Valentina Gheda: Questa serata prende spunto dalla pubblicazione da parte dell’Editrice Morcelliana pochi mesi fa del libro “Iran, donne e rivolte”, da cui prende il titolo questa serata. Un incontro nato per creare un’occasione di dialogo, in merito alla nota situazione iraniana, in particolare alle rivolte scoppiate nel settembre del 2022, in seguito alla morte della giovane ragazza curda Mahsa Amini, che è stata fermata dalla polizia morale iraniana, poiché indossava il velo in maniera inappropriata e che è morta in circostanze misteriose. Lo stesso tragico destino è capitato recentemente ad un’altra giovanissima ragazza, la liceale Armita Geravand, la quale è stata, probabilmente, fermata nella metropolitana di Teheran e dopo settimane di coma è morta per le percosse ricevute. Proprio nelle scorse settimane sono stati dati due premi molto importanti, per il riconoscimento di questa opera di dissidenza nei confronti della teocrazia politica islamica iraniana: il premio Sacharov per il libero pensiero del Parlamento Europeo, che è stato attribuito a Mahsa Amini e anche al movimento per i diritti femminili “Donna vita e libertà”, e un secondo premio, il Nobel per la pace 2023, attribuito a Narges Mohammadi, giornalista e attivista per i diritti delle donne, che tutt’oggi è incarcerata nel famigerato carcere di Evin.
Anna Della Moretta: L’Iran è un paese con più di 88 milioni di abitanti, un paese in cui vivono molte minoranze ed è quindi molto pericoloso semplificare. È pericoloso pensare che sia un paese molto lontano da noi, lo scrive benissimo Sara nel suo libro. “Un altro dei grandi paradossi iraniani è che si tratta di un paese ricoperto di un velo di esotismo e di lontananza culturale, quando in realtà è per lingua, storia e tradizioni, vicinissimo a ciò che comunemente chiamiamo blocco occidentale.” Bisogna partire da qui per cercare di comprendere quello che si sta muovendo in Iran.
Focalizzo l’attenzione su tre date:
Nel 79 andò al potere l’islam, il che fu una grande novità per gli iraniani, c’erano molte aspettative. nel 2019, per la prima volta, cominciò ad essere messo apertamente in discussione che la Repubblica iraniana dovesse essere islamica e nel 2022, questo mettere in discussione l’islam politico, si è ulteriormente accentato. Sara puoi aiutarci a capire che cosa si è mosso dalla rivoluzione islamica ad oggi.
Sara Hejazi: Ultimi 45 anni dell’Iran. Paese che siamo abituati ad immaginarci come lontano, barbuto, velato, nero; Noi conosciamo l’Iran dalle storie di Erodoto, ma in realtà i persiani hanno scritto le loro storie, dal loro punto di vista, di questa lotta tra greci e persiani. Zona geografica da sempre toccata da diverse civiltà e che ha in un certo senso rappresentato sempre un orizzonte cosmopolita, fin dalla nascita della civiltà dei persiani. Questo cosmopolitismo ci porta alla rivoluzione del 1979. Questa rivoluzione ha avuto alla sua base grandi idee politiche, così come il 68 ha mosso le nostre università occidentali, gli anni 70-80 hanno mosso il Medio Oriente con grandi ideologie, forgiate anche dalla lettura di filosofi e pensatori che non necessariamente venivano da quella parte del mondo: ideologie che si formavano anche su Sarte, Aristotele e altri europei. Il fermento di quegli anni porta alla nascita di un fenomeno, ovvero l’islam politico, che di fatto è una novità, è un fenomeno sociale nuovo, che fondamentalmente vede nella religione la possibilità di liberarsi dal rischio di essere dominati da potenze straniere e quindi dal rischio della colonizzazione. Questo tipo di ideologie non sono diverse dalla liberazione dell’America Latina, che vede invece nel cattolicesimo questa possibilità. Quello che noi chiamiamo il sud globale è animato da queste idee. Vedere nelle religioni la possibilità di liberarsi. La religione diventa politica, la religione diventa utopia e la religione sciita ha in sé questa visione dell’avvenire. Il 1979 porta un po’ a compimento una serie di movimenti ideologici, che vogliono prendere lo spazio pubblico, vogliono essere ascoltati. Viene rovesciata una monarchia, percepita come un burattino nelle mani delle grandi potenze occidentali e quindi tra le varie ideologie che partecipano a questo rovesciamento si polarizzerà il discorso, per forza simbolica, dell’Islam. C’è una sorta di promessa in questa rivoluzione, incarnata anche dall’Iman Ruhollah Khomeyn. La rivoluzione poi si polarizza e si islamizza con la forza (arresti, stupri). I metodi per salire al potere non cambiano, questa è una caratteristica molto umana; si polarizza e diventa poi una rivoluzione islamica. Nel 1989 il mondo cambia, la caduta del muro di Berlino, la fine della guerra Iran e Iraq, la morte dell’Imam, che aveva polarizzato la rivoluzione islamica. Si entra in un’altra fase: una fase anche economica, si va verso una progressiva privatizzazione, la quale introduce una sorta di capitalismo islamico, che è forse anche la sua grande condanna. Ciò porta ad una società in parte secolarizzata, in cui in fondo il capitale ha più da dire della religione stessa, a tutti gli effetti l’Iran segue le logiche del mercato e questo fa sì che la rivoluzione sia completamente svuotata di senso e non abbia più alcun senso per i giovani. Il 16 settembre del 2022 la morte della curda Mahsa Amini scatena una serie di proteste che poi avranno un’eco a livello globale.
Valentina Gheda: Alcune parole e alcune azioni si sono imposte nel nostro immaginario: per primo lo slogan che ha guidato la rivolta “donne, vita, libertà”. Ma anche altri atti simbolici: come il gesto di tagliare i capelli, che è stato utilizzato in tutto il mondo per prendere posizione nei confronti della dissidenza iraniana. Nel tuo libro, Sara, oltre a queste due cose, hai individuato un altro atto molto importante, che è quello di tagliare gli indumenti. Chiederei a Sara di inquadrare questo slogan e chiederei poi ad entrambe le relatrici che cosa significano questi atti di tagliare i capelli e gli indumenti.
Sara Hejazi: La storia di questo movimento è una storia che noi possiamo leggere all’interno dei vari movimenti femministi che hanno animato il mondo negli ultimi trent’anni. Noi conosciamo bene il 68, però lo vediamo sempre in modo molto eurocentrico. Negli anni 90 nasce, all’interno del movimento di liberazione curdo, l’idea di un femminismo: liberare la vita. Abdullah Öcalan afferma l’idea che non esiste una società evoluta, se non si garantisce l’uguaglianza di genere. Questo movimento si basa sullo studio della donna, si augura che l’istruzione e la partecipazione nello spazio pubblico delle donne curde possa portare il popolo curdo ad una sua autonomia e autodeterminazione. Con Gineologia (scienza delle donne) =femminismo curdo, si prospetta questa idea che una società patriarcale è una società mortifera, ovvero una società che porta un’idea di morte di fondo, un soffocare, un soggiogare il femminile. Un gesto che soffoca la vita. Associazione tra donna, vita e libertà. Dare respiro alla donna, quindi dare respiro alla vita.
Pegah Moshir Pour: Da un punto di vista digitale abbiamo visto come questo hashtag #donna, vita, libertà sia stato tradotto in tantissime lingue. È una condizione della donna, essendo in un mondo molto patriarcale, misogino e maschilista, in cui si rivedono un po’ tutte, perché nessuna viene ben rappresentata. Questo movimento si unisce a moltissimi altri movimenti che poi sono nati, come: Non una di meno o Me too, che sono stati i più grandi ad avere spazio digitale. Digitale che unisce tutte le donne e che mostra che c’è ancora qualcosa che non va nel mondo, un mondo che è stato costruito da uomini, molto spesso bianchi, su misura per loro. Questo è un ennesimo movimento che nasce dalle donne in Iran e che funziona tanto perché ci sono molti uomini che combattono insieme a loro. C’è una popolazione molto giovane che non si ritrova e poi ci sono anche i pentiti. C’erano tante persone che credevano a questo Iman, ad un certo punto però si ritrovano sotto ad un’altra dittatura. Il velo viene imposto di nuovo, questa imposizione non viene dall’Islam, è una pura imposizione degli uomini, e ci tengo sempre a specificarlo.
Non dimentichiamo che nel 2019 sono state uccise mille e cinquecento persone che manifestavano per l’innalzamento del prezzo della benzina, ci sono tantissimi buchi, insoddisfazioni, che continuano ad andare avanti, è una condizione di vita generale che il paese non regge più, sono stanchi della privatizzazione. La ricchezza è sempre in mano a pochissimi. Il popolo sta combattendo con enorme coraggio, in prima linea c’è la generazione Z, che si conferma come la generazione più attiva e disobbediente, che per fortuna abbiamo.
Anna Della Moretta: Sara prima ha introdotto il concetto di femminismo e in una parte del suo libro si interroga sull’esistenza di un femminismo iraniano. Un femminismo iraniano è sempre esistito e c’è stata una fase, dopo la rivoluzione del 79, in cui c’è stata una polarizzazione tra femminismo islamico e femminismo laico. Le femministe islamiche accusavano le femministe laiche di essere troppo occidentalizzate. Vorrei sapere la situazione attuale con le giovani generazioni.
Sara Hejazi: Il femminismo in Iran nasce alla fine dell’Ottocento. C’era già una riflessione, che aveva una sua visione del velo. Questa questione del velo va avanti dall’Ottocento. L’incontro con l’altro è stato determinante. L’opinione che ci si forma sull’altro non è mai unilaterale. La prima domanda che si fanno è perché noi siamo arretrate culturalmente, domanda che si fanno le donne femministe, forse dovremmo guardare questi movimenti femministi europei. Si scrivono diversi testi, che riflettono su questa idea del velo. La modernità inizia con la fine dell’Ottocento. Con la nascita di questo islam politico nasce il femminismo islamico, che vede di nuovo nella religione una garanzia, una possibilità di garantire una uguaglianza di genere. Oggigiorno il femminismo è molto cambiato, è cambiato il modo in cui ci associamo. Io non chiamerei le giovani generazioni femministe, ma le chiamerei attiviste, non necessariamente in senso politicizzato, non si riconoscono in un’ideologia, oggigiorno va incorporata un’idea di mondo, di stile di vita.
Pegah Moshir Pour: Mia madre era l’ultima della sua scuola superiore ad aver messo il velo. Io ricordo le mie zie, che nel momento in cui passava la polizia morale e gli intimava di rispettare l’hijab, loro li mandavano a quel paese. Non bisogna dimenticare la grande alfabetizzazione delle donne iraniane, per il 97% alfabetizzate, il 70% laureate, di cui più della metà in materie STEM. Queste donne hanno molta forza. Le donne iraniane sono molto diverse dalle altre donne, la cultura non è islamica, non è araba. Ha una sua identità molto forte, si tratta di una rivendicazione culturale. Dal 2016 migliaia di iraniani si recavano davanti alla tomba di Ciro il grande, il 29 ottobre si dice che Ciro abbia conquistato babilonia e abbia dato vita all’impero persiano. Dal 2016 in poi si sono fatti dei pellegrinaggi, volendo rimarcare le proprie origini. Dal 2017, dato che il regime si è reso conto che si riunivano troppo persone, hanno chiuso questo luogo UNESCO, cosa che non si può fare. I ragazzi e le ragazze cercano di documentare attraverso le foto e i video la loro appartenenza culturale, è molto bello da raccontare, ma difficile da trasmettere, per le tante differenze interne. Paese di passaggio e molto ambito da sempre. L’Iran è il paese delle contraddizioni.
Valentina Gheda: Una particolarità della teocrazia politica iraniana è di aver puntato dal 1979 in poi sull’alfabetizzazione della popolazione e sulla sua scolarizzazione. Perché in un paese così istruito, alfabetizzato e colto come l’Iran esiste qualcosa come la polizia morale? Che cos’è la polizia morale e come porta avanti tale forma di controllo?
Sara Hejazi: La polizia morale esiste perché bisogna incorporare l’ideologia. Il corpo deve esprimere l’ideologia. Nel 2005 la maggior parte dei giovani erano lontanissimi da una Repubblica islamica. La scolarizzazione ha portato ad un distanziamento dei giovani da quella ideologia. Ci vuole il braccio duro per mantenere l’ideologia. Si sono impiegate delle forze per controllare questo famoso spazio pubblico. Una delle garanzie della rivoluzione islamica è stata quella di promettere, a chi era molto religioso, di garantire la moralità nello spazio pubblico e questo ha aperto le strade a questa polizia morale. Ci sono delle donne in Iran che hanno la funzione di ricordati di mettere bene il velo, altrimenti si corrompe lo spazio pubblico.
Pegah Moshir Pour: La polizia morale si intensifica d’estate perché fa caldo e c’è uno svestimento. Tuttavia, il velo iraniano e le tuniche, per nascondere le forme delle donne, sono state rese un po’ alla moda. Hanno cercato di rendere alla moda l’abbigliamento, cosa vista male dai moralisti, ma le donne in qualche modo si curano, c’è un’alta attenzione verso la cura della propria bellezza. le donne cercano di piacersi. Una volta la polizia morale voleva portare via mia mamma per via del suo smalto rosso. Oggi ci sono le ragazze che portano i pantaloncini. Questa polizia doveva fermare i ragazzi e proteggere il decoro pubblico. Questa polizia morale prende i ragazzi e li porta in delle sessioni di rieducazione, ma Masha essendo curda aveva un motivo in più per essere percossa e poi uccisa. Sono davvero tante persone uccise dal regime (giovani, donne, uomini). La polizia morale poi nasconde i corpi dei ragazzi, il corpo morto viene preso in ostaggio in cambio del silenzio della famiglia. Di queste storie ce ne sono davvero tante. Gli iraniani sono stanchi di queste continue violenze. Non bisogna dare spazio al regime iraniano! Da un punto di vista digitale l’Iran non è per niente arretrato, ha un’infrastruttura tecnologica e digitale molto forte, hanno costruito un’intera piattaforma in un deserto sperduto, dove minano criptovalute. Il gruppo di Hamas ha avuto un bel carico di criptovalute con le quali si è potuti permettere tutto quello che ha. Non dimentichiamo del pericolo imminente di cui dobbiamo tutti preoccuparci, ovvero i paesi BRIC.
Valentina Gheda: La spinta verso la digitalizzazione dell’Iran può essere considerata come l’aver coltivato una serpe in seno al Paese stesso?
Pegah Moshir Pour: L’Iran cerca in tutti i modi di controllare la propaganda. Ci sono due grandi nemici secondo la propaganda iraniana: uno è il grande diavolo degli Stati Uniti e uno il piccolo diavolo di Israele. Hanno portato avanti questa propaganda ovunque, anche nel digitale, un posto abbastanza libero, quando le piattaforme te lo permettono. I contenuti che con grandi difficoltà sono usciti dall’Iran, video e foto molto violente, dove c’è molto sangue, sono però testimonianze che non devono essere oscurate o censurate. Abbiamo il regime islamico che censura le piattaforme, quando si va in Iran per usare i social non potete accedervi se non avete attivato la VPN, applicazione che serve per oscurare l’IP del telefono e quindi si può entrare, rompe il filtro della censura. C’è stato in parallelo a questa dittatura digitale, tanta solidarietà, ci sono tanti attivisti che in tutto il mondo si sono mobilitati per aiutare a far circolare con più facilità la documentazione. I reporter in Iran sono i cittadini stessi. è importante seguire gli hashtag: #Iranprotest #Iranrevolution. Servono per non far morire invano tutte queste persone.
NOTA: Trascrizione della conferenza – non rivista dalle autrici – tenuta a Brescia l’11.11.2023 su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, Comune di Brescia, Fondazione Brescia Musei, Coordinamento provinciale degli Enti locali per la Pace e la Cooperazione internazionale e ADL a Zavidovici.