La fede in Occidente

Raffaele Maiolini: Quale può essere il futuro della religione e del cristianesimo in Occidente? La religione ormai, in Europa, non occupa più lo stesso posto di prima ed essere chiesa in una società religiosa è tutt’altra cosa che essere chiesa in una società cristiana, come mai è successo questo e come intendere anche questo cambiamento?

Card. Jozef De Kesel: Ho scritto questo libro due anni fa, durante il covid. Volevo cercare di comprendere il cambiamento che è avvenuto in Europa. Papa Franceso, più di una volta, ha detto che noi viviamo in un tempo di cambiamenti, siamo dentro ad un cambiamento epocale. Penso che lo sentiamo tutti. Non solo la chiesa è cambiata, ma la stessa società. Si parla di una società religiosa, ma bisogna capire bene che cosa vuol dire questa espressione: non è una società in cui tutti sono cristiani e devoti, ma una società dove il quadro di riferimento è la fede. I paesi mussulmani sono attualmente società religiose. Per esempio, in Marocco non puoi definirti marocchino e cristiano, è impossibile, è una società religiosa, mussulmana. Tutti sono mussulmani. Abbiamo conosciuto lo stesso fenomeno qui in Occidente, tutti erano cristiani. Dopo l’antichità l’Occidente è diventato cristiano, non c’erano mussulmani, erano fuori dalla frontiera della cristianità, l’unica eccezione erano gli ebrei, perché erano più anziani dei cristiani, ma la loro situazione era sempre molto precaria, perché vivevano in una società cristiana. Molto comodo per la chiesa poter vivere in un mondo che è già cristiano. La chiesa aveva molto potere, abbiamo conosciuto questa situazione, che ora si vive nei paesi mussulmani. La situazione dei cristiani, nei paesi mussulmani, è molto difficile. Ad esempio, troviamo solo 350 mila cristiani in Iraq, una volta erano molti di più. Non voglio condannare il passato, ma una società religiosa può essere molto pericolosa per l’umanità. Alla domanda: preferisci una società religiosa, ovvero una situazione in cui una religione predomina o una cultura secolarizzata? Io rispondo: meglio una cultura secolarizzata. Certo, ci sono molti problemi legati alla secolarizzazione, ma per me la secolarizzazione vuol dire che la chiesa non vive più in un mondo cristiano, ma vive nel mondo. In latino mondo vuol dire secolo. Il senso è semplice: la chiesa ha potuto realizzare la sua missione in una cultura che era già cristiana, situazione molto comoda, ma nel Nuovo Testamento non si parla mai di una tale situazione, perché la chiesa è chiamata a testimoniare del Vangelo fra le nazioni, non è compito della chiesa fare di tutte le nazioni delle nazioni cristiane, ma diffondersi nel mondo. La chiesa vive nel mondo, troviamo chiese in Cina e in Giappone, dove il cristianesimo vive nel mondo. Questo cambiamento deve essere accettato. Non è la chiamata della chiesa di fare tutto affinché ci sia una società cristiana come nel passato, è qualcosa di impossibile e non dovrebbe nemmeno essere il nostro scopo, perché tutti gli altri non avrebbero diritto di esistenza. Non si può vivere insieme con questa mentalità. La società moderna è una società più realista. L’avvento della modernità viene spiegato nella prima parte del mio libro, una delle spiegazioni storicamente molto importanti è quello che abbiamo conosciuto dopo la Riforma: la pace di Vestfalia pone fine alle guerre di religione (ottobre del 1648, nelle due città di Münster e Osnabrück). Nel mondo ci saranno sempre guerre, ma non deve essere la religione il mandante di esse. Finalmente ciascuno è libero di scegliere la sua religione, la sua professione. La nostra cultura ha come valore importante il rispetto dell’altro e la chiesa deve accettare questo.

Raffaele Maiolini: Bisogna comprendere quale sia la missione della chiesa, perché se la sua missione fosse quella di rendere cristiane tutte le genti, vorrebbe dire che la situazione in cui noi stiamo vivendo impedisce alla chiesa di essere chiesa. È impossibile rendere cristiane le terre europee. Qual è quindi la missione della chiesa? Che cosa è chiamata ad essere la chiesa in un mondo che non è più cristianizzato? Ci aiuti a comprendere come essere cristiani dentro il nostro tempo. Come intendere la missione della chiesa in rapporto a questo mondo, che non è più né religioso, né cristiano. Qual è allora il compito della chiesa?

Card. Jozef De Kesel: La chiesa si trova in crisi. Ci sono tanti cambiamenti e quindi la chiesa si fa delle domande. Ciò che è visibile è che siamo sempre meno numerosi. Non rappresentiamo più la maggioranza della popolazione, siamo un gruppo nella società. Come reagire a questo? Dobbiamo accettarlo? Penso di sì, penso che la missione della chiesa, non sia di fare della società nella quale viviamo una chiesa, una società cristiana. Nessun testo religioso dice ciò. La chiesa è chiamata a vivere nel mondo, fra le nazioni. È il popolo eletto, che appartiene a Dio. Nell’Esodo Dio dice: “Tutta la terra mi appartiene”. Dio è creatore del mondo, non c’è nazione in cui non sia presente. La chiesa è chiamata fra le nazioni a testimoniare, a far conoscere l’amore di Dio. Questa è la chiamata della chiesa da sempre. Dio ha bisogno della chiesa per farsi conoscere, per far conoscere il suo amore. Dio ama il mondo, Dio ci ha dato tutto quello che aveva, ci ha dato il suo unico figlio, per salvarlo. Dio ha il desiderio di farsi conoscere e per questo ha bisogno della chiesa. Il mondo è molto più grande della chiesa, ma è un sacramento per il mondo, è una nozione, a mio avviso, molto importante. L’unico vero sacramento è il Cristo, è lui il sacramento fondamentale, il sacramento è il segno visibile ed efficace dell’amore di Dio. Anche la chiesa, in quanto legata a Cristo, è sacramento, segno dell’amore di Dio per il mondo. Dunque, la chiesa non è tutto, ma ciò che la chiesa significa è universale: l’amore di Dio, che lavora anche fuori dai confini della chiesa. Un uomo buono si trova già nella grazia di Dio, anche uomini che non appartengono alla chiesa. Ogni uomo che vuole fare qualcosa per l’altro, ogni uomo motivato dall’amore è nella grazia di Dio. Il compito della chiesa è essere presenti, non è una conquistatrice, è una questione di presenza, deve essere presente dappertutto. Questa è l’universalità della chiesa. Tutta la terra appartiene a Dio. Penso che abbiamo perduto questa nozione di vocazione, la usiamo sempre al singolare, abbiamo dimenticato che la scelta di Dio riguarda prima di tutto la sua chiesa, che appartiene a Dio, il popolo santo, il popolo sacerdotale, chiamato per testimoniare l’amore di Dio. Non c’è nessun paese, nessun continente, dove il Vangelo non è arrivato. La chiesa non è tutto, siamo semplicemente un segno visibile ed efficace nel mondo. La chiesa è uno strumento nelle mani di Dio. La chiesa cristiana ha la grande gioia di riconoscere questo amore e di testimoniarlo. Nella lettera di Pietro, in una situazione in cui la chiesa non è perseguitata, lui dice che i cristiani devono sempre essere pronti a testimoniare l’amore e la presenza di Dio, ma devono farlo sempre con dolcezza e rispetto. E mi sembra importante ricordarlo nella nostra situazione. La grande questione di oggi è come testimoniare il Vangelo e dobbiamo farlo su una base di rispetto reciproco. Nella situazione in cui ci troviamo la chiamata della chiesa non è di fare della società stessa una società cristiana, non deve esserci un’attitudine di riconquista. Dobbiamo essere testimoni della gioia e della speranza del Vangelo. Deve esserci sempre presenza, vera presenza e per questo è fondamentale un legame tra la chiesa e il mondo, un discorso che condanna il mondo non conviene oggi alla chiesa. Tutte le grandi sfide del nostro tempo: la povertà, la migrazione, il clima, la violenza, la guerra, tutte queste sfide del mondo, sono anche sfide della chiesa. La chiesa deve preoccuparsi del mondo. La chiesa è sacramento dell’amore di Dio per il mondo, la chiesa non può vivere in un mondo a sé. La chiesa deve essere solidale. Vaticano secondo: le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto, e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di cristo. E non vi è nulla di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia.

Raffaele Maiolini: è chiaro che un’evangelizzazione non coincida con una cristianizzazione e che l’essere cristiani non coincida con fare di tutta la cultura una cultura cristiana. Ma non c’è il rischio di cadere in una privatizzazione dei sacramenti, della fede, se non riusciamo ad incidere culturalmente?

Card. Jozef De Kesel: Non ho una risposta chiara, ma la domanda mi fa molto pensare. Quando penso alla chiesa nel III e IV secolo, la chiesa viveva nel mondo, perché il mondo non era ancora cristiano. La chiesa in questo periodo viveva nella cultura antica e aveva integrato nel suo modo di pensiero questa cultura. Questi secoli sono molto importanti per la chiesa, perché si è costituita ideologicamente e praticamente. È un periodo molto importante per il futuro. La trasmissione della fede è un problema della chiesa di oggi. Molti genitori sono tristi perché i loro figli non vogliono più battezzare i propri bambini, è una fonte di tristezza per loro. Il grande problema è la trasmissione della fede, perché non abbiamo ancora trovato le parole per comunicare con una cultura che non è più quella di una volta. Non abbiamo ancora trovato il linguaggio adeguato, ma questo linguaggio non si trova in una decina di anni, ci vorrà molto tempo. Non sappiamo ancora come comunicare.

Nota: trascrizione, non rivista dagli Autori, della conferenza tenuta a Brescia il 5.3.2024.