Gli amici di Brescia in occasione della rievocazione della resistenza morale in Teresio Olivelli e in Dietrich Bonhoeffer di fronte al nazismo affidano a me, vecchio vescovo, il compito di intonare le vostre voci alla “Preghiera del ribelle” nella sicura speranza che lo Spirito Santo unisca le vostre menti e i vostri cuori. Il testo della “Preghiera del ribelle” non è un brano letterario che possa sopportare l’acclamazione, esige bensì l’espressione di un unico amore che rende inscindibile l’amore di Dio e l’amore del prossimo. È stato detto da un padre della chiesa: caro salutis est cardo, la carne è un cardine della salvezza. Questo è vero in Gesù Cristo Signore, in una maniera somma, ma questo è vero anche in ogni membro del corpo di Cristo, nel mistico corpo di Cristo. Teresio Olivelli chiedeva quotidianamente al corpo del Crocifisso la forza di comunicare e di camminare sulla via dell’amore e della giustizia. Lo ricordo come l’incontro più intimo che avveniva nel segreto, quando Olivelli faceva le sue troppe rapide apparizioni nella nostra città. E diede al suo corpo martoriato la capacità di rendere presente il Cristo crocifisso in mezzo ai suoi compagni, prima nell’anelito verso la libertà, poi nella sopportazione delle angherie dei nazisti. Alla fine di questo terribile dramma io mi incontrai con un gruppo che veniva da Hersbruch, dal quale potei apprendere notizie di coloro che conoscevo e che sapevo essere stati colà incarcerati.
E tra i morti, ecco subito la figura di Olivelli, apparsa nello splendore della sua testimonianza di amore. Mi hanno detto i superstiti: “È morto per noi, era un santo”. Io non voglio adesso entrare nei par-ticolari, che sono riservati agli specialisti della storia di Olivelli e anche di Bonhoeffer, ma soltanto mettere in evidenza che a questo amore per Cristo crocifisso, per questa carne ricevuta dalla Vergine Santissima, straziata dalla iniquità umana, è corrisposta un’offerta di se stesso: la carne veramente è il cardine, è il fondamento della salvezza. E noi, in un momento così difficile come quello che stiamo attraversando, ora, dopo 50 anni, comprendiamo che dobbiamo rifarci a questa fede: la carne offerta, la carne ricevuta, la carne non afferrata come un geloso possesso, ma la carne donata come espressione di amore, ad imitazione di questi grandi, che noi questa sera sentiamo tanto presenti e che, in certo qual modo, vanno suscitando nella nostra coscienza una analisi profonda.
Ci costringono a domandarci che cosa ne abbiamo fatto di questa libertà, di questa giustizia, di questa solida-rietà che hanno caratterizzato le vite di alcuni che sono morti, e che sarebbero state per noi un mez-zo eccezionale per strappare dal fango della corruzione tanti valori, che, provenienti dall’amore di Dio, passando attraverso i nostri cuori, avrebbero dovuto dare veramente la civiltà dell’amore. Propongo ora il testo: non è un documento artistico, ma è un’espressione intima di fede, di sofferenza, di speranza, è un impegno di amore. Vogliamo dunque leggere la Preghiera del ribelle, non per curiosità, ma come una forma di solidarietà con coloro che, prevenendo i tempi, ci hanno dato l’esempio di come si debba essere uomini redenti dal sangue di Cristo Signore. «Signore, che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce segno di contraddizione, che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito contro le perfidie e gli interessi dei dominanti, la sordità inerte della massa, a noi oppressi da un giogo numeroso e crudele che in noi e prima di noi ha calpestato Te, fonte di libere vite, dà la forza della ribellione. Dio che sei Verità e Libertà, facci liberi e intensi: alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà, moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura. Noi ti preghiamo, Signore. Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso, nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria: sii nell’indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nella amarezza. Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti. Nella tortura serra le nostre labbra. Spezzaci, non lasciarci piegare. Se cadremo fa’ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente e a quello dei nostri Morti a crescere al mondo giustizia e carità. Tu che dicesti: “Io sono la risurrezione e la vita” rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa. Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie. Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città, dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo: sia in noi la pace che Tu solo sai dare. Dio della pace e degli eserciti, Signore che porti la spada e la gioia, ascolta la preghiera di noi ribelli per amore». (Teresio Olivelli)
Testo, non rivisto dell’Autore, dell’incontro tenuto il 28.3.1995 a Brescia su iniziativa della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.