Laici e cattolici in Italia

Mercoledì 23 ottobre 1996 nella Sala Bevilacqua di via Pace n.10 a Brescia, ore 20,45, si è tenuto un incontro sul tema: “Laici e cattolici in Italia”, promosso dalla Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Brescia.

Sono intervenuti i direttori di “Liberal” Ernesto Galli Della Loggia e Giorgio Rumi. Ha introdotto e coordinato Mino Martinazzoli, Sindaco di Brescia.

Ernesto Galli della Loggia (Roma, 18 luglio 1942) è uno storico e accademico italiano, editorialista del Corriere della Sera. Biografia: si forma negli ambienti della sinistra non comunista. Determinante è l’incontro, negli anni sessanta, da studente all’Università “La Sapienza”, con Gian Paolo Nitti, che lo indirizza verso la storiografia. Nitti lo presenta ad Ernesto Rossi, che apre Galli Della Loggia allo studio dei fattori economici. Nel 1966 si laurea in Scienze politiche. Successivamente è a Torino, come ricercatore, presso la Fondazione Einaudi sotto la guida di Leo Valiani, dove approfondisce il rapporto tra banca e industria nello sviluppo economico italiano. Collaboratore di Quaderni storici all’inizio del 1970, pubblica saggi sull’imprenditoria italiana, sull’analisi marxista, sull’imperialismo e, per gli Annali Feltrinelli, sull’analisi del capitalismo nella Terza Internazionale. Insegna dal 1972 al 1975 Storia economica italiana presso la facoltà di Scienze economiche e bancarie dell’Università di Siena, per poi diventare professore incaricato di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Perugia. Negli anni settanta, la stagione degli anni di piombo, matura la convinzione che l’approdo naturale del comunismo è la dittatura. In seguito avvia la collaborazione con la rivista Mondoperaio, fondata da Pietro Nenni, fucina del pensiero socialista riformista. Nel 1978 è membro della direzione del periodico. Negli anni ottanta approfondisce lo studio di John Locke (1632-1704) e di Alexis de Tocqueville (1805-1859), che lo avvicinano alla cultura politica anglosassone. Galli Della Loggia si distacca dal partitismo italiano, di cui vede con molta più chiarezza le tendenze degenerative (partitocrazia). Nel 1984-85 dirige il mensile “Pagina” insieme a Giampiero Mughini, Paolo Mieli, Riccardo Chiaberge e Massimo Fini. Nel 1987 è nominato professore ordinario di Storia dei partiti e movimenti politici presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Perugia. Nel 1990 entra a far parte del Consiglio direttivo della “Società italiana per lo studio della storia contemporanea” (SISSCO). Nel 1995 fonda il mensile Liberal, di cui sarà direttore fino al 1998. Dal 1993 è editorialista del Corriere della Sera. È membro del comitato scientifico della Fondazione Italia USA. Dal 2005 al 2007 è stato preside della Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano (con sede a Palazzo Arese Borromeo, Cesano Maderno), ove è stato professore ordinario di Storia contemporanea fino all’ottobre 2009. Dal novembre 2009 è in organico come ordinario di Storia contemporanea presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (SUM) e direttore del corso di dottorato di ricerca in Filosofia della storia, istituito dal SUM in collaborazione con l’Università Vita-Salute San Raffaele. Galli Della Loggia ha all’attivo un’esperienza politica: alle elezioni politiche del 1992 si è candidato in varie circoscrizioni per la lista Sì Referendum senza risultare eletto. È stato membro del comitato scientifico del programma televisivo Rai 3 Il tempo e la storia dal 2013 al 2017 e in seguito in quello di Passato e presente, programma della stessa rete con replica su Rai Storia. (wikipedia.org – 2019)

Giorgio Aldo Rumi (Milano, 15 marzo 1938 – Milano, 30 marzo 2006) è stato uno storico, politologo e accademico italiano di famiglia feudale di Dongo, sul Lago di Como. Esponente di spicco del cattolicesimo liberale, figura di riferimento della cultura nazionale, fu apprezzato per lucidità di analisi, sobrietà di stile, capacità di confronto con culture diverse oltre che per innate doti oratorie. Biografia: Laureatosi in scienze politiche con Gianfranco Miglio all’Università Cattolica di Milano, fu ivi allievo di Ettore Passerin d’Entreves e, all’ISPI, di Brunello Vigezzi. Libero docente dal 1971, già professore di Teoria e Storia della Storiografia e di Storia Contemporanea della Facoltà di Scienze Politiche delle Università di Milano e di Bari, nel 1977 fu nominato ordinario di Storia Contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Statale di Milano. Come membro del CNR (per il Comitato di Scienze filosofiche e filologiche) strinse profondi legami con Rosario Romeo, Ruggero Moscati, Rodolfo Mosca, Enrico Serra e Gabriele De Rosa che contribuirono a definirne lo spirito di cattolico liberale. Come curatore, insieme a Brunello Vigezzi e Enrico Decleva, del progetto per la costituzione dell’archivio storico della Banca Commerciale Italiana, entrò in assiduo contatto con Raffaele Mattioli la cui profonda influenza emerge nello studio della formazione della classe dirigente nell’Italia unita. Dopo essersi concentrato sulla politica estera fascista, sul ruolo della Santa Sede nella politica internazionale, sui rapporti Stato-Chiesa prima e dopo l’Unità, la poliedrica attività di Rumi si rivolse allo studio della Lombardia nella specificità dei suoi rapporti con l’Europa dell’Antico regime, la Santa Sede e l’Italia unita, oltre che sul tema della formazione delle sue élite. La tipicità del cattolicesimo lombardo e del suo stretto legame con Roma è alla base di molte sue ricerche che vanno dalla storia dell’Università Cattolica a quelle sulle diocesi e sulle principali istituzioni cattoliche e dei suoi protagonisti, caratterizzate dal dilatarsi della dimensione locale a quella internazionale. Editorialista per lunghi anni dell’Osservatore Romano e di Avvenire, membro dell’Accademia di S. Carlo Borromeo presso la Biblioteca Ambrosiana, della Veneranda Fabbrica del Duomo, dell’Ambrosianeum, dell’Istituto Luigi Sturzo, fu attivo collaboratore del Centro Paolo VI di Brescia. Presenza costante nella realtà politica e culturale del Paese, firma di rilievo del Corriere della Sera, cofondatore e condirettore della rivista Liberal (marzo 1995), fu membro del Consiglio di Amministrazione dell’Università Statale di Milano, dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere, del Teatro alla Scala, della RAI, vice presidente della Società Storica Lombarda. Collaboratore dell’Istituto Regionale delle Ricerche della Lombardia, dell’Istituto per la Scienza della Pubblica Amministrazione, della Fondazione Visconti di San Vito, dell’Accademia Virgiliana, fu presidente del Centro Interdipartimentale di Storia della Svizzera “Bruno Caizzi” e consigliere della Fondazione Balzan Premio. Riposa tumulato nell’edicola di famiglia nel cimitero di Dongo. Il suo nome è stato iscritto nel Famedio del Cimitero Monumentale di Milano. (wikipedia.org – 2019)

Fermo Mino Martinazzoli (Orzinuovi, 30 novembre 1931 – Brescia, 4 settembre 2011) è stato un politico italiano, più volte ministro della Repubblica nelle file della Democrazia Cristiana. Fu senatore dal 1972 al 1983 e dal 1992 al 1994, e deputato dal 1983 al 1992. Martinazzoli, frequentato il liceo classico Arnaldo a Brescia, si laurea in giurisprudenza come alunno dell’Almo Collegio Borromeo di Pavia, ed esercita la professione di avvocato. Comincia poi la sua attività politica nel suo paese natale, Orzinuovi, nella bassa bresciana, come assessore alla Cultura. A partire dagli anni sessanta-settanta si afferma nelle file della Democrazia Cristiana di Brescia. Entra a far parte del consiglio provinciale e diviene presidente dell’amministrazione provinciale dal 1970 al 1972. Nel 1972 è eletto senatore, e contemporaneamente è consigliere comunale e capogruppo dello Scudo Crociato al comune di Brescia. Dopo vari anni al senato il salto di qualità avviene nel 1983, quando diventa ministro della Giustizia, incarico che ricopre per 3 anni, fino al 1986. Dal 1986 al 1989 si conferma uno tra i più importanti dirigenti democristiani, essendo eletto presidente dei deputati DC. Nel 1989-90 torna a fare il ministro, questa volta alla Difesa (sua la storica decisione di equiparare in termini di durata il servizio militare a quello civile). Si dimette però (insieme ad altri ministri della sinistra democristiana: Sergio Mattarella, Riccardo Misasi, Calogero Mannino, Carlo Fracanzani) in seguito all’approvazione della legge Mammì, che regolamentava il sistema televisivo italiano e che riteneva inadeguata. Nel 1991-92 è invece ministro delle Riforme Istituzionali e degli Affari Regionali nel settimo governo Andreotti. Il 12 ottobre 1992, con la Democrazia Cristiana travolta da Tangentopoli, è eletto per acclamazione dal Consiglio Nazionale segretario del partito, col compito non facile di salvare la DC e farla uscire dalla crisi. Martinazzoli è scelto col consenso di tutti, per la sua reputazione di uomo onesto e anche perché settentrionale, proveniente da una terra (il Bresciano) in cui avanza minacciosamente il fenomeno delle “leghe” e la protesta contro i partiti e la politica. Con inevitabili difficoltà, deve fare i conti col terremoto politico degli anni 1992-94: la crisi profonda del pentapartito, i problemi gravi del risanamento finanziario del paese, l’avanzata delle leghe, l’approvazione per referendum del nuovo sistema elettorale maggioritario, l’avanzata delle sinistre alle elezioni amministrative del 1993 (con la conquista di città come Roma, Napoli, Trieste, Venezia, Genova), e soprattutto la discesa in campo di Silvio Berlusconi e lo “sdoganamento” della destra missina.
Alle prese con un partito in crisi e sempre più diviso sulle scelte da compiere, Martinazzoli sceglie la via dello scioglimento della Democrazia Cristiana (in realtà senza mai nessuna delibera del Consiglio Nazionale del partito), considerando esaurita, nella nuova stagione politica, la forza trainante del partito di Alcide De Gasperi. Nel 1993 assume quindi i pieni poteri, lanciando la proposta di costituire, sulle ceneri della DC e in continuità ideale con essa, ma in discontinuità di classe dirigente, il nuovo Partito Popolare Italiano, che riprenderà il nome del partito che fu fondato da don Luigi Sturzo. Nel nuovo sistema maggioritario Martinazzoli colloca il PPI in una posizione di centro, alternativo sia alla sinistra dei progressisti sia alla destra missina e alla Lega. Dopo la discesa in campo di Silvio Berlusconi, nel gennaio del 1994, Martinazzoli manifesta distanza e freddezza nei confronti del Cavaliere, rifiutandosi d’allearsi con lui. Questa linea di centro, equidistante dai progressisti e dall’alleanza di centrodestra che si andava profilando tra Berlusconi, Fini, Casini e Bossi, lo porta a scontrarsi, nel partito, coi fautori di un’alleanza a sinistra o a destra. Alle elezioni politiche del 1994 Martinazzoli s’impegna nella costruzione di un polo autonomo di centro con le culture riformiste, liberali e repubblicane. Trova un alleato in Mario Segni, col quale fonda la coalizione del Patto per l’Italia, che si presenta in tutti i collegi di Camera e Senato contro i candidati della sinistra (i progressisti) e della destra (il Polo delle libertà o Polo del Buon Governo). Aderiscono all’alleanza di centro anche i repubblicani di Giorgio La Malfa, i liberali di Valerio Zanone e un gruppo di ex socialisti e socialdemocratici guidati da Giuliano Amato. Martinazzoli non si candida alle elezioni e chiede a molti notabili democristiani di fare lo stesso, per favorire il rinnovamento della cultura democratico-cristiana nel nuovo Partito Popolare.
I risultati delle elezioni sono tuttavia deludenti: il Patto per l’Italia ottiene pochissimi collegi maggioritari (solo 4 alla Camera: 3 nell’Avellinese con Gianfranco Rotondi, Antonio Valiante e Mario Pepe e uno in Sardegna con Giampiero Scanu), e le liste del PPI nella parte proporzionale raccolgono un modesto 11%, un terzo dei voti della vecchia DC. I seggi ottenuti non consentono nemmeno di essere ago della bilancia in Parlamento, dove si afferma l’alleanza di centrodestra guidata da Berlusconi. Dopo le elezioni Martinazzoli si dimette da segretario e annuncia l’intenzione di abbandonare la politica attiva. Nell’autunno successivo (del 1994), tuttavia, pressato dalle richieste di molti e preoccupato della nuova alleanza di centrodestra al potere, accetta di candidarsi a sindaco di Brescia in una coalizione di centrosinistra (col sostegno del PPI e del PDS), prefigurando quell’alleanza che, col nome di Ulivo, qualche mese dopo Romano Prodi estenderà a tutta l’Italia. Vince al ballottaggio la sfida contro Vito Gnutti. Guida il comune cidneo per l’intera consiliatura, fino al novembre del 1998, quando decide di non ripresentare la propria candidatura. Nello scontro che vede nel 1995 il PPI diviso tra un’ala favorevole alla coalizione di centrosinistra (guidata da Gerardo Bianco) e un’ala favorevole all’alleanza con Berlusconi (guidata da Rocco Buttiglione), Martinazzoli si schiera con Bianco. Nel 2000 accetta di candidarsi alla presidenza della regione Lombardia in una sfida difficile contro il presidente uscente Roberto Formigoni, sostenuto anche dalla Lega. Il risultato è deludente: sostenuto da tutto il centrosinistra (inclusa Rifondazione Comunista, ma non i Comunisti Italiani), ottiene solo il 32% dei consensi. S’impegna comunque come consigliere regionale fino alla scadenza naturale del mandato (2005) nel gruppo “Centro-sinistra, PPI, la Margherita”. In occasione delle elezioni politiche del 2001 dà il suo sostegno alle liste della Margherita, ma nel 2002 non condivide lo scioglimento del Partito Popolare Italiano e la sua confluenza nella lista rutelliana. Nel 2004 si schiera a fianco di Clemente Mastella, e è nominato presidente dell'”Alleanza Popolare-UDEUR”, sempre con l’obiettivo di mantener viva una presenza autonoma del cristianesimo sociale e democratico nella politica italiana. Successivamente si dimette dall’incarico, preferendo una posizione più lontana dai riflettori. Nel 2006 s’impegna attivamente nel comitato per il NO nel referendum costituzionale del 25 e 26 giugno, manifestando forti critiche verso la riforma costituzionale approvata dal centrodestra. Nel 2009, in occasione del referendum sulla legge elettorale, si schiera per l’astensione, insieme ad altri esponenti del centrosinistra bresciano (www.wikipedia.org)