mentre il Capponi è con i greci, i romani e i… gesuiti.
Il sistema educativo di Hofwyl congiunge i vantaggi dell’educazione familiare a quelli dell’educazione pubblica:
– vi sono trenta professori con meno di cento alunni;
– il consiglio generale o parziale dei professori si riunisce frequentemente per meglio curare lo scambio di vedute e la concordanza dei metodi;
– non vi sono classi, ma gruppi di fanciulli distribuiti secondo la loro capacità in modo che l’insegnamento individualizzato vi trova la sua massima esplicazione; e, infine, particolare non certo ultimo per importanza, i giovani siedono alla stessa mensa con il Fellenberg come con i loro padri.
«In tutto questo sistema, nota il Capponi, non si dà mai luogo a quell’apparato teatrale che serve piuttosto all’onore del maestro che alla vera utilità degli allievi». Ma, pur lodando i metodi educativi in uso in quell’oasi pedagogica il Capponi non consente alla pretesa di fare di Hofwyl «un istituto normale in Europa», perché «ogni sistema di educazione dipende per la maggior parte da delle circostanze locali e dalle qualità di chi lo dirige»; è dubbio che si riesca mai a costituire una metodologia superiore da cui debbano dipendere tutte le istituzioni educative.
Anche gli altri scritti riservano felici sorprese al lettore attento: si tratta di cenni, intuizioni assai spesso fornite di un’attualità insospettata.
Così, ad esempio, nel “Brano di studio morale” si sviluppa un insieme di considerazioni psicologiche di grande finezza nel discutere il consiglio della Necker, che esclude la lettura dei romanzi dalla formazione della donna per scongiurare il sorgere di emozioni fittizie e i pericoli della eccitabilità fantastica. Il Capponi non è d’accordo su questo punto con la grande pedagogista svizzera.
La donna che abbia una certa cultura ama la lettura dei romanzi proprio perché i romanzi sono una «vera o falsa rappresentazione della vita» e la donna ama ridurre le questioni astratte in termini di rappresentazione di situazioni concrete.
È vero, però, che i romanzi hanno il difetto di «troppo concedere alla prepotenza degli affetti» ed è un male che il romanzo abbia soverchiato la poesia, lamenta il Nostro.
Nel discorso, pronunciato il 10 dicembre 1867 al Senato del regno d’Italia sul disegno di legge riguardante l’insegnamento secondario classico, il Capponi fa una riserva preliminare sul sovraccarico dei programmi. Si tratta di un male necessario? È un inconveniente inevitabile – precisa il Capponi – là dove manchi l’unità dei principi della cultura. Di notevole interesse sono alcune osservazioni sulla «introduzione alla filosofia», la storia e le lingue straniere: il Capponi ritiene possibile e doveroso fissare una logica prima inconfutabile, che illumini e giustifichi una salda intuizione etica della vita, richiama l’attenzione sulla funzione educativa della storia e sulla coscienza morale di chi ha da insegnarla, e consiglia di far studiare il francese nel ginnasio, rimandando all’università lo studio dell’inglese e del tedesco.
I "pensieri sull’educazione": paradossi e verità
Dove l’opera del Gambaro rivela tutta la sua sagace forza interpretativa è nel chiarire i concetti pedagogici del capolavoro capponiano, che è di non facile lettura per la sua pregnante sinteticità, e i loro nessi con idee e fatti ai quali si richiama il marchese fiorentino. anzi, per meglio assolvere il suo compito, l’illustre Maestro, nella seconda parte del libro, ha commentato i singoli paragrafi dei “Pensieri sull’educazione” con vere e proprie parafrasi, in una prosa chiara ed efficace; e il suo sforzo di restituire Capponi e valutarlo nella storicità positiva della sua opera e della sua cultura è stato di una coerenza tale da eliminare programmaticamente ogni «pretesa di trarlo a sponde ch’egli né amò, né scorse, né divinò». La stesse note sono preferibilmente desunte dal ricco epistolario e dai due volumi degli “Scritti editi e inediti” del Capponi o dalle pubblicazioni di suoi contemporanei.
La dialettica interna del succoso, breve saggio capponiano acquista nuovo vigore e, in più punti, nuova forza di verità; i passaggi da un gruppo ad un altro di considerazioni sono mediati, senza per altro pretendere di dare una struttura sistematica ad uno scritto che ne è sfornito.
Il Gambaro (che cita con adesione, in una pagina di critica alla concezione della storia come «predica», l’aforisma crociano «la storia non è mai giustiziera, ma giustificatrice», sentenza questa che a nostro parere non è affatto passata in giudicato, perché bisognosa di essere precisata e integrata se non si vuole avallare un amoralismo che falsa la storia tanto quanto il moralismo più uggioso), forte della precisione storica della sua indagine, formula sul suo Autore giudizi critici assai ben definiti. La condanna indifferenziata dei metodi non è accettabile nel suo complesso, essendovi pure metodi che al servizio di un «fine certo e definito» aiutano a potenziare le forze vive della natura; la sintesi è più consona ai primi stadi dell’età evolutiva, e tuttavia non va del tutto rigettata l’analisi, poiché l’una e l’altra sono in grado diverso e in tempi diversi compresenti e necessarie; le illusioni con cui il Capponi vorrebbe colpire il Lambruschini non raggiungono affatto il bersaglio e sfocate sono pure le ironie di lui, liberale, contro il liberalismo operante sul difficile clima della Restaurazione.
Un’attenzione particolarissima è dedicata al giudizio, a quanto pare «troppo perentorio», che il Capponi dà sulla pedagogia dei gesuiti: occorre, su questo punto, integrare quanto si dice nell’introduzione critica alla pedagogia del patrizio fiorentino con la serrata disamina della questione svolta nelle nutrite note di commento al testo dei “Pensieri sull’educazione” nella seconda parte del volume.
Sono considerazioni maturate attraverso una documentata e prolungata ricerca storica e che ancor oggi suscitano un assai vivace interesse nel lettore: in fondo, il Gambaro ci sembra condividere in massima parte il giudizio del Capponi, non senza avvertire però che nella pedagogia dei gesuiti «si sarebbero dovuti rilevare, per l’esatta completezza del quadro, principi e atteggiamenti che non può respingere l’educatore d’oggi: la conoscenza della natura del ragazzo considerata come fondamento dell’educazione, la mitezza della disciplina, l’assenza di modi insultanti o di epiteti offensivi agli alunni, l’accentuata sollecitazione per l’igiene e per l’educazione fisica, l’emulazione basata sul sentimento dell’onore, la cura per la formazione professionale degli insegnamenti delle scuole secondarie, le varie benemerenze didattiche specialmente per la geografia». E poco prima, si avverte che è doverosa la «distinzione tra teoria e pratica, le quali vanno esaminate alla stregua dei tempi, tra gesuiti di una nazione e gesuiti d’un’altra, e, in Italia, tra gesuiti della prima metà del secolo XIX e gesuiti di altri secoli».
La filosofia
La giustificazione del pensiero pedagogico del Capponi va evidentemente ricercata nella visione del mondo e della vita del suo Autore. In realtà Capponi non elaborò mai organicamente il suo «punto di vista» sui problemi dell’esistenza.
Capponi ebbe una formazione filosofica sensistica da cui si affrancò, non senza serbare però per l’empirismo e per il moralismo inglese una spiccata simpatia. A lui furono particolarmente cari il Montaigne, il Pascal e, sopra ogni altro, Sant’Agostino, nel quale «è sempre qualcosa che scoppia improvvisa, cha ha in sé l’impeto di un affetto e che ti illumina come una divinazione».
Del Gioberti ammirò i generosi sentimenti, ma non il pensiero filosofico: «le belle cose io le veggo da lui troppo spesso o affogate o svanite per intemperanza di facondia, o per quell’io indiscreto che dappertutto s’intrude, o (se m’è lecito dirlo) per difetto che mi pare in lui di filosofica deduzione» (lettera al Lambruschini 28 gennaio 1852): giudizio che avrebbe potuto sottoscrivere un Omodeo o un Croce.
Nel 1840 osteggiò il tentativo di chiamare il Rosmini all’Università di Pisa per temute tendenze illiberali; poi divenne ammiratore del Roveretano, di cui peraltro non intese affatto il pensiero filosofico. Cade così l’opinione del Vidari che fa partire il Capponi nel suo itinerario filosofico da «un idealismo oggettivo rosminiano».
Il Capponi nutre un’aperta diffidenza per ogni filosofia chiusa in sistema: «il sistema è come una setta»; «non è più tempo di far sistemi ora che si esige per ogni proposizione isolata un rigoroso appoggio dei fatti». Come italiano, si compiace di rilevare che nella nostra tradizione culturale ha sempre prevalso la filosofia del buon senso, il quale segna il limite del pensiero riflesso, e al quale buon senso il Capponi proclama di volersi attenere.
Che cosa intendesse poi per buon senso, il Capponi non lo dice: in realtà il suo buon senso è adesione immediata ai dettami universali della coscienza morale, al sentimento della legge morale; la sua è, dunque, una concezione che si fonda su un dogmatismo morale, è pragmatismo etico il quale postula un ideale accentuatamente volontaristico.
Il Gambaro ricollega il «buon senso» del Capponi a posizioni roussoiane e, nel contempo, ravvisa in esso «un riecheggiamento dell’illuminazione interiore di stampo agostiniano»: questi accostamenti, lo confessiamo, ci lasciano fortemente dubbiosi e per ragioni intuibili, essendo ormai accertato il valore metafisico e gnoseologico (oltre che la valenza religiosa) dell’illuminazione agostiniana e perché troppe sono le differenze tra il virile volontarismo di Capponi e il sentimentalismo del Rousseau.
La religione
La conclusione dei “Pensieri sull’educazione” proclama l’educazione la «sola educatrice» dell’uomo: il Gambaro conclude la sua ricerca precisando la natura specifica della concezione religiosa del Capponi.
Capponi sentì la religione quale bisogno del cuore e vincolo dell’umanità, e ne ravvisò la immensa efficacia nel corso dei secoli.
Lettore del Voltaire, amico di Destutt de Tracy e del Foscolo, non condivise mai il loro atteggiamento scettico e irridente nei confronti della religione.
Contro il sansimonismo insorse non volendo che si gabellasse per religione «un sistemaccio di sogni economici», non senza aver rilevato, però, il diffuso bisogno di infondere una ispirazione religiosa nei nuovi ordinamenti politici e sociali del tempo.
Non ebbe affatto simpatie per il giansenismo, come ha dimostrato il Sestan e meno che mai ebbe grazia ai suoi occhi il protestantesimo, a causa dell’individualismo religioso a cui mette capo e per l’antistoricità della sua posizione: ché «nemmeno Dio può ricondurre le cose ai loro principi, perché non può fare che tra essi e noi quello che è stato non sia stato»; sarebbe concepire staticamente la storia e pretendere che rispetto all’infanzia la virilità sia un abuso. Nondimeno il protestantesimo gli apparve in qualche momento (lettera del 14 – 18 agosto 1834 al Lambruschini) «un progresso, un progresso immenso» come «reazione contro la tirannia romana».
Sull’atteggiamento religioso del Capponi decisive sono due lettere scritte al Lambruschini, l’una nel 1831 e l’altra nei 1834: il Tabarrini, sollecito di nel ritrarre accampato oltre il Rubicone dell’ortodossia il capo del moderatismo toscano, inventò la storiella del bruciamento dell’esiguo carteggio religioso Lambruschini-Capponi a cui avrebbe dato mano il marchese fiorentino dopo la morte dell’amico. Il Gambaro ha pubblicato le due famose lettere le quali non rendono possibile più parlare di moderatismo religioso, né illudersi che la sua riforma fosse di tipo savonaroliano(V. Benetti-Brunelli).
La lettera del 1831, che ha di mira i sansimoniani e il Lamennais, enuncia questi principi:
– il sacerdozio e il Papa hanno affogato la spiritualità cristiana nella teologia e nell’organizzazione politica;
– il cattolicesimo pontificale è in disaccordo col Vangelo, e di fronte ad esso si giustifica, in un certo senso, il protestantesimo quale crisi necessaria, quale tentativo «sbagliato» verso quella trasformazione del cristianesimo che è inevitabile.
Il Capponi condanna però la campagna audace e incomposta de «l’Avenir» per l’incongruente miscuglio di teocrazia e di democrazia.
La lettera del 1834 riferisce le impressioni del Capponi sulle riflessioni religiose inedite del Lambruschini. La lettera è di una notevole gravità; in essa il marchese fiorentino:
– riconosce la funzione benefica del dogma («ferma le vertigini della nostra mente»), ma trova le definizioni dogmatiche «soverchie e scorrette, sottile e grossolane;
– considera il dogma della Trinità «filosofia religiosa, non religione» (è chiaro l’influsso del risveglio sociniano d’allora e della negazione recisa della Trinità fatta da Voltaire e da Rousseau);
– vede in Gesù non la «natura divina» ma solo la «missione divina»;
– prescinde dalla dottrina della responsabilità solidale del genere umano nel peccato originale e riduce l’opera redentrice di Cristo a un dramma puramente umano: Cristo ha battuto in breccia il nazionalismo giudaico con la proclamazione della legge della universale fraternità umana;
– l’Antico e il Nuovo Testamento sono ridotti ad aspetti progredienti della verità valevoli per l’infanzia e per l’adolescenza del genere umano; nello stadio della maturità le verità rivelate si trasformeranno in verità razionali (così come diceva il Lessing); nell’attesa è bene «conservare ogni cosa» del cattolicesimo, pur dando ad ognuna di esse una particolare interpretazione (la Messa è semplice commemorazione del sacrificio, l’Eucarestia è simbolo della unione dell’anima con Dio, ecc.).
Giustamente il Gambaro definisce questo atteggiamento religioso del Capponi un «dottrinarismo deistico impastato con un cristianesimo crepuscolare, esangue, laico»; si tratta di un riformismo che si riduce ad un «protestantesimo liberale servito nelle forme esteriori dalla tradizione cattolica».
Lambruschini mosse acuti rilievi all’aristocratico amico di Firenze, ma il Capponi li accolse? Sta di fatto che vi fu una profonda mutazione in materia religiosa e che l’anno di crisi in cui il Capponi matura un orientamento decisamente cattolico fu il 1844.
In quell’anno morì al Capponi l’adorata figlia Ortensia, di parto.
Il Guasti, nel 1876, e ora il Gambaro vedono nel ritorno del Capponi all’intensa pratica religiosa «un bisogno prepotente della sua sensibilità così duramente colpita dalla sventura»; ma il Gambaro pure insiste, molto opportunamente, nel ricordare l’influenza che poté avere sullo spirito del Capponi il movimento di Oxford, capitanato del Newman, ed è provato che a volgere la sua attenzione a quel movimento il Nostro era stato stimolato dall’amico tedesco Ignazio Döllinger.
Molteplici sono poi le attestazioni del suo ritorno ad un’integrale accettazione del cattolicesimo.
Il XXXII dei “Pensieri diversi” fa propria la risposta di Napoleone al Monge sulla divinità di Cristo; nel 1864 il Capponi, in una lettera al futuro cardinale Capecelatro, qualifica il Renan per buffone e si dice fuggito dal giacobinismo intellettuale del famoso autore della “Vita di Gesù” che tentava di scoronare Cristo della natura divina; al parlamento del nuovo Stato italiano sostiene il carattere sacramentale del matrimonio e dichiara la sua viva preoccupazione perché l’indipendenza del Pontefice sia rispettata.
Si può, pertanto, concludere col Gambaro «se prima aveva professato una parvenza di cattolicesimo, in realtà concepito con una mentalità deistica o sociniana, in seguito fu sostanzialmente cattolico, ma non conformista».
Sì, Capponi, al di sopra di oscillazioni spericolate fu «cattolico, ma non conformista»: questa ci sembra la formula epigrafica che meglio compendia l’anima profonda della critica pedagogica del Capponi e, se non andiamo errati, il motivo di grande attualità che ha ancor oggi nella cultura e nella pedagogia italiana quello spirito così profondamente serio e arguto.
Si può scaricare il testo completo di note nell’allegato file .pdf
Non è stato possibile reperire la data della pubblicazione sulla rivista "Pedagogia e Vita". Ai fini della pubblicazione sul sito è stata indicata la data del 31.12.1970.