Ancon, il nome latino della città di Ancona, è parola di origine greca, nella cui lingua suona allo stesso modo e significa gomito. Infatti la costa adriatica qui si piega in corrispondenza del Conero e forma una sorta di gomito naturale, quello che i Romani chiamavano invece cùbito. Questa è la spiegazione tradizionale del nome della città, riportata e condivisa da molte fonti antiche, tra le quali Plinio il Vecchio: la leggiamo nel terzo libro della Naturalis Historia, cioè nella sezione dedicata alla geografia.
Troviamo che il nome di Ancona, capoluogo del Piceno, che era la quinta regione nella divisione augustea dell’ Italia, è spesso accompagnato nei testi antichi dalla precisazione circa la sua origine, che è dorica. Questo attributo le viene dal fatto di essere stata fondata all’ inizio del IV secolo da Siracusa, la potente città dorica, a sua volta originata dalla madrepatria Corinto.
Nella dorica Ancona sono ambientati alcuni fatti storici di un certo rilievo nell’ età romana: vi accaddero ad esempio nell’ 84 a.C. alcuni tumulti popolari, durante i quali venne ucciso Cornelio Cinna, avversario di Silla. Anche la poesia latina ha avuto modo di parlare di Ancona almeno due volte.
Partiamo da queste due testimonianze letterarie, la prima delle quali è brevissima, ed è dovuta a Catullo, che nomina la città nel carme 36. In un contesto tutto scherzoso e pieno di ironia, il poeta veronese racconta che la sua donna ha fatto un voto a Venere, protettrice di molte località marittime, tra le quali appunto Ancona. Il riferimento alla città non ha nulla a che fare con le turbolenze sentimentali tra Catullo e Lesbia, ma è solo una digressione dotta del poeta. E’ la conferma dell’ esistenza di un antico culto locale alla dea dell’ amore, che si sostanziava nella presenza di un tempio allora famoso, dedicato a quella divinità.
Più corposa invece (anche se indiretta) è l’ altra testimonianza letteraria, quella che ci viene dalla quarta satira di Giovenale, scritta nei primi anni del secondo secolo d.C.: un pesante attacco contro l’ imperatore da poco scomparso, quel Domiziano passato alla storia per la sua crudeltà. Anche qui si parla della dorica Ancona e del tempio di Venere che dominava la città; ma l’ ambientazione picena è solo il punto di partenza della satira. Giovenale racconta che si era verificata una pesca eccezionale, proprio al largo del porto: un pescatore aveva catturato un rombo di inaudite dimensioni, e si era affrettato a Roma per donarlo all’ imperatore, prima di esservi peraltro costretto. Dopo un discorso adulatorio, che Domiziano in questa occasione aveva preso sul serio, era avvenuta la consegna. Ecco allora che l’ imperatore, che di solito agiva senza consiglieri di sorta, decise di riunire in fretta il Senato per dibattere un angoscioso problema: quello di trovare una padella adatta all cottura del rombo.
Ma il porto di Ancona merita di essere ricordato per più nobili motivi. Vi si trova ancor oggi il maestoso arco di Traiano, opera dell’ architetto Apollodoro di Damasco. Ha un solo fornice, è innalzato su alte colonne corinzie e sormontato da un lunga iscrizione dedicatoria. Lo si può ammirare nelle immediate vicinanze del mare, dove oggi si aggirano macchine elevatrici, containers e trasporti eccezionali provenienti da tutto il Mediterraneo. L’ arco non è certo collocato in una posizione di rispetto, ma è un po’ discosto dal brulichio della vita marittima, e sopraelevato sulla banchina grazie a un alto podio, che gli conferisce un aspetto slanciato e solenne. Venne realizzato intorno al 115 d.C. per volontà dell’ imperatore, che anziché dedicarsi alla degustazione dei rombi come Domiziano, intendeva ringraziare la città per la costruzione di un grande molo, che veniva a ingrandire il porto preesistente.
Giornale di Brescia, 11.1.2003.