Giornale di Brescia, 5 marzo 2011
Affollato incontro alla Pace con lo scrittore Gabriele Nissim «Dalla Shoah al Ruanda, seguendo la memoria del bene»
Ci ricordiamo del male, e la memoria del negativo è fondamentale per noi, ma la memoria del bene oggi è ancora più urgente». Così la prof. Elisabetta Conti dell’Università Cattolica di Brescia ha introdotto giovedì, in un affollato Salone Bevilacqua dei Padri della Pace, in città, l’incontro con Gabriele Nissim, presidente del Comitato per la Foresta dei Giusti e autore del saggio «La bontà insensata – Il segreto degli uomini giusti» (Mondadori, pp. 264, 18,50 ).
Di quello si è parlato, dei «giusti», su invito della Cooperativa cattolico-democratica di cultura coi Padri filippini della Pace, alla presenza di
padre Giulio Cittadini, che fu impegnato nella Resistenza, e nel ricordo dei fratelli Rinaldini e di coloro che diedero la vita per difendere la propria idea di umanità. Fra i giusti, Alberto Franchi, presidente della Ccdc, ha ricordato il prof. Matteo Perrini, fondatore della storica Cooperativa cittadina che si è fatta promotrice dell’incontro.
«Sono una persona molto fortunata – ha esordito Nissim – perché ho incontrato molti uomini giusti: ricordo Vàclav Havel; Moshe Bejski; ho
conosciuto il figlio di Vasilij Grossman; e Laura Boella mi ha introdotto al pensiero di Hannah Arendt».
Quando si parla di «giusti» – ha chiarito il relatore – «si pensa a degli eroi, a persone di un altro mondo. Ma non è così. Essi sono uomini
imperfetti, ma capaci di difendere la dignità umana, quando questa viene minacciata». A partire da Moshe Bejski, che – salvato dallo sterminio degli ebrei perché inserito nelle famose liste di Oskar Schindler – «volle trasformare la sua esperienza in una missione, a poco a poco divenuta universale». E così andò a cercare in tutto il mondo, traendo i loro nomi dall’ombra e consegnandoli alla Storia, i «giusti» che, talvolta anche a rischio della vita, salvarono migliaia di ebrei. Oggi la Foresta dei Giusti è diventata universale, e cresce: Gerusalemme, Sarajevo, Jerevan, Milano e tra poco il Ruanda, il paese su cui attualmente Nissim sta concentrando le
sue ricerche e a proposito del quale ha spiegato: «Gli Hutu che uccisero i Tutsi non pensavano di uccidere uomini, ma subumani, quasi animali. Era loro dovere civile uccidere, per la realizzazione della nuova società degli Hutu.
Ma anche lì, dove ogni barlume di umanità pareva spento, brillarono le fiammelle degli uomini giusti. Fu il capo dei Caschi Blu dell’Onu, che
invano cercò di convincere le autorità superiori della necessità di inviare truppe per impedire il genocidio. Fu il console italiano Antonio Costa (candidato al Nobel per la pace), che ogni giorno portava alla frontiera decine di Tutsi, avvalendosi delle sue prerogative diplomatiche. Costa ricordava l’esempio di Giorgio Perlasca, che sottoscrivendo falsi documenti salvò tanti ebrei a Budapest. Perché ogni giusto accende una speranza, e qualcuno ricorderà il suo esempio e lo seguirà». «Per questo – ha aggiunto Gabriele Nissim – vado volentieri a parlare nelle
scuole (giovedì mattina era stato ospite degli studenti del Liceo Calini, ndr.), perché bisogna raccontare le storie dei giusti, trasmetterle alle
nuove generazioni. E non sono solo i grandi esempi che vanno raccontati, ma anche i piccoli gesti, perché ognuno può fare qualcosa nei confronti del male».
I «giusti» sono coloro che compiono atti di «bontà insensata»: la strepitosa espressione è usata in «Vita e destino» (in Italia edito da Adelphi) da Vasilij Grossman, il grande narratore ucraino trapiantato a Mosca, che, sia come giornalista sia come uomo, conobbe di persona gli orrori dei totalitarismi, e nel suo romanzo censurato, perduto e poi ritrovato – una straordinaria galleria di personaggi negli anni della battaglia di Stalingrado – equipara gli opposti totalitarismi di Hitler e di Stalin.
Scrive Grossman: «Non ci credo, io, nel bene. Io credo nella bontà». E aggiunge: «È la bontà dell’uomo per un altro uomo, una bontà senza
testimoni, piccola, senza grandi teorie. La bontà insensata, potremmo chiamarla».
Gli scettici obiettano che tali gesti, pur meritori, non cambiano però il corso della Storia. Ma Gabriele Nissim non è d’accordo ed evoca il pensiero di Hannah Arendt: per capire la storia dei giusti, è necessario fare appello non alla comune memoria storica, ma alla «memoria poetica», che sa cogliere le azioni umane indipendentemente dal risultato.
Il catalogo offerto da Gabriele Nissim attraversa la storia, dal Qohèlet alla kamikaze palestinese che si pente riconoscendo la comune umanità delle potenziali vittime del suo gesto; passa per Jan Palach per riallacciarsi all’analogo gesto di protesta del tunisino che ha acceso la rivolta tuttora in corso nel Nord Africa; comprende la testimonianza di Giovanni Falcone e l’onestà intellettuale del nostro presidente Giorgio Napolitano, che nel 2007, lontano dalle telecamere, ricevette al Quirinale la coraggiosa figlia di un comunista italiano, che nel 1921 fu inviato in Russia dal partito, per punizione, e finì fucilato nel 1938 perché accusato di spionaggio. Questa figlia aveva dedicato tutta la sua vita alla riabilitazione della figura del padre.
Quale è dunque – si è chiesto Nissim – il segreto degli uomini giusti? «Chi non assecondò il Nazismo – ha risposto il relatore – lo fece per mantenere il rispetto di se stesso e della sua nazione». Così, dopo aver attraversato i secoli, Nissim è tornato a Marco Aurelio, che forse aveva già detto tutto con questa frase: «Non sperare nella repubblica di Platone, ma accontentati che una cosa piccolissima progredisca, e pensa che questo risultato non è poi così piccolo».