Sulla soglia ormai del terzo millennio, è facile avvertire il bisogno di uno sguardo sintetico sul cammino percorso e sulle prospettive che si aprono.
Per quanto riguarda il movimento ecumenico, il nostro secolo ha registrato degli innegabili progressi, contrassegnati da svolte poco prevedibili. Nato a Edimburgo nel 1910 in occasione di una conferenza missionaria indetta da alcune chiese protestanti, l’ecumenismo incontrò sulle prime non poche diffidenze nel mondo cristiano, specialmente da parte dei cattolici. Ci furono bensì dei pionieri lungimiranti come Mercier, Congar, Couturier e tanti altri, ma il clima restava quello indicato dall’enciclica Mortalium animos (1928): “no” al “pancristianesimo”, “sì” all’eventuale ritorno a Roma di coloro che se ne erano allontanati nel corso dei secoli.
Il Concilio Vaticano II (1962-65) incise profondamente, come tutti sanno, nella questione ecumenica, operando un radicale cambiamento di prospettive, di metodi, e ancor più, di animi: “convergenza” di tutti verso l’unico Signore, discernimento riconoscente della fede comune, dialogo e ricerca fatta insieme sui punti controversi. Per quanto riguardava le differenze ancora esistenti, esse, in questo nuovo clima di reciproca comprensione, perdevano il loro nefasto potere di divisione e appariva l’idea di una “diversità riconciliata”, nella quale era più facile procedere verso la verità.
In base a tutto questo non è più corretto oggi parlare di “scandalo” delle chiese divise, anche se rimangono, evidentemente, dei nodi da sciogliere. Le chiese cristiane d’Europa, ad esempio, hanno potuto trovarsi a Basilea nell’89 in assemblea paritetica per affrontare il problema comune della giustizia e della pace. In quel momento esse offrivano al vecchio continente, impegnato a rinnovarsi, un segno e un modello di comunione nella distinzione. Ma una nuova svolta si è verificata recentemente, per merito soprattutto dell’attuale pontefice. E’ una svolta epocale che sta impegnando l’ecumenismo in un ambito e in una tensione che vanno ben al di là dei suoi intenti iniziali. Intendo accennare al dialogo interreligioso.
Si pensi la convegno di Assisi dell’86: nella città del Poverello, rappresentanti di tutte le religioni pregarono insieme per la pace; non – si noti – con un’unica preghiera sincretistica, ma ciascuna di esse con una preghiera fedele alla propria tradizione. Però insieme! L’ecumenismo che forse stava segnando il passo davanti a scogli per il momento ancora inattaccabili, riacquistava di colpo nuovo slancio, nuove aperture. Coerentemente, all’inizio del nuovo anno il Papa assegnava alla giornata della pace il tema: “Credenti uniti nella costruzione della pace”. Credenti – crediamo di poter leggere- di tutte le religioni, di tutte le fedi.
I puristi dell’ecumenismo, a questo punto, obiettano che, propriamente, esso è una questione fra cristiani, e hanno certamente delle ragioni; ma anche la storia, con il suo incontenibile dinamismo, ha le sue ragioni e le sue esigenze. Il dialogo interreligioso oggi si pone come con un urgente necessità in ordine al raggiungimento di un mondo pacifico e concorde.
Nel dialogo, i cristiani dovranno certamente continuare a inserire all’annuncio del Cristo, il loro Signore. La loro pace non viene da Lui?
Dovranno annunciare il cristo vero: umile, povero, solidale, che lava i piedi ai suoi amici, a tutti, venuto per servire, non per prendere, ma per dare, per creare comunione abbattendo i “muri d’inimicizia” magari eretti proprio all’interno del tempio. Dovranno annunciarlo, i cristiani e le chiese, con evidente disinteresse, con assoluto distacco dalle loro prerogative, dai loro presunti o reali diritti, senza voler conglobare nessuno.
In questo mondo, l’annuncio del Cristo non potrà che risultare più forte, rispondendo alle attese più profonde di tutti. Infatti, il nucleo del messaggio cristiano, il testo fondamentale della “nuova evangelizzazione”, è quello che l’apostolo Giovanni, partendo dall’evento-Cristo, ha concettualizzato nell’intuizione di fede che “Dio è Amore” (Gv 4,8). Se ci si bada, questa idea non è soltanto la più intensa, profonda e alta che troviamo all’interno del Vangelo del crocifisso-risorto. Essa è anche la più ecumenica, la più largamente partecipabile. Estremamente difficile a capirsi e soprattutto ad essere tradotto in termini di esistenza, essa tuttavia è proprio l’anima nascosta di ogni fede, di ogni religiosità, di ogni autentica ricerca umana. L’apostolo, che ai piedi della Croce ha tradotto in questo concetto il silenzio di Cristo morente, ci invita a “credere nell’Amore”, in questo Dio che si identifica con l’Amore. E’ questo, certamente, il messaggio più ecumenico, vivendo il quale potremo passare da ciò che già ci unisce a quell’unità che ancora non possediamo.
Giornale di Brescia, 18.1.1992