Corriere della Sera, 31 agosto 2021
Come Socrate, Gesù non scrisse nulla, eppure enorme fu la sua influenza sulla formazione del pensiero occidentale. In un’epoca che vede tramontare la forma scritta tradizionale e il suo moltiplicarsi nelle forme della comunicazione digitale, quale è lo spazio per la “parola”? Risponde, per la serie dei Duetti nel bosco, Luciano Manicardi, priore di Bose dal 2017, accompagnato dal violinista Daniele Richiedei, venerdì 3 settembre alle 19.30, presso la base scout di Piazzole, a Gussago: un incontro voluto da Fondazione San Giorgio Onlus e Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura giunto alla quarta edizione.
La nostra società assolutizza la comunicazione e la prima vittima rischia di essere la parola. Se le dittature schiacciano la parola distruggendola in radice, la nostra ipermodernità la fa proliferare in maniera incontrollata, la inflaziona fino a svuotarla dall’interno. Eppure la parola fa di noi esseri umani. Tra sé e la realtà l’uomo interpone la rete delle parole e così egli nomina il mondo, lo conosce, lo significa e lo abita. Oggi, l’imperativo della comunicazione, agevolato da strumenti tecnologici a portata di tutti, semplifica la realtà e rischia di costruire una narrazione che si sostituisce ad essa e diventa una realtà parallela. Le fake news, l’informazione deformante volta a plasmare la mente umana e a creare consenso, hanno oggi un potere straordinario. Non a caso nel mondo politico è decisiva la “macchina” comunicativa e l’argomento “parola” è oggi tanto di ordine etico quanto politico.
Sovrabbondano le parole a discapito di retorica e contenuti poveri e vuoti. In una società individualista e narcisista, che spazio c’è per il silenzio? Lo sappiamo sopportare?
L’ideologia dominante della comunicazione trova nel silenzio l’insopportabile, la rovina del proprio sistema. Il silenzio manda in tilt il troppo pieno della comunicazione saturante. Così il silenzio è oggi merce rara, temuto perché mette in contatto con parti profonde. Ovviamente, mi riferisco al silenzio inteso non come mero tacere, ma come azione interiore. Il contrario della parola è il rumore, mentre il silenzio è l’interiorità della parola. Esso fa sì che parlare sia sentire ciò che si dice e aderirvi, nutrendo la parola di convinzione e di coerenza. Parlare a partire dal silenzio significa testimoniare. Il testimone, il martire, è colui che osa rischiare la vita per la parola che pronuncia, che nel silenzio trova la sua massima espressione, come Gesù che muore quale agnello afono lasciando risuonare per i secoli futuri la potenza delle sue parole e del suo messaggio.
Quale è il rapporto tra parola e musica? Può la seconda correre in soccorso della prima?
Ciò che unisce parola e musica è il suono che si condensa nella voce che sempre accompagna la parola. L’originarietà del suono, verificabile nella vita del feto che sviluppa il senso del ritmo ascoltando il battito del cuore della madre, dice come l’udito sia il senso fondamentale dell’essere umano, che lo unisce e al contempo lo distingue dal mondo. L’inizio dell’esperienza umana fin dal ventre materno è un fenomeno musicale. La prima comunicazione, preverbale, che avviene tra il bambino e la madre, è una sorta di musicale “sintonizzazione”. Certo, la parola è precisa e analitica, la musica invece gioca sulle relazioni interne delle note e non ha riferimenti a oggetti specifici. Ma anch’essa parla e potremmo dire che dice tutto non proferendo parola. Se la parola designa, la musica evoca.