Vi saluto cordialmente e sono lieto di poter essere qui con voi in questa commemorazione del cinquantesimo anniversario della rivoluzione ungherese del 56. Il 7 novembre, a Roma, il Presidente dello Stato Ungherese, il Signor László Sólyom nella sua relazione pronunciata alla Sapienza ha espresso i ringraziamenti dell’Ungheria e del popolo ungherese all’Italia ed agli italiani, che 50 anni fa ed anche in occasione della ricorrenza di quest’anno esprimevano simpatia, amicizia nei confronti dell’Ungheria e della rivoluzione. MI associo alle sue ringraziamenti e vorrei ringraziare anch’io a tutti coloro che hanno organizzato questa serata.
1. Sono stato invitato per parlare del significato della rivoluzione del 56 dal punto di vista degli ungheresi. La risposta non é univoca. Dipende dal fatto che cosa pensiamo sotto l’espressione “ungheresi”. Possiamo pensare alle persone ungheresi che avevano vissuto in prima persona gli avvenimenti di 50 anni fa, cioè ai rivoluzionari, ai ragazzi che combattevano a Budapest, possiamo pensare anche alle persone che durante o dopo la rivoluzione avevano lasciato la loro patria e si sono rifugiati all’estero, o possiamo pensare ad una generazione successiva che ora sono tra i 50 e i 60 anni che sono cresciuti durante l’oppressione della rivoluzione nell’era di János Kádár, nel cosiddetto “gulyás komunizmus” o in fine possiamo pensare alla generazione che é nata poco prima della caduta del muro di Berlino o subito dopo, la generazione che praticamente non aveva giá vissuto sotto il regime comunista, che conosce la rivoluzione e il periodo successivo solo attraverso le commemorazioni annuali, o dai libri di storia.
Stamattina a Padova ho partecipato ad una Santa Messa ed ad una commemorazione all’Università di Padova. Questa manifestazione è stata organizzata da alcuni ungheresi, che avevano lasciato l’Ungheria nel 56, e sono venuti in Italia dove l’Università di Padova li aveva accolti, ed aveva offerto loro la possibilità di finire i loro studi. Questi giovani ungheresi tutti sono diventati medici di grande prestigio. Hanno fatto carriera. In occasione del 50 anniversario voleva esprimere la loro gratitudine per tutto quello che hanno ricevuto dall’Università. Per loro il 56 significa tutto, è un momento impostante della loro vita, perché dovevano lasciare la loro patria, dovevano continuare i loro studi in un altro paese, in un’altra lingua.
L’8 ottobre abbiamo celebrato un’altra Santa Messa a Padova per la comunità ungherese e dopo abbiamo commemorato il 50-mo anniversario della rivoluzione. Hanno partecipato alcuni ragazzi del 56 che ormai sono verso i 70 anni che dopo la rivoluzione erano arrivati in Italia, ma anche giovani che si sono sposati recentemente, coppie italo-ungheresi che sono arrivati recentemente. L’Ambasciatore ungherese presso il Quirinale nel suo saluto ha sollecitato i presenti di non dimenticare i valori della rivoluzione del 56 e di trasmetterli ai figli. La celebrazione ha toccato in modo diverso i partecipanti. Gli ex ragazzi del 56 erano contenti, una giovane madre ungherese, che ha sei figli, durante il pranzo mi ha detto a proposito: come dovrei trasmettere ai miei figli i valori del 56 quando questa festa non dice molto neanche a me? Ecco la voce di quella generazione che é nata e cresciuta sotto il regime comunista. Io faccio parte di questa generazione perché anch’ io sono nato dopo la rivoluzione ancora nel 56. A scuola e puoi al liceo ci hanno insegnato che il 56 non era altro che una controrivoluzione ispirata dagli elementi del vecchio regime di Horty, governatore dell’Ungheria prima della seconda guerra mondiale, dai capitalisti, dai latifondisti, dall’espropriati, dall’aristocrazia, dai contadini arricchitisi cosi detti kulák, dai legittimisti, dai fascisti, per distruggere i risultati della democrazia che dal 45 sta costruendo il partito comunista, che non vuole altro che il bene del popolo. Quest’insegnamento non parlava per niente degli anni cinquanta che erano gli anni bui del terrore comunista, quando tutti tremavano che una sera si fermasse una macchina nera davanti a casa e la polizia segreta, che si chiamava in ungherese AVO, portasse via qualcuno della famiglia di cui poi non si sapeva piú nulla. L’insegnamento ufficiale della scuola parlava male anche della Chiesa, prima di tutto del Cardinale József Mindszenty, Arcivescovo di Esztergom-Budapest, Primate di Ungheria, perché lui combatteva per i capitalisti, voleva ristabilire i latifondi della Chiesa del medioevo e collaborava con gli americani per distruggere il potere dei comunisti. L’insegnamento della scuola non parlava neanche del fatto che negli anni cinquanta molti sacerdoti erano stati incarcerati e torturati, e la Chiesa ungherese dopo l’arresto del Cardinale Mindszenty, il 26 dicembre 1948, é stato messo sotto controllo, hanno tolto la sua libertà come il nemico per eccellenza del paese e del popolo.
In Ungheria vive ancora una generazione che ha ricevuto un insegnamento di questo genere.
Il mio zio, il fratello minore di mia madre é scappato nel 56 dall’Ungheria. Vive in California. Per la prima volta negli anni 70 era tornato a Budapest a visitarci. A quell’epoca studiavo ad un liceo statale di Budapest. Con lui in silenzioso abbiamo visitato a Budapest luoghi dove lui, durante i dieci giorni della rivoluzione dal 23 ottobre fino al 4 novembre aveva combattuto. Non ne parlava molto ma era molto commosso. A un certo punto mi aveva accennato che se lui allora non avesse lasciato l’Ungheria dopo la soppressione della rivoluzione lo avrebbero giustiziato. Sinceramente non avevo capito che cosa voleva dire, perché nel liceo non ci avevano parlato delle torture, della repressione della rivoluzione.
Nel 1985 già ordinato sacerdote, sono stato inviato a continuare i miei studi di teologia a Roma come alunno del Pontificio Istituto Ungherese di cui ora sono il Rettore. Nella biblioteca dell’Istituto ho trovato per la prima volta nella mia vita scritti pubblicati in Occidente che avevano presentato gli avvenimenti del 56 non come a scuola, ma in modo diverso. Allora ho iniziato a conoscere i fatti veri della rivoluzione.
Dopo gli studi compiuti nel 1988 sono tornato in Ungheria. Proprio allora in occasione del anniversario del 23 ottobre si era cominciato anche nei giornali a discutere del 56, e si era cominciato a mettere in dubbio anche in pubblico la valutazione ufficiale del regime comunista. I comunisti, la vecchia guardia difendeva ancora la loro qualifica bugiarda, secondo cui il 56 era una controrivoluzione, ma anche tra loro alcuni avevano già cominciato a parlare dell’insurrezione del popolo.
Nell’aprile dell’anno seguente, nel 1989 si procedette a ritrovare in un famoso cimitero di Budapest nella Parcella 301, le tombe dei rivoluzionari. Avevano accertato l’identità dei loro resti. Prima di tutto hanno cercato, ritrovato ed identificato i resti di Imre Nagy.
Cosi siamo arrivati al 16 giugno 1989, al trentunesimo anniversario dell’esecuzione di Imre Nagy. Proprio il giorno dell’anniversario sono stati organizzati i funerali solenni di Imre Nagy ed dei suoi compagni. Rimane per me, e per molti ungheresi un avvenimento indimenticabile. La piazza più grande di Budapest, la piazza degli eroi é diventata quel giorno, per cosi dire, la camere ardente dei rivoluzionari. Centomila persone erano davanti alle loro bare. All’altoparlante sono stati elencati i nomi dei rivoluzionari condannati a morte e giustiziati dal regime comunista negli anni successivi, dal 1957 fino al 1963. Era un momento commovente ascoltare l’elenco dei nomi e la loro età. La maggior parte di loro erano giovani di 19-30 anni, che avevano sacrificato la loro vita per l’Ungheria. Per me, e penso per molti altri ungheresi della mia generazione era un momento quando abbiamo cominciato a capire il nostro passato, la storia vera dell’era comunista. Questo funerale solenne finalmente ed in modo univoco ci testimoniava che il 56 era una rivoluzione che era costata la vita di molti nostri connazionali. Solo allora ho dato ragione a mio zio, e ho capito che se lui fosse rimasto in Ungheria avremmo potuto sentire anche il suo nome il 16 giugno 1989 in Piazza degli Eroi tra i rivoluzionari condannati a morte.
2. Nell’ ottobre del 1956 in Italia, in tante comunistá ungheresi si stavano preparando alla commemorazione del 500 anniversario della morte di San Giovanni da Capestrano.
Chi era questo santo?
Nacque il 24 giugno 1386 a Capestrano nella regione degli Abruzzi. Entrò nell’ordine francescano nel ramo degli osservanti. Fece carriera, venne eletto ministro regionale, e per due volte fu vicario generale. Su incarico del papa fu più volte inquisitore. Giró l’Europa. Il 15 maggio 1455 papa Callisto III indisse una spedizione dei crociati contro i turchi. Giovanni da Capestrano entrò in territorio ungherese a maggio, attraverso il paese predicando. A Buda il legato cardinale del papa gli consegnò il breve nel quale il papa gli affidò l’organizzazione dell’esercito crociato contro le truppe turche che stavano minacciando l’Ungheria e tutto l’Occidente. La battaglia decisiva si svolse a Nándorfehérvár (attuale Belgrádo). Gli ungheresi con Giovanni da Capestrano ottennero l’ultima grande vittoria contro il sultano turco che posticipó di 75 anni l’occupazione del paese e liberò anche l’Occidente dalla minaccia. La peste scoppiata dopo la battaglia causò la morte di Giovanni da Capestrano proprio il 23 ottobre. Benedetto XIII-mo nel 1724 lo proclamó santo e stabilí la sua festa liturgica al giorno della sua morte, il 23 ottobre.
Allora, nel ’56, in ottobre sono arrivate delle notizie da Budapest, proprio il giorno 23 ottobre, che è scoppiata una rivoluzione contro il regime comunista. Da allora gli anniversari di questo Santo e della rivoluzione del 56 sono indissolubilmente collegati. Quest’anno quando ricorre il cinquantesimo anniversario della rivoluzione dobbiamo ricordare anche il cinquecento cinquantesimo anniversario della morte del Santo francescano.
Nel 1453 dopo la caduta di Costantinopoli i fedeli dell’Occidente si chiedevano come mai Dio ha lasciato cadere nelle mani dei turchi questa cottá cosi importante e prestigiosa del cristianesimo?
Piero della Francesca, famoso pittore di San Sepolcro proprio in questo periodo negli anni 1458 – 1460 dipingeva gli affreschi nella Chiesa dei frati ad Arezzo rappresentando il ritrovamento della vera Croce. Nel ciclo c’è anche un’immagine della battaglia di Costantino contro il pagano Massenzio. L’imperatore diventato cristiano combatte il pagano Massenzio. Il volto di Costantino ed i suoi abiti prima di tutto il suo copricapo ricordano in modo univoco Giovanni Paleologo, imperatore bizantino. Questo era un’allusione chiara alla situazione di allora. Nell’affresco Costantino é seduto su un cavallo e nella sua mano tiene una croce che spaventa Massenzio che cade nel fiume al Ponte Milvio. Questo gesto invece ricorda Giovanni da Capestrano, che a Belgrado / Nandorfehérvár ha fatto portare davanti a se una croce e nella forza di questa croce hanno vinto contro i turchi. La vittoria sul Danubio in Ungheria ha dato speranza all’Occidente: si può fermare gli ottomani, si può vincere contro di loro avendo anche l’aiuto della fede, avendo l’aiuto di Dio. L’Occidente aveva potuto prendere fiato, perché cosi il pericolo ottomano per qualche decennio non lo aveva minacciato. La vittoria a Belgrado/Nándorfehérvár ha fatto notizia e in qualche modo è stato anche ricordato sull’affresco di Piero della Francesca ad Arezzo.
L’Italia dopo la caduta della rivoluzione del’56 aveva accolto quasi 5000 profughi ungheresi, sistemati nei centri di accoglienza della Croce Rossa. I sacerdoti ungheresi che erano responsabili delle cure d’anime degli ungheresi in Italia organizzavano nei centri di accoglienza cosiddette settimane missionarie, incontri spirituali per incoraggiare i profughi, per rafforzarli nella fede, incoraggiarli, dopo di che avevano lasciato il loro paese comunista. In queste missioni i sacerdoti portavano con loro la croce di San Giovanni da Capestrano che prendevano in prestito da Aquila dove lo conservano. Era un gesto simbolico che aveva il suo significato: la forza per combattere il male, la verità per combattere la menzogna scaturisce della croce di Cristo. La nostra fede ci assicura che Gesú ha vinto contro il male, ma questa battaglia continua nei secoli, noi, che siamo i discepoli di Cristo dobbiamo prendere sulle nostre spalle la nostra croce, possiamo vincere tramite essa prima di tutto vincere il male dentro di noi, e metterci al servizio dei nostri fratelli nella Chiesa e nella società.
Si capisce molto bene l’importanza della figura di San Giovanni da Capestrano. Quando sotto il regime comunista non si poteva parlare della rivoluzione la figura di San Giovanni da Capestrano sempre ricordava agli ungheresi i giorni della rivoluzione.
3. Quest’anno in occasione dell’anniversario una casa editrice cattolica ha pubblicato in un piccolo volume gli interventi di papa Pio XII-mo che aveva emanato a favore della rivoluzione del 56. Perché?
Papa Pio XII-mo durante i dieci giorni della rivoluzione aveva pubblicato ben tre encicliche, non lunghe, molto brevi ma tutti e tre erano le sue reazioni agli avvenimenti delle rivoluzione di Budapest.
La prima é stata pubblicata il 28 ottobre 1956 che é una reazione alle notizie sanguinose arrivate da Budapest con il titolo „Luctuosissimi eventi”. In essa il papa avverte tutto il mondo degli avvenimenti di Budapest, chiede preghiera per ottenere la pace basata sulla verità a favore del popolo ungherese torturato.
Il giorno di ogni santi, cioè il primo novembre 1956 aveva emanato la seconda enciclica con il titolo “Laetamur admodum” in cui esprimeva la gioia causata dai fatti verificatosi in quei gironi in Ungheria.
La terza é stata emanata il giorno seguente all’invasione dei carri armati russi, cioè il 5 novembre, “Datis nuperrime”, che esprimeva il dolore ed il pianto per l’occupazione dell’Ungheria.
Perché ho accennato questo? Raramente succede che un papa interviene cosi frequentemente per un popolo. Le tre encicliche del papa rilevano l’importanza della rivoluzione del 56. Ma sono certo che in questa sala nessuno pensi che queste encicliche del Papa, allora, non erano state pubblicate in Ungheria, perché il regime aveva proibito. Durante la preparazione del volume delle encicliche di Pio XII-mo il curatore facendo un indagine nell’archivio dell’Ufficio che controllava la Chiesa che si chiamavano AÉH, ha trovato le traduzioni integre di tutte e tre le encicliche. Si, perché la polizia segreta con attenzione e con timore guardava agli interventi del papa e faceva tutto per proibire che il popolo e la Chiesa ungherese possa sentire la voce del papa. Questo fatto caratterizza molto bene la situazione della Chiesa di allora.
Vi ho accennato questo fatto per far capire che dopo 50 anni ci sono ancora tante cose da scoprire intorno alla rivoluzione.
4. In questi giorni è stato organizzato un convegno a Budapest sul ruolo della Chiesa Cattolica durante la rivoluzione. Gli studiosi hanno constatato che la storiografia deve fare molte ricerche su questo argomento. È un fatto sicuro che durante la rivoluzione girava a Budapest un tram, su cui era scritto che il Cardinale Mindszenty fosse liberato. La liberazione del Cardinale Mindszenty quasi funzionava come sigillo della credibilità della rivoluzione.
Chi era Mindszenty?
Nacque nel 1892. Divento Arcivescovo di Esztergom, Primate di Ungheria subito dopo la seconda guerra mondiale nel 1945. Lottó per la libertà della Chiesa contro il regime totalitario. Con le accuse false lo avevano arrestato e condannato all’ergastolo, l’8 febbraio 1949. L’eliminazione del Cardinale serviva per impaurire la Chiesa, e per sottometterla al potere del partito comunista e per eliminare la Chiesa Cattolica, che era considerata dal potere come il suo nemico primario.
In occasione del 50-mo anniversario recentemente è stato pubblicato un libro in Italia con il titolo: Ungheria 1956, Il cardinale e il suo custode. Il libro parla di un maggiore ungherese di nome Antal Pálinkás-Pallavicini, che il 10 dicembre 1957 é stato picchiato durante la soppressione della rivoluzione. Che cosa era la sua colpa?
Secondo la condanna Pálinkás Pallavicini aveva liberato il Cardinale Mindszenty dalla sua prigionia durante i giorni della rivoluzione, e voleva ristabilire in Ungheria il sistema politico antecedente alla seconda guerra mondiale.
Mindszenty dal 26 dicembre 1948 era in carcere in diversi luoghi. Nell’autunno del 56 era rinchiuso e custodito dalla polizia segreta in un castello che era vicino alla caserma dove Pálinkás Pallivicini aveva fatto il servizio militare. Il 30 ottobre il Cardinale è stato liberato dalla sua prigionia, praticamente gli esponenti della polizia segreta scappavano, ed alcuni militari inviati dalla caserma lo avevano accompagnato alla caserma di Rétság. Il giorno seguente Pálinkás con un carro armato aveva accompagnato il Cardinale a Budapest. Il padre di Pálinkás Pallavicini era un nobile ungherese.
Durante la repressione della rivoluzione questi fatti servirono molto ai comunisti per far vedere che il periodo che va dal 23 ottobre fino al 4 novembre del 56 era una controrivoluzione in cui i personaggi principali erano un Cardinale della Chiesa, cioè il rappresentante per eccellenza del clericalismo, che dipende anche dal potere del papa, ed un discendente di un nobile che si nascondeva tra le file dell’esercito.
Ricerche recenti hanno invece verificato che Pálinkás-Palavicini non era presente alla liberazione di Mindszenty, lui lo aveva incontrato solo più tardi, anche se vero che fu lui a guidare le truppe che avevano accompagnato il Cardinale a Budapest.
Vi accenna questo fatto, perché caratterizza molto bene la situazione della rivulozione ed anche la mentalitá dell’oppressione. Ed oltre questo dimostra che intorno alle grandi figure della rivoluzione, ed anche intorno degli avvenimenti di essa nascevano delle leggende e la storiografia scientifica deve ancora riscoprire la veritá.
Devo costatare che il libro italiano citato non conosce ancora i risultati di queste ricerche ed in un certo senso continua ripetere la storia, secondo la consuetudine, secondo la versione comunista.
5. Preparandomi a questo intervento mi sono rivolto ad un sacerdote ungherese a Kecskemét. Da lui ho chiesto di raccogliere le opinioni sulla rivoluzione dei ragazzi del suo gruppo parrocchiale. Ecco le risposte di quella generazione che è cresciuta dopo o non molto prima del 89, che conosce il 56 solo dai libri di storia:
– il popolo dopo un periodo di silenzio e di non poter inscienare manifestazioni, ebbe il coraggio di esprimersi e di radunarsi, tutti volevano essere liberi,
– la gente ebbe coraggio di opporsi ad un sistema totalitario,
– i giovani di allora, anche i sedicenni, ebbero il coraggio di esprimersi, di manifestare di aver capito i problemi,
– i giovani avevano lottato contro i carri armati, senza armi adeguate,
– i rivoluzionari erano decisi, non avevano paura, erano coraggiosi e non li aveva impaurita di nulla,
– hanno sopportato le conseguenze: la repressione
– molti incarcerati hanno perdonato tutto quello che hanno subito malgrado che avessero sofferto ingiustamente,
– é crollato l’opinione secondo cui il comunismo salverà il mondo, e se un piccolo paese come l’Ungheria poteva insorgere contro un potere mondiale, voleva dire che quel potere non può fare tutto quello che vuole, e non é esso che salverà il mondo,
– i 200 mila emigrati ungheresi in Occidente erano stati i primi testimoni, oltre cortina di ferro, la loro presenza e la loro testimonianza avevano fatto crollare la propaganda sovietica.
– la rivoluzione era una guerra di liberazione, gli anni precedenti avevano maturato in tutti la convinzione che per la libertá si deve lottare anche con le armi, sacrificando anche la propria vita
– cambiare il sistema é la responsabilità anche del popolo,
– é un messaggio importante che tutti credevano che quello che facevano era positivo per il futuro del paese, che Dio sta dalla loro parte, in una situazione disperata hanno lottato fino all’ultimo sangue,
– gli avvenimenti del 56 hanno difeso i popoli di Europa dall’ideologia del comunismo perché il comunismo é contro la democrazia ed un sistema dittatoriale,
– i combattenti del 56 sono tutti eroi, volevano la libertà al posto della dittatura,
– si deve difendere le nostre convinzioni anche se abbiamo solo 16 anni, come hanno fatto allora i giovani,
– é importante conoscere la storia, ma non soltanto dai libri storici, ma è importante ascoltare i testimoni che ancora vivono tra di noi, che possono raccontarvi in modo genuino che cosa è successo 50 anni fa.
Ora, noi, qui presente, seguiamo quest’ultima proposta perché dopo di me ascolteremo la testimonianza di Padre Antonio.
Grazie per l’attenzione.
NOTA: testo non rivisto dall’Autore della conferenza tenuta a Brescia il 10.11.2006 su invito della Cooperativa cattolico-democratica di Cultura.