John H. Newman, un cristiano inquieto

Con questo titolo vogliamo porre l’accento sull’appassionata ricerca della verità, senza urtare la sensibilità delle altre confessioni cristiane, che è una delle caratteristiche fondamentali della ricca personalità del nuovo Beato.

Nella nostra esposizione toccheremo i seguenti punti:

1.                  L’ “Apologia pro vita sua” di Newman

2.                  Alcune delle tappe più importanti del suo cammino interiore

3.                  Importanza ed attualità dell’insegnamento del grande convertito alla Chiesa Cattolica

4.                  La sua “eccezionale” santità

I. APOLOGIA PRO VITA SUA” DI NEWMAN

1.                  John Henry Newman, beatificato da Benedetto XVI il 19 settembre a Birmingam in Inghilterra, è , senza dubbio, uno dei pensatori più geniali dell’ Ottocento. La storia della sua vita continua a toccare le menti e le coscienze del nostro tempo. Vale la pena di presentare questa storia a partire dalla sua famosa autografia, intitolata “Apologia pro vita sua” (Jaca Book, Milano, 2 ed, 1995).

Quando Newman scrisse l’ Apologia, aveva 63 anni. Dalla sua conversione alla Chiesa Cattolica erano passati 19 anni. Ultimamente parlando, egli si trovava allora nel momento più basso della sua vita. Nell’opinione pubblica molti dubitavano della sua integrità personale, perché non erano in grado di capire come un uomo tanto intelligente avesse potuto lasciare la Chiesa d’Inghilterra, associandosi ad un piccolo gruppo di cattolici, apparentemente disprezzati dalla società inglese di allora. Da parte degli anglicani Newman era considerato un traditore, un uomo squilibrato che si era associato ad una comunità corrotta, in contraddizione con il vero cristianesimo e legata alla causa dell’ Anticristo.

Nella Chiesa Cattolica Newman aveva trovato la pace interiore; ma spesso le sue idee e iniziative non erano comprese correttamente; il suo grandioso progetto di una Università Cattolica a Dublino era fallito miseramente; le sue riflessioni sui fedeli laici non sempre venivano bene intese. Infine, nella stessa Comunità degli Oratoriali, fondata proprio da Newman, si manifestavano contrasti, che facevano soffire l’anima sensibile del fondatore. All’inizio del 1864, la personalità di Newman era quasi dimenticata. Egli stesso pensava di dover morire presto. Ma nello stesso anno, con la pubblicazione dell’ Apologia, la situazione sarebbe cambiata completamente.

Ma perché Newman scrisse l’Apologia? Da dove gli venne lo “stimolo” per tale pubblicazione, la “chiamata” senza quale egli non usava scrivere niente?

La risposta la troviamo nella grave accusa fatta contro di lui, nel 1864, da Charles Kingzely, professore di storia moderna a Cambridge. “ La verità per sé – egli scrisse – non è mai stata considerata tale; che l’astuzia è l’arma data dal cielo ai santi per resistere alla maschia forza di questo mondo malvagio” (Apol., 3).

Questa ed altre accuse contro Newman non riguardavano, quindi, soltanto la sua vita personale, ma anche il clero cattolico e la sua vita personale, ma anche il clero cattolico e la stessa Chiesa di Roma. Egli sentì il dovere di difendersi, allo scopo di difendere il clero e la stessa Chiesa Cattolica. Ecco perché decise di scrivere l’ Apologia. Ecco il suo preciso scopo.

Il 10 aprile 1864, Newman comincia il suo lavoro. In solo dieci settimane ripercorre la sua vita fino alla conversione. Nel suo diario l’Autore dice di scrivere dalla mattina fino alla sera, quasi non avendo tempo nemmeno per i pasti. Con l’aiuto di tanti documenti e lettere ancora in suo possesso, con la collaborazione di numerosi amici, sia anglicani che cattolici, e con il sostegno di una memoria straordinaria, Newman riesce a ricostruire dettagliatamente la storia, l’origine e lo sviluppo delle sue personali convinzioni religiose.

2.                  L’ Apologia è un’autobiografia di tipo particolare. Essa non è una descrizione difatti esteriori; infatti, Newman parla raramente della sua famiglia, dei suoi incarichi, dei suoi viaggi, della sua vita quotidiana. L’ Apologia è la storia di una coscienza, è un racconto di fatti anteriori, nel quale Newman rivela, come dice egli stesso, “i miei pensieri più intimi, anzi il mio rapporto personale con il Creatore” (Apol, 15). Per questa ragione l’Apologia viene talvolta paragonata alle Confessioni di Sant’Agostino.

L’effetto dell’Apologia in Inghilterra fu impressionante. Il libro passò da una mano all’altra; fu letto nelle famiglie, nei negozi, nei clubs, nei treni; fu raccomandato ai fedeli e agli uomini di buona volontà sia sui pulpiti anglicani che su quelli cattolici. Nell’opinione pubblica fu chiaro che Newman aveva vinto la controversia contro Kingsley, (secondo il quale Newman – insieme a tutto il clero cattolico – non sarebbe onesto e non prenderebbe sul serio la verità). La sua integrità personale fu di nuovo riconosciuta. Ma non soltanto questo: l’Apologia ha contribuito notevolmente al rinnovamento della Chiesa Cattolica in Inghilterra. Nel suo scritto, infatti, Newman non dimostrava soltanto la sua onestà personale. Egli si era fatto voce anche di tutto i clero cattolico inglese, circa la metà del quale non ha lasciato di presentargli i suoi più vivi ringraziamenti.

Anche da parte della chiesa anglicana l’Apologia fu ascoltata positivamente. Il biografo anglicano Newman, Richard Hutton, scrive al riguardo: “ Per superare la sfiducia inglese nei confronti della chiesa romana, L’Apologia ha contribuito più di tutta l’altra letteratura religiosa del nostro tempo”.

II. ALCUNE TAPPE PIÙ IMPORTANTI DEL CAMMINO INTERIORE DEL NUOVO BEATO

È chiaro che non è possibile riassumere il contenuto dell’ Apologia in una breve conferenza. Dobbiamo accontentarci di alcune delle tappe più importanti del suo pellegrinaccio interiore.

1. La prima conversione di Newman

Nell’infanzia e nella gioventù Newman non ha avuto “solide convinzioni religiose” (Apol, 17). La madre cercava di introdurre i figli alla lettura della Bibbia, ma praticava una religiosità dei sentimenti. Il giovane Newman, quindi, non aveva una fede ver a e propria; anzi, racconta nell’ Apologia di aver copiato certi versi francesi, forse di Voltaire, dove si negava l’immortalità dell’anima, e di essersi detto: “Quanto è terribile, ma quanto è verosimile.” (Apol, 21)

Ma Dio bussò alla coscienza del giovane studente. L’esperienza che egli fece da ragazzo a 15 anni fu la prima grande svolta della sua vita interiore, la prima conversione, come amava chiamarla. Scrive su questa esperienza: “A 15 anni (nell’autunno 1816) avvenne in me un grande rivolgimento di pensieri. Cominciai a subire l’ascendente di un credo ben definito e accolsi nella mente certe impressioni sul dogma che, per la grazie di Dio, non sono mai più scomparse né sbiadite”. (Apol, 21)

Come avvenne questo rivolgimento di pensieri e quali ne furono le conseguenze? Nell’estate del 1816, Newman, lesse il libro “Forza della verità” del calvinista Thomas Scott, un fervente e noto calvinista. Questo libro ebbe un grandissimo influsso su Newman. Lo guidò, anzitutto, ad una grande certezza nell’esistenza di Dio. Certezza che si espresse in due modi. Da una parte, gli fece capire la vanità delle cose di questo secolo. Confessa che detta esperienza ebbe l’effetto “di isolarmi dagli oggetti che mi circondavano, di rafforzare la mia diffidenza verso la realtà dei fenomeni materiali e di ancorarmi al pensiero di due, e solo due, esseri assoluti…: me stesso e il mio creatore” (Apol, 24). Inoltre, Newman capì che anche Dio lo chiamava a “una vita di celibato” (Apol, 26s).

La prima conversione di Newman, non fu, dunque, di natura sentimentale, come era consueto tra gli evangelisti del suo tempo. Si trattò di un “rivolgimento di pensieri”, che lo guidò ad un credo ben definito e ad una forma di volontà di crescere nella fede e nella virtù, allo scopo di trovare la vita e la santità.

2.                  La scoperta della Tradizione

Dopo gli studi nel “Trinità College” di Oxford, Newman decise di diventare ministro della Chiesa Anglicana e professore nell’ Oriel College. Nel mondo intellettuale di Oxford egli venne a contatto con alcune personalità che lo influenzarono in vari modi. Di grande importanza per il suo sviluppo religioso fu l’amicizia con Hurrel Frouse e John Keble. Ambedue appartenevano alla “High-Church” dell’anglicanesimo, che – a differenza del movimento evangelico e di quello liberale – sottolineava l’iportanza della Tradizione e l’indipendenza della Chiesa dallo Stato. Sotto il loro influsso Newman accolse, ad esempio, la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucarestia, la dottrina della successione apostolica, il valore della verginità e una certa venerazione della Madonna.

Nelle vacanze del 1828, Newman cominciò a leggere, in modo cronologico, i Padri della Chiesa. Qesti studi diventarono, per lui, la chiave per scoprire la pienezza della rivelazione cristiana. Aveva già studiato accuratamente la Scrittura e ne conosceva grandi parti a memoria. Adesso gli si aprì anche il tesoro della Tradizione, testimoniata dai Padri della Chiesa.

Newman era particolarmente affascinato dalla scuola alessandrina, anzitutto dalla filosofia di Clemente e di Origine. A proposito de Clemente e di Origine, egli rileva: “Certe parti del loro insegnamento, davvero magnifiche, giungevano come una musica all’orecchio della mia anima, quasi fossero la risposta a idee che, con ben poco incoraggiamento dall’esterno, io accarezzavo da tanto tempo… Io capii che questi passi volevano dire che il mondo esterno, fisico e storico, è solo la manifestazione, ai nostri sensi, di realtà che lo sorpassano. La natura, la filosofia e la mitologia pagana, rettamente intese, sono soltanto una preparazione al vangelo” (Apol, 54).

In questo periodo Newman cominciò, inoltre, a vedere nella Chiesa primitiva “l’autentica esponente delle dottrine del cristianesimo e il fondamento della Chiesa anglicana” (Apol, 53); studiò anche con entusiasmo lo sviluppo della dottrina dei primi secoli cristiani. Il risultato di tale studio fu la sua prima grande opera intitolata “Gli ariani del quarto secolo”.

3.                  Il “Movimento di Oxford”

Tuttavia, mentre riscopriva la dottrina dei Padri, Newman vedeva crescere l’influsso del liberalismo a Oxford ed in tutta l’Inghilterra.

Tale movimento si proponeva di rinnovare l’anglicanesimo secondo lo spirito del cristianesimo primitivo. A capo del medesimo vi erano alcune personalità, come Newman, Keble, Froude ed altri.

Tre principi distinguevano il Movimento di Oxford: il primo e fondamentale era il principio del dogma. “la mia battaglia” dice Newman “era contro il liberalismo; per il liberalismo intendevo il principio antidogmatico e le sue conseguenze… Fin da quando avevo 15 anni, il dogma è stato il principio basilare della mia religione; non conosco altra religione, non so accettare l’idea di nessun altra specie di religione; una religione che sia puro sentimento per me è sogno e burla… E quello fu proprio il principio fondamentale del Movimento del 1833” (Apol, 77s).

Il secondo principio era quello sacramentale, cioè la convinzione che esiste una Chiesa visibile, con riti sacramentali che costituiscono i canali della disgrazia invisibile, e con vescovi che sono i successori degli apostoli.

Il terzo principio era il principio anti-romano. A causa delle loro convinzioni, i capi del Movimento di Oxford presero le distanze decisamente dalla Chiesa anglicana, anche Newman credeva fermamente “che il Papa fosse l’Anticristo” (Apol, 81).

Per un caso di coscienza, dunque, Newman si sentiva in dovere di protestare contro Roma e di difendere la sua identità anglicana.

4.                  Il dramma della seconda conversione di Newman

Ma Newman, finalmente, si convertì alla Chiesa Cattolica. Né potrebbe essere altro il termine del suo iter intellettuale e morale, data la sua appassionata ricerca della verità. Questa seconda conversione di Newman non fu, però, facile. Infatti, negli ultimi mesi prima che essa venisse, egli dovette lottare contro due sottili tentazioni. La prima consisteva nella paura di essersi ingannato, notando che gli altri capi del Movimento di Oxford non condividevano la sua decisione. La seconda tentazione era legata al suo amore pastorale. Come parroco si St Mary’s, egli aveva guidato tante persone ad una vita cristiana e fedele i principi della Chiesa Anglicana. Se egli lasciava questa Chiesa – così pensava – , tutte queste persone potrebbero essere scandalizzate e passare al liberalismo. Newman informò pochissime persone sul suo stato di coscienza, appunto perché odiava essere casa di confusione: “Non c’è nulla che tanto mi ripugni quanto spargere dubbi e turbare coscienze senza necessità” (Apol, 236). Queste due tentazioni erano assai dolorose per Newman.

Alla fine del 1844 Newman prese la decisione di scrivere un saggio sullo sviluppo della dottrina. In tale studio approfondì intensamente la sua questione cruciale, cioè se i recenti insegnamenti cattolici erano aggiunte alla dottrina della Chiesa primitiva, oppure sviluppi organici di tale dottrina. Il lavoro su questo argomento, pubblicato poi con il titolo Lo sviluppo della dottrina cristiana, diventò decisivo per il futuro Newman, come risulta dal seguente passo dell’Apologia: “Mentre procedevo, i dubbi si chiarirono, tanto che cessai di parlare di ‘cattolici romani’, e li chiamai arditamente ‘cattolici’ e basta. Prima di giungere al termine dellopera, decisi di entrare nella Chiesa Cattolica, e il libro è rimasto nelle condizioni di allora, cioé incompiuto (Apol. 252)”. Il fatto che il libro sia rimasto incompiuto, prova in modo esemplare la grande fedeltà di Newman alla voce della sua coscienza. Quando comprese quale era il suo dovere, lo mise subito in pratica, senza riguardi umani e senza ulteriori dilazioni.

L’8 ottobre 1854, il giorno prima della sua conversione, Newman scrisse a molti amici una lettera nella quale li informava di aspettare in quello stesso giorno l’arrivo del P. Domenico, dei Passionisti: “è un uomo semplice e pio, dotato di notevoli qualità. Non conosce le mie intenzioni; ma io intendo chiedergli di essere accolto nell’unico ovile di Cristo” (Apol, 253).

Per Newman, la conversione alla Chiesa Cattolica non fu, in fondo, una rottura nella sua vita, ma la conseguenza della sua prima conversione. Egli confessa: “Dal momento in cui divenni cattolico… non mi è più venuto un sol dubbio. Al momento della mia conversione non mi rendevo conto io stesso del cambiamento intellettuale e morale operato nella mia mente. Non mi pareva di avere una fede più salda nelle verità fondamentali della rivelazione, né una maggiore padronanza di me; il mio fervore non era cresciuto; ma avevo l’impressione di entrare in porto dopo una traversata agitata; per questo la mia felicità, da allora ad oggi, è rimasta inalterata” (Apol, 257).

Lasciare la chiesa d’Inghilterra, non fu certo facile per Newman. Egli amava la sua chiesa, amava Oxford ed Oriel. Amava la sua famiglia e i suoi amici. Ma la voce della sua coscienza era più forte di ogni legame umano. In tale chiamata Newman riconobbe la volontà di Dio. Per lui fu sempre evidente che l’uomo è chiamato a seguire, in ogni circostanza, la verità, e soltanto la verità. In questo senso, Newman è una figura eminentemente ecumenica. Un grande modello da imitare oggi, per raggiungere, quanto prima, l’ “ut unum sint” di Cristo.

III.      IMPORTANZA ED ATTUALITÀ DELL’INSEGNAMENTO DEL GRANDE CONVERTITO

 Vorrei sottolineare, a questo punto, anche se brevemente, la grande importanza e la estrema attualità dell’insegnamento del nuovo Beato John Henry Newman. Dei numerosi aspetti importanti ci limitiamo a menzionarne tre.

1.                  Anzitutto, l’Apologia ci presenta, in Newman, una persona che ha il coraggio di lasciarsi guidare dalla fede in Dio. La fede, per lui, non è un sentimento, un’opinione, un’idea astratta; essa volge il nostro sguardo al di sopra di noi stessi e ci permette di entrare nel mondo di Dio; è quella “luce benigna” che ci conduce, passo a passo, verso la piena realizzazione della nostra vocazione.

2.                  Inoltre, l’Apologia ci presenta, nel futuro Beato, un ricercatore appassionato della verità, della vera Chiesa di Cristo. In tale ricerca, Newman non si lascia influenzare da determinate teorie filosofiche, non vuol assoggettare nulla a preconcetti, ma si lascia guidare unicamente dalla coscienza e dalle fonti stesse della fede. Così capisce sempre più la natura sacramentale della Chiesa e la sua cattolicità, che comprende tutti i popoli e tutti i tempi. Riesce a superare, pian piano, i limiti di una Chiesa legata allo Stato, e per trovare il suo vero volto, si rivolge al passato, ai Padri della Chiesa. Per scoprire il vero volto della Chiesa, è infatti necessario aprirsi alle fonti della fede, mettersi in ascolto de grandi della storia, anzitutto, come detto, i Padri della Chiesa.

3.                  Infine, l’Apologia è anche di grande importanza ecumenica. Ci insegna che la conversione è il cuore di ogni vero impegno ecumenico; che occorre superare in una ricerca sincera e comune, i malintesi e i pregiudizi che si sono formati nelle varie comunità cristiane; che è necessario eliminare, per quanto possibile; che bisogna obbedire alla Verità – senza compromessi, senza paura, senza farsi condizionare da piani troppo umani.

IV.             L’ “ECCEZIONALE SANTITÀ” DEL CARDINALE NEWMAN

Quella di Newman non è una santità comune, ma una santità eccezionale, come l’ha definità Benedetto XVI.

Lasciandosi guidare soltanto dalla fede, dalla propria coscienza, dalla ricerca della verità e da un profondo senso ecumenico, Newman raggiunse la più alta meta della santità cristiana, proclamata ufficialmente dall’attuale Pontefice a Birmingham, il 19 settembre 2010. egli ha dato, infatti, un’eloquente testimonianza di Cristo e del suo Vangelo lungo gli anni dedicati al ministero sacerdotale, specialmente alla predicazione, all’insegnamento e agli scritti. Egli è andato, così, ad occupare i proprio posto in una lunga scia di Santi e di Maestri che, lungi i secoli, hanno illuminato con la loro santità, le isole britanniche. Ricordiamo, ad esempio, San Beda, San Hilda, San Aelredo ed il Beato Duns Scoto.

Il motto di Newman era: “Cor ad cor loquitur”, “il cuore parla al cuore”. Esso, come ricordava il papa nell’omelia della Messa di Beatificazione, ci permette di penetrare nella sua concezione della vita cristiana come chiamata alla santità, intesa questa come l’intenso desiderio del cuor umano di entrare in intima comunione con il cuore di Dio; ci rammenta che la fedeltà alla preghiera ci trasforma gradualmente nell’immagine di Dio. Come scrisse in uno dei suoi forbiti sermoni: “l’abitudine alla preghiera che è la pratica di rivolgersi al Signore e al mondo invisibile in ogni stagione, in ogni luogo, in ogni emergenza, ha come effetto naturale quello di spiritualizzare ed elevare sempre più l’anima dell’uomo” (Parrocchial and plain Sermons, IV, 230-231), avvicinandolo sempre più a Dio, a Colui che “ è tre volte santo”.

La straordinaria santità del nuovo Beato non si riflette solo nel suo intendo spirito di preghiera, ma anche nella vita di sacerdote e di pastore di anime, impregnata di un grande calore e di una profonda umanità. “Egli visse” rileva il Papa “ la visione profondamente umana del ministero sacerdotale nella devota cura per la gente di Birmingham, durante gli anni spesi nell’oratorio da lui fondato, visitando i malati e i poveri, confortando i derelitti, prendendosi cura di quanti erano in prigione.” (Benedetto XVI, omelia nella Messa di Beatificazione)

Non meraviglia, quindi, che alla sua morte migliaia di persone si mettessero in fila per le strade del luogo mentre il suo corpo veniva portato alla sepoltura… Centoventi anni dopo, grandi folle hanno partecipato alla sua beatificazione per rallegrarsi del solenne riconoscimento della Chiesa per l’eccezionale santità di questo amatissimo padre delle anime. (Ibid.)

Nel ministero sacerdotale del nuovo Beato va sottolineata, inoltre, la lotta da lui intrapresa contro la tendenza crescente a considerare la religione come un fatto puramente privato e soggettivo, una questione di opinione personale. “Qui “ rileva il Papa” vi è la prima lezione che possiamo apprendere dalla sua vita: ai nostri giorni, quando un relativismo intellettuale e morale minaccia di fiaccare i fondamenti stessi della nostra società, Newman ci rammenta che, quali uomini e donne creati ad immagine e somiglianza di Dio, siamo stati creati per conoscere la Verità, per trovare in essa la nostra e l’adempimento delle più profonde speranze umane. In una parola, siamo stati pensati per conoscere Cristo, che è, Lui stesso, “la via, la Verità, la Vita” (Gv, 14,66)” (Discorso di Benedetto XVI, nella veglia di preghiera per la beatificazione di Newman).

Infine, il nuovo Beato ebbe particolarmente a cuore i laici, lottando per un laicato intelligente e ben preparato: “Voglio degli uomini che conoscano bene i principi del Vangelo, che credano veramente in essi, che li vivano in profondità, e che siano disposti a diffonderli, con la parola, ma soprattutto con la vit. Con coraggio ed entusiasmo, tra i fratelli vicini e lontani”. (cf The Present Position of Cathlics in England, IX, 390).

È anche questo un messaggio estremamente importante per un mondo come il nostro, in cui assistiamo ad una progressiva indifferenza religiosa, ad una galoppante scrstianizzazione, ad un sempre più diffuso relativismo etico-morlae con gravi conseguenze per l’odierna società.

Concludendo. Dalle precedenti riflessioni emerge che il messaggio che ci trasmette il Card. John Henry newman, elevato agli onori degli altari, è, come quello di tutti i Santi, di grande importanza e della più scottante attualità per la Chiesa e per l’odierna società.

NOTA: testo, rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 13.5.2011 su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.