L’appello del 18 giugno 1940 In Europa, dopo lo smembramento della Polonia, la Germania rovescia il suo enorme potenziale bellico sull’Occidente, occupando nella primavera del 1940 la Danimarca, l’Olanda, la Norvegia, il Belgio. Il crollo della Francia è pauroso. Un generale, che allora non era affatto una figura di primo piano, Charles De Gaulle, dai microfoni di Radio Londra, il 18 giugno 1940, prima ancora che l’armistizio sia concluso, ma con la certezza che lo sarà, e sarà disonorevole, lancia il suo celebre appello ai francesi perché inizino la «Resistenza» all’occupante nazista.
Due fatti, nel difficile inizio della Resistenza, ne costituiscono la premessa più diretta: la «battaglia d’Inghilterra» e la «Carta Atlantica». Quando Hitler domina l’Europa, l’Inghilterra rimane sola a combattere per l’onore stesso dell’umanità e per la sua sopravvivenza. Tra l’agosto e l’ottobre del 1940 Hitler crede di costringere l’Inghilterra a trattare attaccandola con terrificanti bombardamenti. Ma la grande battaglia aerea è vinta dall’Inghilterra: la Germania non riesce ad assicurarsi il dominio dello spazio aereo inglese e, pertanto, il progettato sbarco oltre la Manica diventa ineseguibile. È la prima sconfitta della Germania nazista!
L’altro evento di grande rilievo per il movimento resistenziale di ispirazione democratica è costituito dalla «Carta Atlantica». Gli Stati Uniti d’America sono ancora fuori del conflitto (vi entreranno dopo il proditorio attacco nipponico di Pearl Harbour del 7 dicembre 1941), ma il presidente Franklin D. Roosevelt si incontra col premier britannico Winston Churchill nella baia di terranova ed insieme elaborano e proclamano i principi della «Carta Atlantica», a cui deve ispirarsi una coerente contrapposizione al nazifascismo e la prospettiva del dopoguerra (14 agosto 1941).
L’impero nazista Le nazioni europee nei rapporti con la Germania nazista possono suddividersi in tre categorie: protettorati, territori occupati, alleati. I protettorati sono direttamente soggetti al Reich e sono governati da alti personaggi nazisti. I protettorati sono costituiti in Boemia – Moravia, in Polonia e in Ucraina. I Paesi occupati sono: Norvegia, Danimarca, Olanda, parte della Francia, Jugoslavia, Grecia. In questi due ultimi paesi ci sono, fino all’8 settembre 1943, in qualità di occupanti, anche gli italiani. Il comandante militare dirige le truppe di occupazione, emette ordinanze, controlla le decisioni dell’autorità locale. In Danimarca il governo locale rimane al suo posto, pur distanziandosi il più possibile dall’occupante. I governi legali di Norvegia, Belgio, Olanda si rifugiano a Londra, quello greco al Cairo. In Norvegia il capo del partito nazista, Quisling, dà vita ad un governo di piena collaborazione con i tedeschi; di qui il nome di «Quisling» ai traditori filonazisti di qualsiasi nazionalità. I cosiddetti alleati del grande Reich sono l’Ungheria, la Slovacchia, la Romania, la Bulgaria, la Croazia. Ma anch’essi diventano satelliti dell’impero hitleriano per la presenza di presìdi tedeschi, per l’allineamento nell’antisemitismo, per la presa del potere da parte di partiti fascisti.
L’alleato principale della Germania è l’Italia; ma anch’essa, dopo il fallimento nella guerra alla Grecia (28 ottobre 1940 – 23 aprile 1941), è declassata a satellite. L’armistizio dell’8 settembre 1943 unisce gli italiani al calvario del resto dell’Europa occupata e vede la soggezione totale ai tedeschi, malgrado le velleità di alcuni, nella Repubblica Sociale Italiana.
Collaborazionismo, attendismo, resistenza Come reagiscono le popolazioni occupate alla creazione dell’Europa secondo l’«ordine nuovo» di Hitler? In ogni paese vi sono essenzialmente tre atteggiamenti: la collaborazione, l’attendismo, la Resistenza.
I collaborazionisti sono reclutati tra i filofascisti dei movimenti di destra, già operanti prima dello scoppio della guerra, così come tra coloro che si adeguano al dominio tedesco per paura o per calcolo. L’attendismo è l’atteggiamento della grande maggioranza che giudica severamente ogni specie di rapporti con i tedeschi, ascolta radio Londra e lotta duramente per la sopravvivenza del nucleo familiare di cui fa parte, tra bombardamenti, retate, rappresaglie.
La Resistenza attiva è la scelta di una minoranza, che però può agire con efficacia solo grazie alla solidale copertura e agli aiuti concreti della popolazione nella zona in cui opera. ne fanno parte giovani renitenti ai bandi di reclutamento dei vari «governi Quisling», patrioti esasperati dall’oppressione nazista, coscienze religiose che rifiutano il neopaganesimo dello stato totalitario. I partiti comunisti entrano massicciamente nella lotta, ma solo dopo il 22 giugno 1941, quando Hitler attacca la Russia e viola il patto dell’agosto 1939, cogliendo di sorpresa Stalin.
L’azione resistenziale è multiforme. Si organizza la fuga di gente in pericolo verso i territori neutrali o alleati. Si pubblica e si diffonde, con grave rischio, la stampa clandestina: in Polonia si contano quasi mille giornali clandestini e in Francia la tiratura tocca i due milioni di copie al mese nel 1944. Si costituiscono «reti» di rifornimento, di collegamento e di soccorso, con l’insostituibile, forte partecipazione delle donne; ma nulla è stabile e si deve essere pronti a ricominciar tutto da capo dopo un tradimento o una confessione estorta con la tortura. Punto di massima esplicazione della Resistenza è la guerriglia armata, dietro le linee tedesche, con azioni di sabotaggio, insediamenti di piccole «zone liberate» e, talora, vere e proprie battaglie.
Particolarmente vasta e dura è la lotta resistenziale in Jugoslavia, ben presto egemonizzata dal comunista Josip Broz, detto Tito. Essa registra altissime perdite, ma riesce a liberare il paese da sola (l’aiuto dell’Armata Rossa è limitato alla liberazione di Belgrado). La resistenza russa ha caratteri a sua volta originali. Stalin si appella al patriottismo russo, mette tra parentesi l’ateismo come dottrina ufficiale dello Stato sovietico, nel 1943 scioglie persino il Komintern, l’internazionale comunista.
Ma il miglior alleato di Stalin è la crudeltà razzista di Hitler, il suo folle disegno di considerare tutti gli slavi una sottospecie umana e la guerra come uno spietato massacro razziale. Mai prima di allora si era vista una guerra tanto sistematicamente «totale».
Ma ancora più degli slavi sono odiati, braccati, internati, eliminati gli ebrei. L’antisemitismo è la connotazione a cui il nazismo non ha mai rinunciato. La guerra suggerisce ora l’attuazione del più orrendo genocidio che la storia conosca. Dal 19 settembre 1941 tutti gli ebrei residenti nell’impero nazista devono portare la stella di Davide e la scritta «giudeo».
È il preludio della deportazione in massa. Il 7 dicembre 1941 Hitler adotta il decreto Nacht und Nebel (notte e nebbia). «Notte» vuol dire che la punizione è la morte; «nebbia» che l’operazione deve compiersi nel più assoluto segreto. Nasce allora l’organizzazione scientifica dello sterminio in massa: campi con camere a gas che sembrano docce, forni crematori che senza interruzione bruciano cadaveri. In Europa si contano, alla fine della guerra, 1188 lager di tipo diverso, in massima parte concentrati in Germania, Polonia e Russia. Il campo di sterminio più tristemente celebre è quello di Auschwitz, ove passano per il camino degli inceneritori oltre 4 milioni di persone. Dei 12 milioni di prigionieri sterminati in tutta la rete dei lager, 6, la metà, sono ebrei.
La Resistenza tedesca Un discorso a parte merita la Resistenza tedesca contro il nazismo durante la guerra. Essa fu radicalmente diversa da quanto si indica con questo termine in Italia e negli altri Paesi europei. In questi, infatti, la Resistenza aveva un carattere di liberazione nazionale; per i resistenti tedeschi si trattava, invece, di lottare contro il proprio governo impegnato in una guerra senza scampo.
Per essi l’alternativa era terribilmente angosciosa. «Colui che osa fare qualcosa ora per la Germania – disse Claus von Stauffenberg pochi giorni prima dell’attentato a Hitler nel luglio 1944 – deve essere consapevole che passerà alla storia tedesca come un traditore. Ma se tralascia di fare quel che deve fare, si sentirà traditore verso la propria coscienza».
Lo stesso concetto era stato espresso nella Confessione di Altona dalle chiese protestanti in aperta polemica con i filonazisti «cristiano-nazionali»: «Siamo chiamati ad obbedire all’autorità statale. Ma se si verifica il caso che l’autorità stessa operi in senso contrario al miglior bene dello Stato, allora è giunto il momento in cui occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini». Coloro che in nome della dignità umana e in obbedienza a Dio iniziarono la loro difficile battaglia e pagarono con la vita furono molti anche in Germania. Dinanzi ad essi noi ci inchiniamo con profondo rispetto.
Giornale di Brescia, 17 marzo 1995.