La Rosa Bianca  (Postfazione al libro Lillian Groag)

 Spezzate il mantello dell’indifferenza, che avvolge i vostri cuori. Decidetevi, prima che sia troppo tardi con queste parole il quinto volantino della Rosa Bianca, un gruppo di resistenza creato da studenti e da un professore dell’Università di Monaco di Baviera, si ribellava alla dittatura nazista e si appellava alla coscienza dei loro concittadini.

 Questi giovani: Hans Scholl (1918-1943), Alexander Schmorell (1917- 1943), Christoph Probst (1919- 1943), Willi Graf (1918 – 1943), Sophie Scholl (1921 –1943) e il professor Kurt Huber (1893 – 1943) , non ne potevano più di restare passivi a osservare come gli oppositori, i loro vicini di casa ebrei o appartenenti ad altre minoranze fossero discriminati, deportati e uccisi, e come la guerra continuasse a fare strage tra i loro coetanei e ad assoggettare popoli inermi ad un giogo crudele e spietato. In un tempo in cui la libera espressione del pensiero era punita, anche con la pena di morte, un gruppo di studenti, si oppose con la forza delle idee, con un ciclostile, con carta, buste e francobolli alla violenza quotidiana dello Stato nazista.

 Nel giugno del 1942 improvvisamente comparirono nel giro di poche settimane quattro diversi volantini firmati “La Rosa Bianca”. Erano ciclostilati e spediti per posta in un centinaio di esemplari a persone ritenute sensibili e intellettuali. Il primo si apriva con queste parole: Per un popolo non vi è nulla di più vergognoso di lasciarsi ‘governare’, senza opporre resistenza, da una cricca di capi privi di scrupoli e dominati da torbidi istinti. In conclusione affermava: ogni singolo, consapevole della propria responsabilità come membro della cultura cristiana e occidentale, deve coscientemente difendersi con ogni sua forza, opporsi in quest’ultima ora al flagello dell’umanità, al fascismo e a ogni sistema di Stato assoluto. Fate resistenza passiva, resistenza ovunque vi troviate; impedite che questa atea macchina di guerra continui a funzionare […]. Non dimenticate che ogni popolo merita il governo che tollera!.

Il secondo volantino iniziava con tono perentorio: Non si può discutere con il nazionalsocialismo sul piano spirituale, perché è privo di valori spirituali. È sbagliato parlare di una visione del mondo nazionalsocialista […] fin dall’inizio questo movimento ricorreva all’inganno del cittadino, già allora era intimamente corrotto e poteva sopravvivere soltanto con continue menzogne. Successivamente affronta, come unico documento della resistenza tedesca, la questione ebraica, con una argomentazione concreta e ancor oggi pienamente attuale, sebbene la reale dimensione della “soluzione finale” non fosse ancora chiara. Non intendiamo in questo foglio trattare della questione ebraica, né qui assumerne la difesa. No, ma vogliamo solo ricordare brevemente come esempio un fatto: il fatto cioè che dall’occupazione della Polonia sono stati trucidati in quel Paese nel modo più bestiale trecentomila ebrei. In questo noi vediamo il più orrendo delitto contro la dignità dell’uomo, un delitto di cui non se ne può trovare uno analogo in tutta la storia umana. Anche gli ebrei sono creature umane!

Nel terzo volantino intitolato Salus publica suprema lex i due giovani autori, Hans Scholl e Alexander Schmorell, dichiaravano: il cosiddetto Stato in cui viviamo oggi è la dittatura del Maligno. […] È già così vinto il dalla violenza il vostro spirito da farvi dimenticare che non è soltanto vostro diritto, ma anche vostro dovere morale rovesciare questo sistema? Ma se un uomo non ha più la forza di reclamare i propri diritti, allora sì che egli deve inevitabilmente perire Ancora una volta si appellano alla resistenza passiva, al sabotaggio nell’industria bellica e nelle fabbriche importanti per la guerra; sabotaggio di ogni adunata, manifestazione, festività, organizzazioni nate a opera del partito nazionalsocialista.

Nel quarto volantino i due giovani attaccarono Hitler frontalmente: Ogni parola che esce dalla bocca di Hitler è una menzogna. Quando egli parla di pace pensa alla guerra, quando in modo blasfemo pronuncia il nome dell’Onnipotente si riferisce invece alla potenza del Male, agli angeli caduti, a Satana. La sua bocca è come l’ingresso fetido dell’inferno e il suo potere è corrotto nel più profondo. La via per uscire da questa sudditanza al Male è per loro chiara, inizia dalle coscienze e dal loro rinnovamento: pur sapendo che il potere nazionalsocialista deve essere spezzato militarmente, noi cerchiamo un rinnovamento dall’interno dello spirito tedesco, così gravemente ferito. Ma questa rinascita deve essere preceduta da un chiaro riconoscimento di tutte le colpe di cui il popolo tedesco si è macchiato, e da una lotta incondizionata contro Hitler, i suoi collaboratori, i membri del partito ecc. Il volantino chiude con una frase che riassume il programma e la sfida di questi giovani studenti: noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza; la Rosa Bianca non vi darà pace.

Il 23 luglio 1942 i due autori dei volantini, insieme con compagni di studi, tutti inquadrati nella seconda compagnia studentesca, dovettero partire per il fronte russo, come soldati della Sanità. Con loro c’era anche Willi Graf. Restarono in Russia fino ai primi di novembre e in quei mesi la loro amicizia crebbe. Grazie a Schmorell, figlio di madre russa e perfettamente bilingue, scelsero, anche a rischio di essere accusati di tradimento, di avvicinare la popolazione civile e scoprirono che i contadini russi non erano affatto quei mostri atei e bolscevichi che la propaganda del partito descriveva. Nella loro attività all’ospedale da campo conobbero le sofferenze dei soldati feriti e talvolta condussero perfino operazioni chirurgiche, sebbene in condizioni del tutto inadeguate.

 Al rientro dalla Russia i giovani amici erano ancora più decisi e motivati a impegnarsi nella resistenza alla dittatura nazista. A quel punto Willi Graf, Sophie Scholl, la sorella di Hans e più giovane di lui di tre anni, Christoph Probst e successivamente il professor Kurt Huber vennero informati che gli autori dei primi quattro volantini erano stati Hans Scholl e Alexander Schmorell. Insieme continuavano a discutere di letteratura, filosofia arte e religione, come pure insieme cercavano di allargare il loro raggio di azione e di entrare in contatto con altri gruppi di resistenza come la “Rote Kapelle” e quello intorno ai fratelli Bonhoeffer, attraverso contatti con Falck Harnack che da Berlino, con una certa frequenza, visitava una comune amica a Monaco.

 Come raccontarono più tardi studenti che lo frequentarono, il professo Huber era considerato l’unica voce libera in un’università asservita all’ideologia nazionalsocialista, dove addirittura vi erano professori che tenevano lezioni di linguistica e cultura ariana in uniforme da SS e dove si insegnavano materie come “Igiene della razza”. In quei mesi dell’autunno 1942 Huber teneva un corso intitolato: “Introduzione sistematica alla filosofia”, grazie alla sua abile retorica, la trattazione di pensatori come Leibniz e Spinoza gli consentiva di trasmettere ai suoi numerosi uditori idee critiche verso il nazionalsocialismo.

 Huber collaborò ai primi di gennaio 1943 alla stesura del quinto volantino in cui la ormai prossima sconfitta di Stalingrado faceva sentire ancor più pesante il giogo dell’oppressione e con coraggio e lungimiranza scriveva: Hitler non può vincere la guerra, può soltanto prolungarla e invocava: libertà di parola, libertà di fede, difesa dei singoli cittadini dall’arbitrio di Stati criminali fondati sulla violenza,: queste sono le basi della nuova Europa.

I giovani cominciarono a diventare desiderosi di estendere i loro appelli alla rivolta a tutta la città e, in azioni notturne condotte ai primi di febbraio, si spinsero a scrivere sui muri di Monaco, la città culla del nazionalsocialismo, “abbasso Hitler” “Hitler assassino di massa” e a invocare ancora “Libertà”. Questa parola fu tracciata sui muri dell’Università a destra e a sinistra dell’ingresso principale. La mattina dopo il personale, già di buon mattino, era al lavoro per cancellarla, ma i solventi usati per rimuovere la vernice lasciavano la scritta ancora ben leggibile sulla pietra.

Il sesto volantino, tutto opera di Kurt Huber, redatto sotto l’emozione della disfatta di Stalingrado, inizia: Il nostro popolo si trova profondamente scosso di fronte all’ecatombe umana di Stalingrado. La geniale strategia del caporale della prima guerra mondiale ha spinto alla morte in modo insensato e irresponsabile trecentomila tedeschi. Führer ti ringraziamo! […] In nome della gioventù tedesca esigiamo dallo Stato di Adolf Hitler la restituzione della libertà personale, il bene più prezioso dei tedeschi che egli ci ha tolto nel modo più spregevole. […] Il nostro popolo si leva contro l’asservimento dell’Europa da parte del nazionalsocialismo, in un nuovo impeto di fede nella libertà e nell’onore. Questo, che sarà l’ultimo volantino, la mattina del 18 febbraio fu portato da Hans e Sophie Scholl all’interno dell’Università, distribuito sulle balconate e alcune copie furono lanciate nel grande atrio coperto dell’ingresso. Un bidello, già sollecitato dalla Gestapo a vigilare, riuscì a scoprire i due fratelli e a farli arrestare. Gli Scholl si fecero condurre via senza opporre resistenza, mentre i numerosi studenti presenti lasciarono fare terrorizzati. Alcuni lanciarono subito l’allarme in codice agli amici ancora liberi, purtroppo senza grande fortuna. Willi Graf fu arrestato con la sorella Anneliese ancora quella stessa notte. Christoph Probst, che prestava servizio militare a Innsbruck, fu arrestato là il giorno seguente: era l’autore della bozza del settimo volantino che, ancora in forma manoscritta, fu sequestrata a Hans Scholl dallo zelante bidello, mentre cercava di distruggerla.

Durante gli interrogatori della Gestapo, che seguirono per alcuni giorni, Sophie Scholl così rispose alla domanda perché si fosse resa colpevole di propaganda contro il regime: “Qualcuno doveva pur iniziare”.

Il 22 febbraio il Tribunale del popolo, sotto la guida di Roland Freisler, appositamente giunto da Berlino, condannò a morte i tre imputati: Hans e Sophie Scholl con Christoph Probst per “Tradimento del paese, favoreggiamento del nemico, preparazione all’alto tradimento e disfattismo”. In quella stessa sera del 22 febbraio nel carcere di Stadelheim si eseguì la condanna tramite la ghigliottina. Prima di salire al patibolo Chrisoph Probst, che era stato educato dal padre in una forma di panteismo e con l’ammirazione per le religioni orientali si fece battezzare, Hans Scholl gridò: “Viva la libertà”. Sophie Scholl invece aveva scritto in carcere la medesima parola “Libertà” sul retro del foglio che le trasmetteva i capi di accusa.

 Pochi giorni dopo anche Alexander Schmorell e Kurt Huber furono arrestati e dopo gli interrogatori della Gestapo, insieme ad altri undici sostenitori della Rosa Bianca, furono processati dal Tribunale del popolo. Era il 19 aprile, la vigilia della festa del “Compleanno del Führer” e certo le tre condanne capitali e tutte le altre a pene detentive, anche di parecchi anni, erano considerate un regalo speciale di Freisler al suo amato capo. In quel dibattimento durato quattordici ore Kurt Huber riuscì a pronunciare parte dell’autodifesa che si era preparato in carcere, che puntualizzava sul senso vero della legalità, contrapposta alla violenza, spacciata dai nazisti per Stato di diritto: il mio intento era quello di risvegliare le cerchie studentesche non attraverso un’organizzazione, ma attraverso la semplice parola, non per istigarle ad atti di violenza, ma per aprire loro gli occhi sui gravi abusi della vita politica. Il ritorno a chiari principi morali, allo Stato di diritto, alla fiducia nel prossimo, tutto ciò non solo non è illegale, ma rappresenta al contrario il ripristino della legalità.

 Di fronte a tali testimonianze, facciamo nostra la definizione che Romano Guardini diede nel novembre del 1945, quando fu richiesto dai genitori e dagli amici degli Scholl di commemorare i martiri della Rosa Bianca: “Di certo hanno lottato per la libertà dello spirito e per l’onore dell’uomo”. Ci viene poi quasi spontaneo pensare che le parole di questi giovani e del loro professore sono ancora oggi un formidabile antidoto contro l’eclissi della ragione e l’oscuramento delle coscienze, per impedire il ritorno di quella barbarie che furono il fascismo e il nazionalsocialismo. Anzi sono l’arma migliore contro tutte le forme di potere che in nome di un’ideologia vogliono sottomettere donne e uomini e negano l’unicità, il valore e di conseguenza i diritti di ogni singola persona. Allora ritorneranno alla nostra mente e capiremo appieno il senso del sacrificio di Hans Scholl, Sophie Scholl, Alexander Schmorell, Christoph Probst, Willi Graf e di Kurt Huber: noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza; la Rosa Bianca non vi darà pace.