Voce del Popolo, 19 febbraio 2010
“Quale democrazia?” è il titolo del libro (Edizioni Morcelliana) presentato nei giorni scorsi presso la libreria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia. Il testo, a cura di Mario Bussi e con l’introduzione di Francesca Bazoli, riprende una conferenza tenuta da Norberto Bobbio a Brescia nel 1959; in quel lontano periodo, alcuni giovani intellettuali riunitisi intorno a Stefano Bazoli (parlamentare democristiano alla Costituente e, poi, della prima legislatura), proponevano alla nostra città, senza pregiudiziali ideologiche, incontri culturali con studiosi di vario orientamento, per meglio comprendere i principi dell’allora giovane democrazia italiana.
Ospite dell’incontro organizzato dalla “Ccdc” (Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura) Salvatore Veca, professore ordinario di Filosofia della politica all’Università di Pavia.
Secondo Bobbio, la qualità e la misura della democrazia devono valutarsi attraverso i pregi (ideali) ed i difetti (reali) del “sistema” politico; da una parte il principio del consenso popolare, la responsabilità politica, la mobilità (ricambio) della classe dirigente ed il grado di “maturità” dei principi; dall’altra l’incompetenza (da leggersi anche come predominanza degli apparati burocratici) della classe dirigente e la mancanza di alternanza.
Per il filosofo torinese è necessario conciliare e coniugare la libertà individuale con l’efficienza del potere: un percorso difficoltoso, non realizzabile attraverso i “canali” delle riforme istituzionali, ma piuttosto attraverso un cambiamento di carattere sociale a lungo respiro, non risolvibile se non in tempi lunghi. La democrazia può essere riassunta nel difficile tentativo di raggiungere l’uguaglianza dei cittadini. A tal proposito, Bobbio amava ripetere che «solo attraverso la riduzione della disuguaglianza sociale diamo un senso alla storia».
Salvatore Veca, per cui il miglior modo per ricordare i maestri è quello di “discuterli” e non di “santificarli”, ricordando l’amicizia con Bobbio, indica la debolezza della democrazia nella presenza di soggetti “economici” capaci di influenzare lo svolgimento della politica. «Attualmente – ha esordito Veca – ci sono forti tendenze ad una conversione delle democrazie consolidate verso sistemi post-democratici; le regole esistenti devono convivere con nuovi schemi, come ad esempio l’aumento dei costi della politica e la disponibilità delle risorse economiche: si creano nuove oligarchie».
Nel nostro Paese i “rischi” per la democrazia sono ben visibili nell’interferenza dell’economia nella politica; le conseguenze sono evidenti nel c.d. “blocco” dell’ascensore sociale e nella ricostituzione delle “classi”, capaci di creare una tensione sociale verso l’uguaglianza. Definire la democrazia, tra le altre cose, significa “decifrare le tensioni per capire come stanno le cose e come dovrebbero essere”.
Secondo Mario Bussi il dispositivo bobbiano della democrazia può essere riassunto in tre punti: a) cosa la democrazia non è; ossia la contrapposizione tra democrazia ed autocrazia: un criterio descrittivo ed esplicativo in grado di distinguere. In tutti i sistemi politici c’è un gruppo di potere che comanda su altri; la linea di demarcazione (da leggersi come la definizione procedurale minima) è data dal modo in cui si costituisce il gruppo di potere ed il modo in cui si acquisisce un’autorità politica. b) cos’è la democrazia: metodo e regole che presuppongono valori. c) paradossi della democrazia/gradi di democrazia del sistema politico: i c.d. “indicatori” della democrazia, la correlazione tra qualità della vita (benessere sociale) e forbice di ineguaglianza (maggiori disagi, minore qualità della vita per tutti).
E’ a tutti evidente come l’attuale società sia sempre più frammentata e strutturata per ordini; da questo assunto si pone un’importante questione: la democrazia può convivere con un tasso sempre più crescente di disuguaglianza? Ma non ha senso dibattere di libertà ed uguaglianza se non ne delimitiamo i concetti; libertà da che cosa? uguaglianza tra chi? Sicuramente una società giusta deve garantire il sistema delle libertà della persona, giustifica eventuali ineguaglianze solo se l’ineguaglianza è a favore (priorità) dei soggetti più svantaggiati, persegue la solidarietà democratica. Come possiamo intervenire su questi fattori? Sicuramente la “dotazione iniziale” ha un effetto persuasivo sulle nostre prospettive; come possiamo accettare che il nostro futuro dipenda quasi totalmente dal primo atto (nascita) della nostra esistenza?
Dal ricordo della conferenza di Bobbio nel 1959 (un’attuale “grammatica” della democrazia) e dai preziosi spunti di riflessione del prof. Veca, la democrazia può essere misurata anche dalla capacità (tanto maggiore quanto più alta è la possibilità di accedere all’informazione ed all’istruzione) di scegliere liberamente. Contestualizzando il pensiero del filosofo torinese ed analizzando gli attuali sviluppi della democrazia italiana, non si può non condividerne il pessimismo: il bipolarismo italiano ha portato ad una campagna elettorale permanente, il regionalismo – oggi finto federalismo – è ben lontano dal ridurre le storture burocratiche centraliste ed il controllo degli organismi di “partito” è aumentato enormemente. Anche a cinquant’anni di distanza è sempre più attuale l’indicazione di Bobbio: «Che la democrazia consista nell’autogoverno del popolo è un mito che la storia continuamente smentisce. In tutti gli Stati chi governa (…) è sempre una minoranza, un piccolo gruppo». A noi il difficile compito di adoperarci per dare attuazione alla sua idea: «Il senso della storia è l’uguaglianza fra gli uomini».