La lotta più difficile contro il nazismo fu quella combattuta dagli stessi tedeschi soprattutto negli anni del secondo conflitto mondiale, tra il 1939 e il ’45. La resistenza tedesca fu radicalmente diversa da quanto si indica con questo termine in Italia e negli altri Paesi europei. In questi, infatti, la resistenza aveva un carattere di liberazione nazionale; per i resistenti tedeschi si trattava, invece, di lottare contro il proprio governo impegnato in una guerra senza scampo. Per essi l’alternativa era terribilmente angosciosa. «Colui che osa fare qualcosa ora per la Germania – disse Claus von Stauffenberg pochi giorni prima dell’attentato a Hitler nel luglio ’44 – deve essere consapevole che passerà alla storia tedesca come un traditore. Ma se tralascia di fare quel che deve fare, si sentirà traditore verso la propria coscienza». Lo stesso concetto era stato espresso nella Confessione di Altona delle Chiese protestanti in aperta polemica con i filonazisti “cristiano-nazionali”: «Siamo chiamati a obbedire all’autorità statale. Ma se si verifica il caso che l’autorità stessa operi in senso contrario al miglior bene dello Stato, allora è giunto il momento in cui occorre obbedire a Dio piuttosto che agli uomini».
Un gruppo di ragazzi e un professore Tra coloro che, in nome della dignità umana e in obbedienza a Dio, iniziarono in Germania la loro eroica battaglia e pagarono con la vita ci furono i giovani del gruppo La Rosa Bianca (Die Weisse Rose). I quattro ragazzi erano studenti in medicina: Hans Scholl, Willi Graf, Alex Schmorell e Christoph Probst. C’era pure una donna, Sophie Scholl, sorella di Hans, iscritta a biologia e filosofia. Nel tratto finale ad essi si unì un professore, Kurt Huber. È inevitabile chiedersi come a quei giovani fu possibile, vivendo in uno Stato totalitario, scoprire il gusto della libertà e dell’autentico onore nazionale, sottraendosi alla presa di una propaganda che tutto dominava e asserviva a sé. La biografia dei protagonisti è su questo punto illuminante.
Hans Scholl, nella prima adolescenza, si lascia conquistare dalla Gioventù hitleriana; ma ben presto è offeso dal divieto di leggere autori come Stefan Zweig perché ebreo, o Remarque e Thomas Mann. Il disprezzo per gli altri popoli e le teorie razziste lo spingono a ritrovarsi sulle posizioni del padre, un liberale progressista che non si faceva illusioni sulla vera natura del nazionalsocialismo. Hans aderisce a un’associazione giovanile vietata dal regime e, scoperto, viene incarcerato. Con la guerra lo studente di medicina alterna il servizio negli ospedali e la frequenza ai corsi universitari a Monaco, essendo assegnato a una compagnia militare studentesca, in cui incontrerà quelli che diverranno i suoi grandi amici.
Willi Graf proviene dalla Saar e ha frequentato la lega studentesca cattolica. La famiglia è apolitica, ma non aderisce al nazismo perché esso si caratterizza come ideologia anticristiana. «Al mio liceo – scrive Willi – su mille studenti solo una dozzina non appartenevano alla Gioventù hitleriana».
Alex Schmorell è il personaggio più affascinante. Figlio di un medico tedesco e di una russa, che muore un anno dopo averlo messo al mondo, grazie alla sua vecchia “tata” cresce bilingue. Sportivo, fine intenditore di pittura e scultura, è insieme slavo e tedesco. Gli tocca come soldato partecipare all’invasione della Cecoslovacchia e lo fa con profonda ripugnanza.
Il quarto amico del gruppo è Christoph Probst. La volgarità estetica e umana, prima ancora che politica, della messinscena nazista – ossessiva, menzognera, disumanizzante – lo avvicina sempre più al padre, orientalista e critico d’arte fieramente avverso al regime. Il giovane Probst non ha ricevuto un’educazione religiosa, ma la sua anima è colma di due certezze: la fede in un Dio trascendente e nell’immortalità personale. È sposato e ha due bambini. L’incontro con Hans, Willi, Alex e Sophie è come un riconoscersi tra fratelli, pur nella forte diversità dei caratteri.
Sophie Scholl, ventunenne, è la più giovane del gruppo. È una magnifica ballerina, vive di musica e poesia, disegna molto bene. Scopre che l’autore del primo volantino è suo fratello Hans e da quel momento si butta anch’essa nella rischiosissima impresa. È innamorata di Alex, ma tiene in serbo per il futuro il suo segreto. L’exploit delle armate naziste nella primavera del ’40 la inquieta fortemente e scrive a un amico ufficiale: «Dobbiamo per forza occuparci di politica. Finché la politica è confusa e malvagia, è da vigliacchi tirarsi indietro… Bisogna essere pronti a offrirsi totalmente per una causa giusta». Due giorni prima di essere presa confida ad un pittore qual è la missione sua e del suo gruppo: «Cadono così tanti uomini per questo regime, è ora che qualcuno cada perché è contro».
La simpatia umana vivissima tra personalità così originali, il festoso senso di accoglienza reciproca, la prorompente gioia di vivere, l’amore per la grande arte sono legami già di per sé molto forti; ma gli elementi che portano i cinque alla decisione che muta l’esistenza sono da individuare soprattutto nel progressivo approfondimento, personale e di gruppo, della visione cristiana della vita e nella dolorosa, lucidissima consapevolezza che per l’onore del cristianesimo e della Germania bisognava passare assolutamente dal rifiuto interiore del nazismo alla resistenza attiva. Quei giovani più scoprono il legame strutturale tra libertà e Vangelo, più avvertono come ineludibile il dovere di passare all’azione. Che non ci sia dignità senza libertà essi lo hanno appreso attraverso la lettura – prima individuale e poi confrontata in comune – dei libri giusti: L’Apologia di Socrate, le Confessioni di sant’Agostino, i Pensieri di Pascal e singole opere dei francesi Bernanos, Mounier, Gilson, Maritain, Claudel; ma anche dei tedeschi, da Schiller e Rilke ai contemporanei Ernst Wiechert e Romano Guardini, a Theodor Haecker, il traduttore di Kirkegaard e di Newman, il cui libro, Che cosa è l’uomo?, apparso nel ’33, era già una sorta di manifesto della resistenza. I ragazzi della Rosa Bianca conobbero di persona Haecker, conversarono con lui e dalla sua viva voce ascoltarono la lettura di alcune sue pagine. Ma Alex, il tedesco-slavo, fa sì che tra i maestri il primo posto spetti a Dostoevskij, in particolare per le pagine della Leggenda del Grande Inquisitore, la più penetrante, profetica analisi del totalitarismo e della sua logica perversa.
«Strappate il manto dell’indifferenza» «Libertà» (Freiheit) scrivono i nostri giovani a lettere cubitali, col catrame, sui muri di Monaco dopo l’ecatombe dei soldati tedeschi a Stalingrado e quella parola fa paura al regime, che l’aveva resa estranea al popolo tedesco. Nel giugno ’42 la Rosa Bianca decide di far sentire la sua voce sia ai tedeschi che sanno, ma hanno paura, sia ai tedeschi che sostengono fanaticamente il regime, pensando che il futuro della Germania fosse legato in modo indissolubile al trionfo del nazismo. Il mezzo scelto è il volantino. Le difficoltà per procurarsi il ciclostile e la carta sono enormi, interminabili i tempi per la stampa a mano, un foglio per volta; grandissimi poi sono i rischi per la diffusione dei volantini, ma anche per il loro trasporto da un quartiere all’altro e, in treno, da una città all’altra, falsificando documenti di viaggio e permessi militari. Di quei volantini ne uscirono sei. I giovani della Rosa Bianca, rivolgendosi ai compatrioti, avevano scritto: «Noi non taceremo. Siamo la voce della vostra cattiva coscienza». E ancora: «Strappate il manto dell’indifferenza che avete avvolto intorno al cuore. Decidetevi prima che sia troppo tardi».
I primi ad essere arrestati furono Hans e Sophie. Era il 18 febbraio ’43. Poi fu la volta di Probst. Interrogati per diciassette ore consecutive, non si lasciarono sfuggire un nome. Quando Sophie lesse il foglio dell’atto di accusa, che comportava la pena di morte, trasse un profondo sospiro e disse solo: «Dio sia lodato». Quel foglio fu trovato nella sua cella dopo l’esecuzione della condanna; sul retro c’era scritto, con tocco lieve, una parola: Freiheit! (Libertà!). Nell’ultima lettera alla madre Probst scrive: «Se guardo indietro, vedo che la mia vita è stata un’unica strada verso Dio». Hans dà una consegna alla guardia che lo aveva in custodia: «A dispetto di ogni violenza, tener duro». È un verso di Goethe. Prima di entrare nella stanza della morte, Hans lancia con forza un grido: «Es lebe die Freiheit!» (Viva la libertà!).
Alex, il professor Huber e Willi al processo che si celebrò in un secondo tempo, dichiarano che non potevano fare diversamente da quello che la coscienza loro imponeva e si trasformano da accusati in implacabili accusatori del regime. I fratelli Hans e Sophie Scholl erano evangelici, Willi Graf e il professor Kurt Huber erano cattolici, Alexander Schmorell ortodosso e Christoph Probst chiese il battesimo un’ora prima di essere consegnato nelle mani del boia. Furono tutti ghigliottinati. Affrontarono la morte affermando di aver agito per scuotere le coscienze dei giovani tedeschi e con la fede di chi è pronto a entrare in un’altra vita.
Quei nomi entrati nella storia Al primo processo della Rosa Bianca, alla lettura della sentenza di morte per Hans e Sophie Scholl, il padre gridò: «Hitler non può cancellare quello che avete fatto. Voi siete entrati nella storia». Sono passati più di cinquant’anni da quando i cinque giovani della Rosa Bianca e un loro professore furono scoperti e ghigliottinati, e tuttavia la loro vicenda non cessa di inquietarci e di commuoverci profondamente. Me ne sono chiesto più volte il perché e mi pare di poter rispondere così: il comportamento dei giusti non lascia scampo, zittisce con l’eloquenza silenziosa dei fatti le nostre chiacchiere, dissolve gli alibi delle nostre cattive coscienze e gli uomini onesti con se stessi non possono non avvertire un’eco della loro lezione di vita. Hans e Sophie Scholl, Willi Graf, Alex Schmorell, Christoph Probst e il professor Huber sono entrati nella storia perché fratelli di Antigone, l’eterna eroina della legge naturale, che sapeva di trasgredire ingiusti divieti, inventati dagli uomini, per obbedire ad un comandamento migliore, a «quelle leggi non scritte e immutabili che non sono nate dall’arbitrio di oggi o di ieri, perché – come dice Sofocle – vivono sempre e per sempre nella coscienza umana». Quella coscienza che per l’ideologia nazifascista era una «malattia», una «depravazione giudaico-cristiana», e che un ignoto autore cristiano celebra, invece, come l’altare stesso di Dio: «Sit ara tua conscientia mea».
Per questo motivo la testimonianza della Rosa Bianca si inscrive – come ha ben detto Romano Guardini – nell’ordine della nobiltà interiore, di ciò che proviene dalle sorgenti del cuore e dalla profondità dello spirito. Essa assurge a simbolo della rivolta cristiana al neopaganesimo e della grandezza umana in quanto tale, perché ciò che quei giovani fecero lo fecero per l’onore del nome cristiano, per l’onore del popolo tedesco e dell’umanità.
Il primato del valore morale «Uno alla fine deve pur incominciare», rispose Sophie Scholl, davanti al cosiddetto tribunale del popolo, a chi le domandava che cosa mai l’avesse spinta all’azione. Ebbene, in quelle semplici, sublimi parole sta la ragione per cui in ogni tempo, a ogni giovane che si apra alla vita dello spirito è data la possibilità di sfuggire al pericolo mortale della viltà, del conformismo, dell’indifferenza.
La tragica purezza delle scelte operate da quei magnifici ragazzi è di un livello così alto da far quasi scomparire la loro dimensione politica. Certamente i giovani della Rosa Bianca nel quinto e nel sesto volantino indicarono con precisione le mete a cui tendere: il collegamento con gli altri gruppi della resistenza, una Germania federale, l’Europa unita, un ordinamento costituzionale idoneo a conciliare i diritti della classe lavoratrice e le conquiste proprie della civiltà liberal-democratica. E tuttavia il valore propriamente politico della resistenza di quegli studenti sta nell’aver compreso con straordinaria lucidità e nell’aver scritto a chiare lettere che prima di ogni discussione sull’una o l’altra forma di Stato, sull’una o l’altra legge, la cosa assolutamente necessaria è che lo Stato diventi Stato di diritto, che renda cioè praticamente riconoscibile nel suo operare il primato del valore morale a cui ogni legislazione e lo stesso potere esecutivo debbono essere incessantemente ricondotti. Noi sappiamo che non v’è questione più importante di questa anche per la politica dei nostri giorni e del nostro Paese, se non si vuol degradare la democrazia a scelta illusoria, a menzogna convenzionale.
Mi sia permesso concludere questi cenni sulla resistenza degli studenti contro Hitler, rivolgendomi particolarmente ai giovani, con i quali l’avvenire è già in mezzo a noi. I giovani della Rosa Bianca ci hanno dato una lezione indimenticabile. L’onore che tributiamo ad essi – che hanno dato la vita per la libertà e perché la croce uncinata non sostituisse la croce di Cristo – esige da parte vostra un’assunzione di responsabilità degna del loro sacrificio: anche voi non potete sottrarvi all’impegno di capire dove si gioca oggi l’istanza di un’uguale libertà e al dovere di essere interiormente pronti a portare a compimento quell’istanza con purezza di cuore.
Se vuol evitare il naufragio a cui la sospinge il consumismo e lo svuotamento spirituale che l’accompagna, la nostra civiltà ha bisogno dell’eroismo morale dei giovani di ogni generazione, e dunque anche del vostro.
Intervento tenuto in Palazzo Loggia e pubblicato all’interno del libro “La Rosa Bianca. Per la libertà dello spirito e per l’onore dell’uomo” edito dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura e dal Comune di Brescia, terza edizione aprile 1999.