La Chiesa in Spagna, Francia, Russia

L’incontro internazionale della Fondazione Agnelli su “La religione degli Europei – Fede e società nell’Europa di fine millennio” ha trattato con ampie e approfondite relazioni la situazione della Chiesa in Francia, Spagna e Russia. Due Paesi di tradizione cattolica e il Paese che ha conosciuto settantaquattro anni di ateismo di Stato, la Russia, e che è il cuore di una delle tre grandi confessioni cristiane, quella ortodossa.
La Francia, è stata per secoli la “figlia prediletta” della Chiesa cattolica e ha dato sempre contributi di prim’ordine alla spiritualità, alla cultura, all’elaborazione del pensiero teologico della Chiesa universale. Ma qual è oggi la situazione religiosa della Francia?
Con tutti i limiti insiti nelle inchieste statistiche, non se ne può prescindere, almeno a livello di individuazione e di quantificazione di certi fenomeni. I dati riguardanti la Francia sono quanto mai problematici. Vediamone alcuni. Nel 1950 si ordinavano in Francia 1000 sacerdoti; nel 1990 ne sono stati ordinati 100. Il crollo di quella che Danielle Hervieu-Léger ha definito “la civiltà parrocchiale” si è verificato in modo irreversibile solo negli ultimi decenni, in cui la rottura fra uomo e ambiente naturale è diventata drammatica. La Francia rimane un Paese cattolico, certamente, anzi massicciamente cattolico, ma la fede è esposta a molteplici tentazioni. È vero, ad esempio, che il 62% dei francesi crede in Dio, ma solo il 35% crede che vi sia la vita dopo la morte e il 25% crede in un dogma totalmente estraneo alla concezione cristiana come la reincarnazione. La pratica religiosa è scesa in questi ultimi anni al 13% e addirittura al 4% per quanto riguarda i giovani. Emerge, cioè, in modo evidente la tendenza a mescolare cose diverse tra loro, una specie di bricolage di credenze individuali che rischia di non approfondire nulla e di banalizzare tutto. Di qui, però, discende un monito alla Chiesa cattolica di grande rilevanza sul piano dottrinale e pedagogico: quello di puntare solo su ciò che è essenziale, di evitare un presenzialismo ossessivo che accresce le riserve, le ambivalenze, la diversità dei punti di vista anche all’interno del popolo cristiano.
C’è un altro aspetto della situazione francese da tener presente: in Francia il pluralismo religioso è per ragioni storiche ben radicato: c’è un protestantesimo attivo, attestato polemicamente sin dal secolo scorso su posizioni di sostegno ai valori repubblicani e perciò molto apprezzato anche dalle correnti laiche; di contro ai 30.000 ebrei italiani, inoltre, la Francia ne conta ben 700.000. Di qui l’urgenza per la Chiesa cattolica di tener vivo il discorso ecumenico, anche per neutralizzare spinte pericolose che si registrano nelle frange estreme di un certo cattolicesimo anticonciliare. Né si deve dimenticare che in Francia vivono 3.000.000 di persone che professano la religione musulmana.

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Il “caso spagnolo” è preso in esame da Salvador Giner, di Madrid, che ha dato alla sua analisi un taglio nettamente storico-politico. È impossibile parlare della religiosità degli spagnoli e del cattolicesimo spagnolo senza ricordare la guerra civile, i 7.000 tra preti e suore uccisi dagli anarchici e dai comunisti, la brutalità di alcune formazioni franchiste e i caratteri particolari della dittatura del generale Franco. Dittatura odiosa, come ogni altra dittatura, ma capace di avviare, soprattutto negli ultimi tempi, un processo di modernizzazione – affidandosi, per esempio, ai tecnocrati collegati all’Opus Dei, in politica sufficientemente distanziati dal regime – e di costruire un reale e non demagogico “Stato sociale”.
La Chiesa spagnola si trovò coinvolta nella guerra civile e nell’appoggio a Franco; ma fu ancora dal suo seno che partì l’ampio, variegato movimento di uscita dal franchismo e di transizione alla democrazia. Ed è stato per la mirabile mediazione della Chiesa che la transizione per la Spagna è stata indolore e non si sono riproposte le temute contrapposizioni. Così che le previsioni generali sulla rappresentanza politica che la Spagna libera si sarebbe data, da parte di chi preconizzava il futuro con gli stereotipi del passato, si sono rivelate clamorosamente errate. Tutti prevedevano una replica della situazione italiana, con due soli grandi protagonisti sulla scena: i democristiani e i comunisti. Ma così non è stato, ed è molto significativo che i cattolici abbiano preferito spontaneamente tenere più chiaramente distinte partito e fede, politica e religione, Stato e Chiesa. Scelta, questa, di straordinaria rilevanza e che la dice lunga sulla pretesa di molti cattolici italiani di aver offerto un modello a cui avrebbero dovuto adeguarsi altri Paesi come la Francia e la Spagna, solo perché in essi la presenza cattolica è fortemente prevalente.
Qual è oggi il rapporto tra la Chiesa e il Governo in Spagna? La Chiesa ha appoggiato apertamente la nascita della democrazia, ma ciò non significa che i rapporti tra la Chiesa e le forze che ora gestiscono il potere siano buone. Il Ministero degli affari sociali ha estromesso, o fortemente ridotto, il ruolo della Chiesa in ambiti che tradizionalmente erano di sua spettanza; d’altra parte la Chiesa è tuttora portavoce dei molti milioni di poveri cui non giungono nemmeno le briciole del processo di modernizzazione dello Stato e della società in Spagna. Gli spagnoli sottoscrivono il nostro 8 per mille in una misura che è di 11 punti superiore alla percentuale dell’Italia, attestando anche in questo la loro fiducia nella Chiesa cattolica, ma mostrano di non gradire interventi censori della gerarchia cattolica e dello stesso Papa. Anche i cattolici spagnoli non accettano, per esempio, certe accuse mosse dai vescovi al Governo – i cui ministri, eccetto uno, provengono da scuole cattoliche – e pure ha suscitato vivaci reazioni la frase del Papa secondo cui in Spagna si andava affermando un “neopaganesimo rampante”.

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Di estremo interesse, ovviamente, è stata la relazione di Alexander Tzypko, dell’Istituto di Studi economici e politici internazionali di Mosca. Tzypko ha dato questo titolo al suo intervento: “La rinascita dell’ortodossia in Unione Sovietica nel contesto dell’attuale situazione”.
In Urss oggi tutto è in rapido movimento. Nel 1985, primo anno della perestrojka, erano registrate 65 congregazioni di tutte le confessioni; nel 1990 le associazioni religiose registrate sono più di 3 mila. In un paese devastato da settantaquattro anni di ateismo, capillarmente diffuso come dottrina di Stato, oggi solo il 3% si dichiara nemico della religione. Il 70% degli interpellati si definisce credente, mentre appena tre anni fa la cifra non superava il 40%. Tra coloro che si dichiarano credenti, il 93% si considera appartenente all’ortodossia. Solo nel biennio 1988-89 sono stati riaperti, su pressante richiesta dei credenti, 20 monasteri e più di 3 mila parrocchie.“Presto – dice Tzypko – la Chiesa ortodossa russa riprenderà possesso delle cattedrali del Cremlino di Mosca”.
Ma qual è l’atteggiamento dell’intelligencija verso la religione? Qual è la visione della vita dei Gorbaciov, degli Eltsin, degli Jakovlev? La risposta di Tzypko è netta: la grande filosofia religiosa russa, da Dostoevskij a Berdiaev, vivifica le coscienze della giovane intelligencija che si è fatta portavoce dei diritti umani, la cosiddetta humanitarian intelligencija, ma la sindrome antireligiosa domina la mente e il cuore di coloro che hanno dovuto guidare prima il tentativo di riformare il comunismo e poi la stessa rivoluzione democratica dell’agosto 1991. “Gorbaciov, Jakovlev, Eltsin e i loro più influenti collaboratori sono atei convinti. La loro formazione è stata radicalmente ateistica e non hanno avuto né il tempo, né la volontà di una revisione critica del loro ateismo”. Scomparsa – perché esiliata o internata nei lager – l’opposizione cristiana all’ideologia ateistica del marxismo, ai russi non rimaneva che sperare nella rigenerazione interna del Partito comunista e nei suoi esponenti. “Il comunismo nel mio Paese è stato sconfitto non dagli anticomunisti, tutti annientati, ma da coloro che erano accesi bolscevichi nel loro modo di pensare e il bolscevismo fa dell’ateismo programmatico il primo punto del suo credo. Come faceva Marx”.
I nuovi leaders, dunque, sono atei e la stampa democratica è nella sua stragrande maggioranza dominata dalla pregiudiziale atea, attenta a umiliare ogni schietta apertura religiosa. Si dice di paventare il ritorno del clericalismo e una soggezione dello Stato alla Chiesa ortodossa, come risposta all’asservimento della Chiesa allo Stato comunista, ma il vero convincimento è quello appreso dai testi di Feuerbach e di Marx: è l’interiore disprezzo del mondo religioso in quanto tale.
La separazione della Chiesa e dello Stato è un principio imprescindibile della democrazia moderna, ma ciò non può e non deve significare il misconoscimento della partecipazione della Chiesa ortodossa all’opera di ricostruzione sociale e morale della Russia. La voce di 100 milioni di ortodossi non può essere messa a tacere per sempre, senza alimentare possibilità di sbocchi devianti, né i democratici devono chiedere loro ancora silenzio e conformismo, come facevano i comunisti. La Chiesa ortodossa in Russia, quali che siano stati gli inevitabili cedimenti ad un’oppressione totalitaria mai vista prima nella storia, è una Chiesa martire che ha percorso la sua via crucis fino in fondo, rimanendo l’unico luogo libero dall’ideologia e dalla retorica comunista.
“Fu la Chiesa ortodossa, con la sua stessa esistenza – ha sottolineato con forza Tzypko -, a preservare la possibilità di scelte spirituali. Non è un caso che laureati degli istituti più prestigiosi dell’Urss, una volta che abbiano accostato l’ortodossia siano diventati sacerdoti. Il destino personale di Alexander Men’ è il caso più emblematico a questo riguardo”. I bresciani, lo ricorderanno: ascoltarono Padre Men’ nel novembre 1989 alla Pace e sette mesi dopo, alla periferia di Mosca, Padre Men’ fu barbaramente ucciso mentre si recava a celebrare la Messa.
Giornale di Brescia, 13.10.1991.