La libertà è un vino forte e generoso che nuoce agli immaturi e si trasforma in veleno, ossia in penosa schiavitù, prima ancora che essi sappiano che cosa sia e imparino a servirsene correttamente. Questo non è solo l’amaro frutto della nostra esperienza di oggi, ma anche la conclusione alla quale era già pervenuto Platone, che ci ha dato nella “Repubblica” un’altissima concezione etico-politica, ma anche una diagnosi assai acuta delle forme corrotte di governo, dalla tirannide alla demagogia; diagnosi che, nelle sue linee essenziali, è tuttora valida.
Nella critica dei regimi politici Platone non risparmia la democrazia, o quella che è piuttosto la sua degenerazione e che noi preferiamo chiamare demagogia. Nella sua profonda coscienza di filosofo e di educatore, Platone aveva combattuto i sofisti, ma nella “Repubblica” si accorge che corruttori del costume pubblico e privato non sono solo i mercenari della cultura, che interpretano i gusti e i desideri della folla e li distillano nella loro presunta sapienza, ma soprattutto coloro che, seduti in gran numero nei parlamenti, o nei tribunali, o in altra pubblica assemblea, con molto chiasso biasimano alcuni discorsi e azioni, e altri lodano – eccedendo nell’un caso e nell’altro – con grida e applausi. “Con siffatti modelli, in un ambiente del genere – si chiede Platone – il giovane quale cuore, come si dice, credi che avrà? E quale educazione individuale potrà mai resistere e non essere travolta dal diluvio di biasimo o di lode dei politici corruttori? E come riuscirà il singolo a non essere trascinato dove lo porti la corrente? Senza una salda visione di ciò che sia bello o brutto, il giovane finirà col fare ciò che essi fanno e per essere simile a essi!” (Rep. VI, 492 b-c).
Il destino dei popoli è inseparabilmente legato alla qualità morale della loro politica e all’educazione dei giovani: di ciò Platone era profondamente convinto e questa sua intuizione diverrà comune a tutti coloro che hanno onorato la storia della pedagogia, da Erasmo a Comenio, da Pestalozzi alla Montessori. Il grande ateniese ha illustrato in profondità la duplice e correlata influenza della politica sull’educazione e dell’educazione sulla politica, con un’attenzione particolare ai pericoli a cui sono esposti i più giovani. Il quadro che egli traccia è di una straordinaria vivezza, avendo felicemente individuato quegli aspetti dell’adolescenza – dal facile entusiasmo all’intem-pestiva generosità, al gusto dell’avventura – che offrono ai demagoghi e ai tiranni la possibilità di conquistare senza sforzo l’animo dei giovani e dei giovanissimi. “Quando costoro cominciano a gustare i ragionamenti – annota Platone – li trattano come materia di gioco e se ne servono continuamente per contraddire; imitando quelli che confutano loro, essi medesimi confutano gli altri, godendosela come cagnolini a tirare e lacerare coi ragionamenti chi di volta in volta li avvicini. Il risultato, però, è che dopo aver confutato molti ed essere stati confutati da molti, assai presto si riducono a non credere più a nulla di quanto credevano prima; e perciò essi e tutto quanto riguarda la filosofia sono messi in cattiva luce presso gli altri” (Rep. VII, 539 b-c).
L’attualità di Platone diventa ancora più palpitante laddove descrive l’ubriacatura della libertà, che trascende in insaziabile licenza e colpisce anche i cattivi coppieri, ossia i governanti che, per smania di una malintesa popolarità, sono più prodighi di concessioni demagogiche ora all’una ora all’altra fazione. Là dove la demagogia trionfa, i cittadini che obbediscono alle leggi sono insultati come schiavi volontari e uomini da nulla, mentre si lodano in pubblico e in privato quegli uomini politici che quanto più spacciano promesse menzognere tanto più mietono consensi. Il disordine si insinua allora anche nelle famiglie e nelle istituzioni educative. Il padre fa di tutto per apparire simile al figlio e dei figli teme il giudizio; il maestro teme e adula gli scolari, e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri. In ogni cosa i giovani si mettono con arroganza allo stesso livello degli anziani, verso i quali non hanno alcun rispetto; e a loro volta gli anziani si mostrano pieni di arrendevolezza verso i giovani, arrivando persino a imitarne gli atteggiamenti più discutibili pur di non sembrare ai loro occhi sgradevoli e autoritari (Rep. VIII, 562 b-e; 563 a-b).
Platone visse sulla sua pelle l’esperienza della tirannide e della demagogia e ne studiò la derivazione reciproca dell’una dall’altra. La cancellazione progressiva di ogni libertà spinge inesora-bilmente la tirannide a eccessi di ogni tipo che, violando sistematicamente la legalità, prima o poi spingono alla ribellione i cittadini, ormai ridotti a sudditi o a scherani. Ma insorgere contro la tirannia non significa di per sé approdare a un assetto politico più libero e giusto. L’operazione è tutt’altro che indolore e l’esito positivo non è affatto scontato. Purtroppo si passa spesso non dal dispotismo a un’autentica democrazia, ma da una forma all’altra di negazione dello stato di diritto. La demagogia sfrenata dei nuovi detentori del potere, scatenando la corsa all’arricchimento e agli onori, corrompe nell’intimo le coscienze e consuma a danno del popolo nuove ingiustizie, ancora più gravi di quelle che intendevano combattere. I demagoghi tradiscono i nobili ideali che esibiscono, coprendo così le loro malefatte con l’illusione di un’accresciuta libertà. In realtà la demagogia moltiplica all’infinito le pretese, ma fa sparire il senso del dovere e l’idea stessa di bene comune; così facendo, però, mina alle radici la possibilità della convivenza civile. A un certo punto l’esigenza dell’ordine sociale, giuridico e politico diventa improcrastinabile, proprio perché la sua continua violazione manda in rovina lo Stato e la società. Sono travolti, allora, i governi dell’anarchia demagogica; ma ciò accade sempre o per lo più in una situazione così confusa e pericolosa da offrire fin troppi pretesti ai fautori di quell’altro male, uguale e contrario, che si chiama dittatura. In tal modo si evita Scilla, ma si rischia di incappare in Cariddi.
Il circolo si spezza solo se i cittadini più coraggiosi e responsabili si uniscono tra loro e decidono di non abdicare alle loro prerogative e ai loro doveri, facendosi realmente carico del bene comune. Solo allora la politica può tornare a essere ricerca del bene comune e sforzo associato per la sua attuazione. Una buona politica, d’altra parte, ha sempre con sé una valenza formativa sui cittadini, della cui libertà costituisce la salvaguardia più diretta e immediata.
Giornale di Brescia, 29.1.1999.