Introduzione: Asia, continente religioso, continente complesso
Qualcuno ha detto che il secolo XXI sarà il secolo dell’Asia. Dopo secoli di predominanza del mondo occidentale, stanno già emergendo nuovi equilibri che certamente porteranno nuove aree e nuovi gruppi di nazioni al centro dell’attenzione mondiale. A soli 5 anni dall’inizio del terzo millennio, l’Asia sta vivendo momenti di rapido progresso e grande vitalità. Fino ad alcuni anni fa, nessuno avrebbe potuto immaginare che la Cina sarebbe stata capace di offrire una delle più appetibili prospettive per investimenti e che il gruppo più dinamico di commercio del mondo sarebbe stato chiamato Asia-Pacific Economic Cooperation (APEC). Senza far troppo chiasso il gruppo ASEAN (Association of South East Asian Nations), organizzato nel 1967, ha rafforzato i vincoli che uniscono le nazioni del Sud-Est Asiatico (Tailandia, Malaysia, Indonesia, Filippine, Singapore, Brunei e dal luglio 1995 anche il Vietnam). Il Laos e il Myanmar, oggi, con lo status di osservatori, aspettano di essere ammessi come pieno diritto. L’ASEAN ha preservato la pace e contribuito alla stabilità e progresso della regione.
C’è la tentazione di parlare dell’Asia come se si trattasse di un blocco omogeneo. L’Asia è il continente più vasto e più popolato del mondo. L’Asia occupa una superficie di 44 milioni e 444 mila Kmq, pari al 32,6% della superficie del globo, con una popolazione di 3 miliardi e 353 milioni sui 5 miliardi e 500 milioni della popolazione mondiale, cioè il 60%. La Cina, con 1 miliardo e 174 milioni, e l’India, con 901 milioni, sono le due nazioni più popolate del mondo. Anche l’Indonesia, con 189 milioni, il Giappone, con 125, il Pakistan, con 122 e il Bangladesh, con 115, sono tra le prime dieci nazioni del mondo per popolazione. L’Asia ha una grande varietà di razze, lingue, religioni, culture e situazioni socioeconomico – politiche. Basterebbe pensare ai sistemi politici: una giunta militare totalitaria a Myanmar (Birmania), un rigido sistema comunista nella Corea del Nord, un comunismo pragmatico in Cina e Vietnam con forte enfasi sul progresso economico, una democrazia di tipo europeo in Giappone, con un imperatore che non ha nessun potere politico, una monarchia costituzionale in Tailandia, una democrazia di tipo inglese in India e Malesia, un sistema coloniale a Hong Kong e Macao, e altre forme più o meno democratiche in altre nazioni. Sarebbe veramente difficile cercare un denominatore comune e descrivere tutte queste nazioni e sistemi in un unico quadro. Anche se si possono distinguere tre grandi culture (araba, indiana e cinese) che abbracciano una vasta zona, ogni popolo possiede la propria cultura molto antica e si può dire che non esiste una coscienza asiatica. Un indiano si riconosce facilmente come indiano: avrebbe difficoltà nel riconoscersi asiatico. Ciò che unisce i popoli asiatici non è tanto il passato (il passato recente infatti li ha divisi nelle varie zone coloniali dell’impero inglese, dell’Olanda, della Francia, degli Stati Uniti), quanto piuttosto il presente e futuro, cioè i problemi attuali, le aspirazioni, le attese comuni e l’interdipendenza delle diverse popolazioni a causa della vicinanza geografica. In quanto comunità dei popoli, l’Asia non esisteva; sta nascendo ora.
Geograficamente possiamo dividere l’Asia in quattro regioni: l’Asia del Sud-Ovest (Turchia, Cipro, Iraq, Israele, Giordania, Libano, Siria, altri Paesi Arabi e Iran), l’Asia del Sud (India, Pakistan, Bangladesh, Sri Lanka, Nepal, ecc.), l’Asia del Sud-Est (Myanmar, Filippine, Laos, Malesia, Indonesia, Cambogia, Singapore, Tailandia, Vietnam, ecc.) e l’Asia dell’Est (Cina Continentale, Hong Kong, Taiwan, Corea del Nord, Corea del Sud e Giappone). Tenendo presente il panorama geografico, l’Asia è la culla di tutte le grandi religioni del mondo. Nell’Asia del Sud-Ovest abbiamo giudaismo, cristianesimo e islam; nell’Asia del sud: buddismo e induismo; nell’Asia dell’est: confucianesimo, taoismo, shintoismo.
L’Asia è quindi un continente profondamente religioso e le religioni hanno avuto sempre un ruolo importante, anche perché nella tradizione asiatica spesso non esiste scissione tra religioso e profano. Accanto alle religioni etniche di tipo animistico, alcune si sono sviluppate e organizzate in modo sistematico come il taoismo, lo shintoismo e l’induismo e anche il confucianesimo, se si considera come una religione, influendo su una determinata area culturale. Il buddhismo, sorto in India nel secolo VI prima di Cristo, ha spiccate caratteristiche universalistiche e una diffusione internazionale. L’Islam ha trovato un suolo fecondo tanto da annoverare il maggior numero di adepti proprio in Asia: più della metà dei musulmani vivono in Asia. L’Indonesia è la nazione musulmana più numerosa del mondo. Seguono il Bangladesh, il Pakistan e l’India.
L’Asia è quindi un continente religioso, ma allo stesso tempo è il continente meno cristiano. Ancora oggi le più grandi sfide per il Cristianesimo vengono dall’Asia.
Sfondo Storico
a) India
Il Cristianesimo ha raggiunto l’Asia fin dagli inizi della sua storia. Le Chiese della Persia e dell’India vantano un’origine apostolica. In Persia si è costituita la prima comunità cristiana fuori dai confini dell’Impero Romano. Eusebio ne attribuisce la paternità a San Tommaso Apostolo che, andato in Persia, fondò la prima comunità cristiana e poi, passato nel ’52 in Kerala, nell’India Meridionale, fondò la Chiesa locale e fu martirizzato. La presenza cristiana nel Kerala fin dai tempi apostolici è affermata da molteplici tradizioni. Le fonti scritte non danno l’evidenza storica, ma l’archeologia sembra suffragare la tradizione. C’era un commercio regolare tra Roma e l’India Meridionale con circa duecento navi annue. Si è trovato un emporio commerciale costruito nella metà del primo secolo con gli stessi mattoni che si trovano nella tomba detta di S. Tommaso a Mylapore.
A partire dalla metà del V secolo i cristiani di S. Tommaso, circa 30.000 famiglie, dipendevano dalla sede primaziale di Seleucia-Ctesifonte, in Persia, che seguirono nell’adesione al nestorianesimo senza che tale denominazione compromettesse molto la dottrina tradizionale. Protetti e considerati cattolici dai primi portoghesi giunti in India, dovettero lottare per la loro autonomia liturgica e giuridica quando l’arcivescovo di Goa volle sottometterli alla sua autorità. Nel discutibile Sinodo di Diamper, celebrato nel 1559, si vollero sancire queste mire che finirono per preparare la rottura definitiva con Roma avvenuta nel 1652.
Il primo lavoro missionario in India fu compiuto dal clero diocesano e dagli antichi ordini religiosi. Fin dal 1498 Vasco de Gama portò con sé due Trinitari; nel 1500 F. Cabral si fece accompagnare da otto sacerdoti diocesani e altrettanti francescani; nel 1503 Albuquerque condusse cinque domenicani. I missionari seguirono i portoghesi nell’occupazione dei territori e nella città di Goa in cui svolgevano il loro apostolato. Scelsero come destinatari i paraveri pescatori di perle di casta appena superiore ai paria, i quali spesso si facevano battezzare per i vantaggi socio-economici che derivavano dal ricevere un nome portoghese, senza essere poi formati a vivere come cristiani.
La conversione di circa 20.000 paraveri indusse il Re del Portogallo Joao III a chiedere come missionari alcuni membri della Compagnia di Gesù.
Con l’arrivo di S. Francesco Saverio, nel 1542, comincia una nuova tappa nelle missioni dell’India. Inizia il nuovo metodo che mirava a formare e non solo battezzare. Con l’aiuto di interpreti spiega il catechismo in tamil, traduce le principali preghiere cristiane e un catechismo. Prima del battesimo determinò un periodo di preparazione; era necessaria l’istruzione catechetica e garanzie morali. Anche dopo il battesimo continuava l’educazione nella fede. Il Saverio impresse una vitalità alla missione che durò a lungo. Intorno al 1572 i cattolici assommavano a circa 280.000.
Verso il 1600 la cifra era un po’ più alta, ma si stabilizzò. Una delle ragioni dell’insuccesso stava nell’incomprensione della cultura indiana e nell’aver voluto trasportare in oriente, quasi immutata, la Chiesa occidentale con le sue istituzioni.
L’evangelizzazione dell’India parve entrare in una nuova fase con la missione dei gesuiti presso i sovrani mogol, musulmani, sollecitata da Akbar nel 1579, avviata dal P. Rodolfo Acquaviva e consolidata dal P. Jeronimo Javier. a partire dal 1595. Il P. J. Javier elaborò una propria metodologia: studio della lingua e dell’ambiente; creazione di una letteratura cristiana nella lingua locale; dispute alla corte, in Chiesa, nelle moschee; solenne celebrazione dell’anno liturgico; battesimi solenni e funerali cristiani; attività caritative e cure mediche. Nonostante questo metodo, nel 1613 iniziò la persecuzione. Ne fu causa il deterioramento delle relazioni tra la corte mogol e il Portogallo a favore dell’Inghilterra e l’antagonismo fra le due potenze europee per l’egemonia sull’India. Il P. Javier lasciò la missione nel 1613 con la certezza di essere stato un precursore.
Javier ebbe un continuatore, sebbene in un contesto diverso, nel P. Roberto de Nobili, che nel 1605 giunse a Maduré dove rimase 40 anni, cercando non l’adattamento degli indiani agli europei, ma elaborando un metodo missionario adatto a una società suddivisa in caste. Si stabilì nel quartiere dei Brahamani, conformandosi nelle pratiche di vita dei sanyassi. Imparò il tamil, il sanscrito e il telegu e con argomentazioni filosofiche parlava dell’esistenza e dell’essenza di Dio fino a giungere alla presentazione del cristianesimo in dialogo profondo con la cultura indiana. Ai catecumeni permise tutti gli usi socio-culturali che non implicassero idolatria o superstizione, convinto del fatto che farsi cristiano non equivaleva a cessare di essere indiano.
Il metodo del de Nobili prima approvato da Rorna (1623) fu poi condannato nel secolo XVIII, nel 1704 prima e poi definitivamente nel 1744.
b) Cina
Furono i cristiani siriani di Persia ad arrivare in Cina e a costruirvi una comunità. La stele nestoriana di Sian, scolpita il 4 febbraio 781 e scoperta nel 1625 fa risalire al 635 l’arrivo dei primi missionari nestoriani guidati dal monaco Olfen e accolti dall’Imperatore Tai-Tsun, tollerante verso le religioni non cinesi. La prima presenza cristiana sicura va quindi dal 635 all’845, anno della grande persecuzione contro le religioni straniere, e in primo luogo contro il buddhismo.
La seconda ondata venne dall’occidente, e incominciò con l’arrivo di Fra’ Giovanni da Monte Corvino, Francescano, che aveva già lavorato in Persia. Lavorò solo per 11 anni, costruì una chiesa a Pechino e battezzò circa sei mila persone. Si curò specialmente della formazione dei 150 seminaristi cinesi, e nel 1307 fu nominato da Clemente V il primo arcivescovo di Pechino. Altri missionari furono inviati, tra cui Odorico di Pordenone. Quando Fra’ Giovanni da Monte Corvino moriva, nel 1330, c’erano già circa 100.000 convertiti in Cina. Tutto ciò avvenne sotto il patrocinio dei Mongoli, allora al potere in Cina. Quando nel 1368 incominciò la Dinastia Ming, i missionari furono espulsi e la Cristianità scomparve senza nessuna traccia.
La terza epoca dura circa 150 anni dall’arrivo di Matteo Ricci nel 1583 fino all’editto di espulsione dell’Imperatore Yung Cheng, nel 1724. Dopo un tentativo di adattamento buddhista, l’assunzione di atteggiamenti e di valori confuciani e l’introduzione delle conoscenze scientifiche specialmente astronomiche facilitarono le conversioni. Alla sua morte, nel 1611, Ricci lasciava 2.500 battezzati sotto la cura di 16 missionari, di cui la metà cinesi. Questo spiega la rapida crescita: nel 1700 i cattolici erano circa 300.000. Le diatribe sui riti e le decisioni negative al riguardo, la soppressione dei gesuiti, la metodologia missionaria e la visione teologica furono tra le ragioni principali del mancato successo. La ripresa missionaria dell’ultimo secolo fu adombrata dall’ipoteca colonialista e dalle limitazioni sui riti. Le sorti dell’apostolato in Cina ebbero ripercussioni nei paesi vicini della stessa area culturale. In Corea e Vietnam il messaggio cristiano entrò grazie agli scritti cinesi del P. Matteo Ricci.
e) Giappone
In Giappone l’evangelizzazione fu iniziata da S. Francesco Saverio nel 1549. Lo sviluppo fu rapido. Quarant’anni dopo, quando incominciarono le prime avvisaglie della persecuzione, i cristiani erano 205.000, curati da 43 sacerdoti, coadiuvati da 73 chierici e fratelli, dei quali 47 erano giapponesi. Nel 1614, all’inizio della persecuzione diretta, i cattolici erano oltre 300.000 (alcuni arrivano a dire che erano 500.000).
Nonostante la lunga persecuzione di circa 250 anni, quando nella seconda metà dell’ottocento ritornarono i missionari, trovarono nella regione di Nagasaki alcune migliaia di cristiani.
d) Filippine
La colonizzazione occidentale dei paesi asiatici ha avuto risvolti ambivalenti sull’opera missionaria. L’apertura delle vie marittime, l’installazione di empori commerciali, l’influenza politica e poi l’impero coloniale hanno per certi aspetti favorito l’attività missionaria. I missionari hanno approfittato dei convogli commerciali per raggiungere i diversi paesi; la penetrazione missionaria fu facilitata dalle basi occidentali come i porti di Goa e Macao. Il potere coloniale pose fine alle persecuzioni contro i missionari e permise una loro presenza più regolare. Le comunità cristiane si moltiplicarono in concomitanza con le colonie portoghesi e spagnole come nell’India Meridionale, a Sri Lanka e in particolare nelle Filippine.
Le Filippine sono il solo paese asiatico diventato cristiano. L’attività missionaria incominciò nel 1565 con l’arrivo dell’ammiraglio spagnolo Legazpi ed è legata all’ispanizzazione delle isole, che comportava anche la cristianizzazione delle popolazioni. In due secoli la maggioranza della popolazione era diventata cristiana e aveva una cultura ispirata ai valori cristiani. Per capire tale riuscita, bisogna tener presente che le popolazioni dell’arcipelago non formavano una unità né politica né culturale e non praticavano forme religiose evolute, ad eccezione delle etnie già islamizzate del Sud. L’unità emergente del paese e la diffusione di una nuova cultura andarono di pari passo con la cristianizzazione.
Ma la colonizzazione ha avuto soprattutto risvolti negativi sull’opera missionaria. Ha favorito i sospetti sui missionari stessi. Alcuni governi, come quelli del Giappone, Corea e Vietnam, perseguitarono i missionari e gli stessi cattolici per paura di complicità con i possibili colonizzatori. L’antagonismo coloniale dei paesi occidentali favorì tali sospetti e sobillò le persecuzioni stesse. I commercianti protestanti olandesi si distinsero nel denigramento dei cattolici papisti e adottarono essi stessi metodi persecutori nelle zone conquistate, come a Ceylon. In alcuni posti, per esempio in Indocina, per ragioni politiche i francesi sconsigliarono le conversioni al cristianesimo e favorirono la riorganizzazione del buddhismo.
Situazione attuale
a) Statistiche
Le statistiche della Chiesa Cattolica al 31 dicembre del 1992 per tutta l’Asia davano 92 milioni di cattolici. Il totale per l’Asia Meridionale, il Sud Est Asiatico e per l’Estremo Oriente è di 89 milioni, su una popolazione superiore ai 3 miliardi. Le nazioni con il maggior numero di Cattolici sono le Filippine con 53 milioni, l’India con 14 milioni, la Cina con almeno 6 milioni (alcuni dicono 10 milioni), l’Indonesia con 5 milioni, il Vietnam con 5 milioni e mezzo, la Corea con 3 milioni, Sri Lanka con 1 milione. Vengono poi il Pakistan, la Malesia, il Myanmar, il Giappone, ecc.
Le statistiche parlano molto chiaro: fuori dalle Filippine la chiesa in tutti i paesi dell’Asia rappresenta una sparuta minoranza. Solo il 2,8% degli asiatici è cattolico. In molti paesi la percentuale dei cattolici non arriva neppure all1%, su 3.354.000 solo 95 mila sono cattolici. Se togliamo i 55 milioni di cattolici filippini, la percentuale scende all’1,19%. Perché l’evangelizzazione dell’Asia è appena all’inizio? Perché non ha portato il frutto desiderato?
b) Le difficoltà
Spesso si adducono due colpe storiche e anch’io le ho menzionate quando ho brevemente descritto la storia del Cristianesimo in alcune nazioni asiatiche. Le due colpe sono la mancanza di inculturazione e il legame con il colonialismo europeo. Quindi si conclude che il Vangelo sarà accettato solo quando il Cristianesimo non sarà più religione importata ma sarà presentata dagli stessi asiatici.
Senza dubbio, ci sono stati degli errori nel metodo missionario. I casi più dolorosi furono la questione dei riti cinesi e la questione dei riti siromalabarici in India. Inoltre è possibile che ci siano stati casi in cui i missionari appoggiavano le potenze coloniali. Ma credo che queste due ragioni da sole non diano una spiegazione sufficiente.
Dal punto di vista geografico il Vangelo è asiatico e almeno in Persia, in India e in Cina la prima fase di evangelizzazione fu fatta da asiatici sin dai tempi apostolici. La fase di evangelizzazione “occidentale” incomincia solo nel secolo XIII con i francescani. Perciò non si può dire che il cristianesimo è stato importato inizialmente dall’occidente e da occidentali sotto una veste europea. Se tutto dipendesse dall’elemento occidentale-colonialista, allora bisognerebbe dire che tutta l’Asia dovrebbe essere già cristiana, perché all’inizio il Cristianesimo era stato introdotto da asiatici in forma asiatica.
Bisogna anche dire che durante il periodo di colonialismo ci sono stati esempi meravigliosi di missionari che hanno fatto sforzi enormi per un lavoro di inculturazione e di indipendenza dalle potenze coloniali. La Chiesa ha cercato di liberarsi dai poteri temporali e ha proibito ingerenze politiche. La fondazione di Propaganda Fide, nel 1622, e i suoi numerosi interventi ne sono una conferma.
Inoltre, la storia dell’evangelizzazione dell’Asia è stata scritta con il sangue di numerosi martiri in vari paesi. Paradossalmente, le numerose persecuzioni che hanno causato molti martiri – in Giappone, in Vietnam (si contano 130.000), in Corea ‑ sono una prova eloquente che il Vangelo è accettato dal popolo, ma è proibito dalle autorità.
La conversione di un individuo o di un popolo è il risultato dell’incontro tra la grazia di Dio e la libertà della persona, quindi rimane sempre un mistero. Lo stesso Gesù non ha avuto troppo successo, benché nessuno più di lui abbia saputo inculturarsi nella cultura locale e nessuno più di lui abbia saputo rimanere sempre indipendente dai poteri e dalle istituzioni umane.
Ciò detto e concesso, certamente non si possono trascurare i condizionamenti umani. L’atteggiamento dei missionari davanti alle culture locali o davanti alle potenze temporali ha certo un suo peso; sarebbe però ingenuo pensare che queste sono le uniche cause del mancato successo in Asia.
e) Società asiatiche
Nel contesto asiatico bisogna considerare anche alcuni altri fattori. Innanzi tutto, in Asia la società, il gruppo, la collettività hanno un’influenza molto forte sull’individuo e agiscono in una duplice direzione: interiormente un asiatico si misura sempre con il gruppo, conformandosi ad esso. In questo senso, la conversione, con l’implicita conseguenza di essere differente dal gruppo diventa una decisione molto difficile, perfino eroica se uno deve rimanere nel gruppo. Inoltre nella vita sociale, l’autorità è giustificata a regolare tutta la vita del gruppo, quindi può proibire chi osa comportarsi in modo differente dal gruppo.
Il secondo grande ostacolo per la missione della Chiesa è l’identificazione, in molte parti dell’Asia, tra religione e cultura. La religione costituisce l’identità culturale del gruppo (p.e. per i singalesi, i tailandesi, gli indiani, i tibetani, ecc.). In questa prospettiva, la conversione diventa, per il gruppo, un rifiuto e una minaccia, alla propria identità. Il terzo ostacolo è la presenza di grandi religioni con le loro strutture, organizzazioni e dottrine elaborate. Inoltre il dinamismo delle comunità locali, soprattutto dei laici, è anche un elemento che spesso è mancato. Forse una visione della chiesa troppo clericale e gerarchica ha impedito il dinamismo e il senso di corresponsabilità e partecipazione da parte dei laici delle comunità locali.
Statisticamente parlando la Chiesa in Asia rappresenta solo una piccola minoranza. Ma la presenza della Chiesa va al di là del dato numerico. Si tratta dell’importanza morale e culturale di cui gode la Chiesa e il cristianesimo in genere tra la popolazione. L’educazione offerta dalle scuole cattoliche riscuote grande stima e fiducia anche tra i non cristiani. La maggioranza degli allievi sono non cristiani; pochi tra loro si convertono, ma nei lunghi anni di scuola cattolica ricevono una educazione basata sui principi del Vangelo e pian piano i valori cristiani penetrano e permeano la loro vita e la vita della loro comunità.
Anche i beneficiari dei progetti per lo sviluppo delle opere sanitarie e caritative sono in gran parte membri delle altre religioni La Chiesa è accolta come un’autorità morale e benché molti non si dichiarino cristiani, tuttavia mostrano sentimenti di simpatia verso il cristianesimo.
Sfide alla Missione
Prima di parlare delle sfide vorrei descrivere ciò che intendo con il termine “missione”. L’Enciclica “Redemptoris Missio” enumera i vari elementi che la “missione” include e che dovrebbero essere presenti nell’opera di evangelizzazione. Le diverse circostanze di luogo, di tempo, di ambienti, di contesti culturali, religiosi, economici e politici consiglieranno approcci diversi per cui un elemento o l’altro della missione verrà messo in risalto, ma la missione come tale non può non essere integrale e non può non includere tutti i seguenti aspetti: testimonianza di vita, cioè di una vita diafana e trasparente che mostri coerenza tra ciò che si crede e ciò che sì vive; preghiera, contemplazione, vita liturgica, o ciò che può essere anche chiamata la dimensione mistica; promozione umana, salvezza integrale che include la difesa dei diritti umani di ciascuna persona e di tutte le persone, la promozione della giustizia, il lavoro per la pace, la difesa dell’ambiente; l’opzione preferenziale per i poveri; dialogo ecumenico e collaborazione tra i cristiani di varie denominazioni; dialogo interreligioso e collaborazione con le altre religioni; inculturazione e interculturazione, cioè l’interazione tra vangelo e cultura, un processo per cui il modo, la forma, la lingua, i gesti dell’annuncio vengono adattati, cambiati e perfino la comprensione del messaggio viene approfondita e arricchita di nuove sfumature e allo stesso tempo la cultura, a contatto con il Vangelo, cambia, è corretta e viene impregnata di nuovi valori; l’annuncio diretto di Cristo, della sua divinità, della sua Chiesa, dei suoi sacramenti, del suo messaggio.
I cristiani (cattolici, ortodossi, protestanti) rappresentano l’esigua minoranza del 4% della popolazione asiatica. Come presentare ai tre miliardi di asiatici che non conoscono Cristo il suo messaggio, la sua persona, la sua Chiesa, i suoi sacramenti? Questo è il compito prioritario della missione in Asia e non si può sfuggire da questo mandato se vogliamo restare cristiani. Con queste premesse vorrei considerare alcune sfide particolari dell’Asia.
a) Esigenza mistica
L’esigenza della contemplazione, dell’esperienza personale esistenziale di Dio; l’esigenza della dimensione mistica, di un modo di pregare visibile e o significativo si è fatta sempre più sentire in Asia, continente caratterizzato da religioni di tipo mistico. Predicare il Vangelo vuol dire prima di tutto comunicare l’esperienza del Cristo Risorto, esperienza che viene fatta anzitutto nella preghiera e nella contemplazione. La tradizione del guru del roshi è ancora viva in Asia. Metodi e modi di preghiera orientale possono essere di grande aiuto per la dimensione logica previa. Spesso la presentazione del messaggio di Cristo è fatta unicamente attraverso delle lezioni, in modo logico, scolastico. E inoltre spesso la Chiesa è vista come una grande organizzazione che “fa” delle cose: costruisce ospedali e scuole, lotta per la difesa dei diritti umani. Pochi asiatici hanno l’immagine della Chiesa come comunità di preghiera e di contemplazione.
b) Promozione della giustizia e opzione preferenziale per i poveri
E’ l’impegno della Chiesa di parlare a favore dei diritti dei diseredati e dei senza voce e senza potere. Sensibilizzare i cristiani e gli altri alle situazioni dì ingiustizia e lottare con loro in modi non violenti per creare strutture più giuste. Il movimento della “non-violenza attiva” nelle Filippine può servire d’esempio anche ad altre Chiese. La Chiesa della Corea ha anche mostrato grande coraggio e chiari orientamenti nella lotta per i diritti umani. L’India sta cercando una formulazione della teologia della liberazione che risponda meglio alla situazione dell’Asia. Anche in altre nazioni, come la Malesia e l’Indonesia, si sente l’urgenza di rispondere alla sfida che viene da sistemi di ingiustizia, oppressione e discriminazione.
c) Dialogo interreligioso con le grandi religioni
Le tradizioni religiose sono elementi importanti e positivi nel piano divino di salvezza. Ci sono in esse profondi ideali e valori spirituali ed etici. Sono l’autentica espressione dei più nobili desideri dei popoli asiatici. Solo conoscendo queste religioni e dialogando con esse possiamo scoprirvi ì semi del Verbo. Le forme del dialogo sono molteplici: per promuovere la comprensione, l’unità e collaborazione in progetti concreti di promozione della giustizia; dialogo della preghiera ed esperienza religiosa; dialogo teologico. Anzitutto bisogna riconoscere che è una forma di dialogo molto differente da altri dialoghi avvenuti nei duemila anni di storia del cristianesimo.
Allo stesso tempo dobbiamo riconoscere che il dialogo non è facile. Alcune religioni asiatiche stanno vivendo in diverse nazioni momenti di fondamentalismo e quasi fanatismo, per esempio islam, induismo e buddismo.
Il dialogo con le grandi religioni non basta: oggi anche in Asia ci sono forti tendenze che portano al secolarismo, consumismo indifferenza religiosa e ateismo pratico.
d) Creazione di Chiese locali con fisionomia e identità proprie
E’ la sfida dell’inculturazione vera. Non solo la lingua e i gesti, l’architettura, la musica e le arti sono indigene e incarnate, ma la Chiesa è presente e inserita nella vita e nella cultura della gente, assume i valori sani della società circostante nella sua organizzazione e nella sua attività e allo stesso tempo o diventa lievito e spinge a promuovere i necessari cambiamenti. In questo senso una liturgia veramente inculturata, che risponda alle esigenze spirituali di ciascuna tradizione religiosa sarebbe di grande aiuto per la identità delle chiese locali.
La creazione di Chiese locali vuol dire anche superamento di un certo clericalismo che vede solo i preti e i religiosi al centro dell’apostolato e della missione, e i laici sono unicamente elementi passivi. Il rispetto tradizionale verso l’autorità conduce spesso a un certo servilismo nei confronti dei sacerdoti e dei religiosi non solo stranieri ma anche autoctoni.
e) Mezzi di comunicazione
Giovanni Paolo II in “Redemptoris Missio“, chiama i mezzi di comunicazione l’areopago moderno dove annunziare il Vangelo. Il mondo della finanza e quello dei mass-media determinano in gran parte il destino delle nazioni. Coloro che detengono il potere sono ben consci dell’efficacia dei mezzi di comunicazione sociale, da essi manipolati per creare l’opinione pubblica e consolidare le loro posizioni. Dal grado di autonomia goduta dai mass-media si può facilmente giudicare il livello di libertà di una nazione o di una società.
La presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione sociale in Asia è minima. Soprattutto in questo campo il ruolo dei laici è di primissimo ordine. Come esempi di presenza della Chiesa in questo campo si possono citare Radio Veritas di Manila, Kuangchi Program Service di Taipei, il lavoro delle Paoline e dei Paolini in varie nazioni dell’Asia.
f) Relazioni con la Cina Continentale
Una delle sfide centrali è anche la necessità di ristabilire relazioni dirette tra Pechino e la Santa Sede e superare così la divisione tra Chiesa ufficialmente riconosciuta dal governo e Chiesa clandestina. La grande maggioranza dei vescovi e dei fedeli cosiddetti patriottici è fedele al Papa e alla Chiesa universale e aspettano solo che si stabiliscano le relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e il governo di Pechino. Alcuni elementi della Chiesa clandestina sono intransigenti e rifiutano il dialogo e la collaborazione con i cosiddettí patriottici, creando tensione e contusione.
Da parte della Santa Sede si sono fatti e si stanno facendo grandi sforzi per uscire da questa situazione, ma per ora sembra che il governo cinese non sia interessato. Si aspetta probabilmente il cambio di guardia e nessuno vuol compromettersi prendendo decisioni riguardanti la Chiesa Cattolica.
Conclusione
Ho descritto a grandi pennellate la situazione della Chiesa e le sfide che la Chiesa deve affrontare nella sua missione in Asia. Un fenomeno molto consolante è la coscienza missionaria delle chiese in Asia. Anzitutto in molte parti dell’Asia mentre fino a circa trent’anni fa il clero e l’aiuto finanziario arrivavano dall’estero, specialmente Europa, Stati Uniti e Canada, oggi il clero, i religiosi e le religiose sono in gran parte autoctoni e anche nella pane economica sempre più c’è la tendenza a una sana autonomia. C’è poi il fatto che parecchie chiese locali in Asia a loro volta sentono il bisogno di essere chiese missionarie che inviano sacerdoti, religiosi e religiose in altri paesi per un lavoro di evangelizzazione. Per esempio l’India, il Giappone, la Corea, l’Indonesia, le Filippine hanno già dei missionari all’estero e continuano il mandato di Cristo: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo…” (Mt. 28, 19).
Trascrizione rivista dall’Autore.