Il 30 ottobre del 1988 si spegneva a Roma uno dei maggiori filosofi italiani del Novecento, Nicola Petruzzellis. Di lui – pensatore di complessa e multiforme articolazione teoretica, in cui confluiscono il gusto del classico, la consapevolezza dell’eredità culturale del Cristianesimo e un’eccezionale padronanza delle filosofie dell’Ottocento e del Novecento – vogliamo qui solo ricordare rapidamente il cammino percorso e i contributi arrecati al dibattito filosofico del nostro tempo. Nella vicenda di un uomo – e un uomo di quella forza speculativa e onestà intellettuale – non sarà difficile cogliere nelle sue linee essenziali il dramma stesso del pensiero di questi ultimi sessant’anni. Quale fu la linea di sviluppo del pensiero di Nicola Petruzzellis? Quando egli esordì poco meno che ventenne (era nato in Puglia, a Trani, nel 1910) negli studi filosofici, il pensiero italiano era dominato dal neoidealismo di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile. Vi si opponevano con assai minor successo, dal punto di vista della diffusione e dell’incidenza nella cultura del tempo, lo spiritualismo del De Sarlo, il neotomismo di mons. Olgiati e di P. Chiocchetti, il relativismo o sperimentalismo di Antonio Aliotta. Lo scontro di queste correnti attraeva tutta la sua attenzione, senza che nessuna di esse riuscisse a conquistare l’adesione del giovane studioso, nonostante la personale deferenza che lo legava ad Aliotta, che fu suo professore, nonché di amici e condiscepoli quali Nicola Abbagnano e Michele Federico Sciacca. La scelta personale della tesi di laurea rispecchiava, da un lato, il fascino esercitato dal problema della storia e l’insoddisfazione dello storicismo e, dall’altro, l’esigenza di combattere l’idealismo sul suo stesso terreno, risalendo alla sua genesi storica. Intraprese allora il Petruzzellis lo studio del duplice filone che confluisce nell’idealismo: il romanticismo tedesco e il criticismo kantiano. Dopo qualche anno dalla laurea, nacque il suo primo libro il problema della storia nell’idealismo moderno (1936), più noto, dopo la terza edizione presso l’Editrice Morcelliana (1957), col titolo più semplice, “L’idealismo e la storia”. Contemporaneamente il Petruzzellis studiava con la stessa alacrità la filosofia greca (e in particolare Plotino), la Scolastica (e in particolare Tommaso), il Rinascimento (e in particolare Erasmo da Rotterdam).
L’intensa preparazione di un decennio, oltre a chiarirgli la distinzione tra filosofia e storia della filosofia, identificate dall’idealismo, lo condusse ad una nuova visione della storia. L’idealismo si presentava in quel tempo come la sola filosofia in grado di offrire la chiave risolutiva ai problemi della storia e dell’arte. Il Petruzzellis, pertanto, dedicò al problema dell’arte un’indagine non meno accurata di quella che aveva dedicato al problema della storia, rifacendo la storia dell’idealismo anche nella sfera estetica e ritrovando aporie non meno gravi di quelle registrate nella concezione storicistica. Frutto di questi studi furono i volumi: “L’idealismo e la storia”, “Il valore della storia”, “L ‘estetica dell’idealismo e la Filosofia dell’arte”. L’importanza del capolavoro di Petruzzellis, che è senza dubbio, Il valore della storia, un libro, coraggiosamente contro corrente, non sfuggì all’acume del nostro maggiore pensatore politico, Luigi Sturzo, allora, in esilio. Intanto la seconda guerra mondiale, il tormentato dopoguerra, i contatti col pensiero europeo ed angloamericano avevano portato alla ribalta altri problemi. L’esistenzialismo pareva destinato a succedere all’idealismo come protagonista del pensiero filosofico. Ma l’esistenza, vista attraverso le lenti affumicate dell’esistenzialismo, appariva non meno inesplicabile, non meno assurda e priva di senso di quanto non sembrasse attraverso l’euforia idealistica. Perciò il Petruzzellis – docente di teoretica e di pedagogia all’Università di Bari dal ’45 al ’59, e dal ’59 a1 ’78 a Napoli – si dedicò allo studio critico dell’esistenzialismo sia di destra che di sinistra, sia tedesco che francese. Il che dette origine ad un gruppo di scritti dedicati al problema dell’esistenza e alla critica dell’ esistenzialismo. La caduta della dittatura e la restaurazione della democrazia l’indussero a scrivere “Il pensiero politico e pedagogico di G.G. Rousseau”, “Il problema sociologico nella prima metà del secolo XIX”, e “Lineamenti di Filosofia politica”, in due volumi (diventati tre nella terza edizione). Le prime esperienze maturate in decenni di studi e ricerche, nonché l’esigenza di criticare il problematicismo di fondo di tanta parte del pensiero contemporaneo, diedero origine a un’altra grande opera sistematica, “Sistema e problema”, in cui si passavano in rassegna i problemi metafisici, logici, epistemologici, etici e pedagogici affioranti dai dibattiti contemporanei. Luigi Stefanini scoprì proprio attraverso “Sistema e problema” la profondità speculativa e l’originalità del pensiero di Petruzzellis e di ciò diede pubblica testimonianza.
La pedagogia aveva intanto suscitato nel filosofo pugliese un appassionato interesse fin dai primi anni del suo insegnamento; dalle ricerche in questo campo nacque il volume “I problemi della pedagogia come scienza filosofica” (che giunse alla sesta edizione nel 1973), in cui lo statuto epistemologico della scienza dell’ educazione e il processo di formazione del carattere sono lumeggiati con vigore e aderenza al reale. Alla pedagogia furono anche dedicati il volume “Il pensiero pedagogico di G.F. Herbart” ed altri scritti. In tutte le opere precedenti ricorreva, più o meno ampio il riferimento ai valori dello spirito, mentre di questa espressione si faceva largo uso ed abuso negli scritti più diversi, perfino nei discorsi politici. Il che indusse il Petruzzellis a scrivere “I valori dello spirito e la coscienza storica”, un altro libro di fondamentale importanza in cui si distingueva la storicità, che è il senso e il gusto della storia, sia dall’antistoricismo passatista che dallo storicismo, il quale tutto livella e giustifica cancellando i valori e rendendo inesplicabile il cammino umano della storia. I nuovi astri sorgenti e cadenti nel ribollire del pensiero contemporaneo stimolarono la riflessione critica del Petruzzellis, che si espresse nei volumi “Meditazioni critiche” e “Problemi ed aporie del pensiero contemporaneo”. Le discussioni sulla scuola ispirarono i volumi “La scuola del preadolescente”, “Maestri di ieri”, “Il metro della libertà” e l’incandescente “Critica dell’inautentico” (Giannini, Napoli, 1974), la più bella disamina delle idee e dei miti del ’68.
Petruzzellis, bisogna ricordarlo, fu uno dei pochi tra gli happy few italiani a saper dare ai giovani una lezione di coraggio e di stile nel decennio di piombo tra il ’68 e il ’78, negli anni più difficili attraversati dalla scuola e dalla politica italiana. Le oscurità e le confusioni che si riversavano dal già sconvolto campo della filosofia in quello del pensiero teologico – in cui la crisi postconciliare aveva lasciato il segno – indussero il Petruzzellis a scrivere “Ricerca filosofica e pensiero teologico” (Libreria Editrice Vaticana, 1982). Il neopositivismo e il congiunto scientismo addensavano nuove ombre sugli orizzonti della filosofia, sì che al Petruzzellis parve doveroso adoperarsi per dissiparle, distinguendo i fasti della scienza dai nefasti delle teorie epistemologiche di impronta scientista con una serie di scritti che culminano ne “La crisi dello scientismo” (Nuovo Istituto Editoriale Italiano, Milano,1983).
L’ultima opera dell’infaticabile maestro è un denso volume di quasi seicento pagine, che volle intitolare “Valori e libertà” (Ler, Napoli-Roma, 1987). Quel libro, che vide la luce solo pochi mesi prima della morte dell’autore, costituisce il suo testamento e provando, con incredibile limpidezza e puntuali confronti con altri punti di vista, il nesso tra valori e libertà, disvela in ogni pagina il senso di una vita spesa al servizio della verità cercata, amata e difesa con tutta l’anima, con purezza di cuore, senza calcolo alcuno e senza le ambiguità di comodo. Un uomo così ostile a ridurre il tormento della ricerca a spettacolo, così negato a farsi amici tra i potenti della politica e dell’editoria, così estraneo allo spirito di clan non poteva, di certo, avere vita facile. Ma coloro che, come me, l’ebbero docente e guida alla ricerca disinteressata, maestro di grande apertura di orizzonti e d’implacabile rigore logico, serbano di lui nel loro cuore un ricordo grato e incancellabile. I maestri di coloro che “mostran di sapere” si sono oggi moltiplicati a non finire. Petruzzellis non era affatto uno di loro.
Giornale di Brescia, 30.10.1990.