Corriere della Sera, 5 giugno 2022
«Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno»: con queste parole inizia il cammino di dolore e speranza di Gemma Capra, venticinquenne vedova incinta del commissario Luigi Calabresi, strappato alla vita una mattina di maggio di ormai cinquanta anni fa. Una tragica storia che contiene un messaggio di fede in Dio e nelle persone: è quello che traspare dalle pagine di La crepa e la luce. Sulla strada del perdono. La mia storia(Mondadori, pp. 144, € 17,50), memoriale di Gemma Calabresi Milite, che verrà presentato dall’autrice in dialogo con il sindaco Del Bono e Adelaide Balbo martedì 7 giugno alle 17.30 nel Salone Vanvitelliano in Loggia: un incontro Casa della Memoria in collaborazione con Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e Associazione Cultura Libera. Piazza Fontana, la violenta campagna stampa lanciata da Lotta Continua nei confronti di Calabresi, accusato della morte dell’anarchico Pinelli, quel terribile 17 maggio ’72 e il travagliato processo sono i fatti raccolti dalla memoria della vedova che confessa quell’intimo desiderio di vendetta, trasformatosi in perdono, per tutti e nonostante tutto. Signora Calabresi, come è potuto accadere questo?
Fantasticavo di infiltrarmi nel covo dei terroristi, abbracciare la loro causa e vendicarmi. Oggi me ne vergogno, ma è importante far capire che anche da un momento di rabbia e disperazione si può risalire. È una storia di dolore ma soprattutto di speranza, che dimostra come nonostante la calunnia e la sofferenza si possa perdonare. Quel «Padre perdona…», necrologio per la morte di mio marito, era il primo gradino per spezzare quella catena di odio. Gesù chiedeva a Dio di perdonare perché lui era uomo ed è difficile perdonare nel momento di dolore: serve il tempo del cammino.
Che importanza ha avuto la fede per condurla al perdono verso gli assassini di suo marito?
La mattina dell’omicidio ho avuto la sensazione del dono della fede, di avere Dio vicino, ma ho accantonato quell’esperienza per tanto tempo, richiamandola nei momenti più duri. Insegnavo religione a scuola e come cristiana sapevo che dovevo perdonare. Quando un bambino mi chiese se tutti quelli che muoiono sono buoni, ho capito che delle persone bisogna ricordare le cose buone e non solo gli errori. Ho pensato che anche gli assassini di Gigi potessero essere buoni padri e mariti e che non avevo diritto di inchiodarli solo a quell’atto terribile. Diversamente dai terroristi che disumanizzavano la persona, ho ridato loro umanità e dignità. Questa è la fede, ma avviene dopo aver avuto giustizia e perdono.
Il 9 maggio si ricordano tutte le vittime del terrorismo: quanto è importante “fare memoria”, ricordare i fatti tragici che hanno segnato la nostra società e la nostra storia?
La memoria ha le gambe. Chi non c’è più deve continuare a vivere attraverso i suoi valori e le passioni, portandolo nel quotidiano, senza relegarlo alla disperazione e alla violenza. Questa è la memoria della famiglia, ma molto Importante è anche quella di Stato, che ti fa sentire protetto e riconosciuto: nel caso di Gigi, come un funzionario che ha lavorato in modo onesto. questa data voluta dal Presidente Napolitano è un giorno per ricordare momenti fondamentali per conoscere e capire la nostra società e cosa è accaduto.