Giornale di Brescia, 27 febbraio 1995.
Nell’Italia liberata: il regno del Sud, il Congresso di Bari, la svolta di Salerno
Nell’Italia liberata dagli alleati il governo Badoglio è schiacciato dalle tremende difficoltà della situazione e dagli impedimenti della Commissione Militare Alleata di Controllo. Il «regno del Sud» riesce nondimeno a segnare non pochi punti a suo vantaggio: la dichiarazione di guerra alla Germania (13 ottobre 1943) e il riconoscimento alleato della «cobelligeranza» italiana, l’appoggio esplicito del governo inglese alla monarchia, il riconoscimento del governo sovietico (13 marzo 1944), la costituzione di alcune unità combattenti del risorto esercito (il Corpo Italiano di Liberazione, Cil), una maggior larghezza di aiuti economici da parte alleata, il trapasso all’amministrazione italiana delle province del Sud eccetto Napoli e nell’aprile del 1944 il trasferimento della sede del governo da Brindisi a Salerno. Finalmente il dibattito politico prende quota e si impone all’attenzione di tutti con il Congresso dei Comitati di Liberazione dell’Italia liberata, che si tiene a Bari (28-29 gennaio 1944). È la più autorevole assise della resistenza nel Sud che rifiuta di salvaguardare la monarchia e anzi chiede «l’abdicazione immediata del re, responsabile delle sciagure del Paese». Il congresso è dominato dal filosofo Benedetto Croce, liberale e dal conte Carlo Sforza, autorevole esponente del fuoriuscitismo antifascista e fervido repubblicano. Il problema è come accogliere ed insieme superare la pregiudiziale indisponibilità degli antifascisti a trattare con Vittorio Emanuele III, avviando nel contempo una soluzione non traumatica della questione istituzionale. La risposta viene da due iniziative parallele: la proposta De Nicola e la «svolta» comunista di Salerno. Enrico De Nicola, giurista napoletano, d’intesa con Croce e Sforza, elabora un nuovo modus vivendi tra antifascismo e corona: il vecchio re, il giorno stesso della liberazione di Roma, dovrebbe uscir di scena trasferendo i suoi poteri e le sue funzioni al figlio Umberto, nominato non successore al trono, ma «Luogotenente del regno». II 12 aprile 1944 il re, sia pure con riluttanza, si pronuncia pubblicamente in questo senso. Di contro al radicalismo del Partito d’Azione e del Partito Socialista prevale la direttiva della «tregua istituzionale», la sola che permette senza lacerazioni l’inserimento degli antifascisti nel governo e la mobilitazione di tutte le forze nella lotta al nazifascismo. Quest’orientamento riceve esplicita approvazione da parte dell’Urss. Il giornale ufficiale Izviestia il 30 marzo 1944 critica l’irrigidimento dei partiti antifascisti nei confronti del governo Badoglio. Il giorno seguente, il 1º aprile, l’eco è immediata al Consiglio nazionale del Partito Comunista Italiano (Pci), il quale approva una deliberazione collaborazionistica. Il segretario del Pci, giunto dalla Russia il 27 marzo 1944, Palmiro Togliatti, noto agli ascoltatori di Radio Mosca come Ercoli, si fa carico di imporre al partito «una svolta politica così clamorosa» (Giorgio Amendola). Anche coloro che riconoscono l’opportunità del nuovo corso, non possono fare a meno di rilevare che esso è stato deciso a Mosca e attuato nel giro di pochi giorni, «senza aver consultato né le formazioni combattenti, né i partiti alleati» (Giorgio Bocca). La «svolta di Salerno» spiega, insieme all’accoglimento della proposta De Nicola, l’ingresso dei rappresentanti dei sei partiti del Cln nel nuovo governo presieduto ancora da Badoglio e che si insedia a Salerno (21 aprile 1944). C’è, però, una scadenza precostituita: il governo si dimetterà alla liberazione di Roma.
La liberazione di Roma
L’avanzata degli alleati verso Roma è molto più contrastata e lenta del previsto. Nel dicembre del 1943, a quattro mesi dall’armistizio, l’aggressiva difesa tedesca sulla «linea Gustav», tra monte Cassino e 1’Abruzzo, dà alla guerra in Italia un andamento di stile 1914-18, cioè di un’esasperante guerra di posizione. Finalmente, i1 10 maggio, dopo l’inutile distruzione di Cassino, completato il concentramento delle forze, appoggiate da un’enorme potenza di fuoco (i1 pezzo ogni 12 metri), si inizia l’attacco che in meno di un mese avrebbe portato alla liberazione di Roma. Il 23 marzo 1944 Roma aveva conosciuto la giornata più nera del suo calvario. In risposta a un attentato a soldati altoatesini che transitavano in via Rasella, 335 prigionieri politici ed ebrei sono prelevati dalle carceri di Regina Coeli e dalle celle di tortura di via Tasso e massacrati in una cava di arenaria tra le catacombe di Domitilla e san Callisto. É la strage delle Fosse Ardeatine. Tra le vittime un ragazzo di solo quattordici anni. L’incubo di Roma non cesserà che il 5 giugno 1944. Nessuno meglio di Federico Chabod, grande storico e valoroso partigiano egli stesso, ha colto il significato di quell’evento, in una pagina giustamente celebre. «All’indomani della liberazione di Roma scrive lo Chabod – la popolazione della capitale si precipita in piazza San Pietro per acclamare il Santo Padre ed esprimergli la sua riconoscenza. Pio XII sarà chiamato defensor urbis. I romani ringraziano il Santo Padre perché la città non ha subito danni nella lotta fra alleati e tedeschi. In effetti il clero romano e il Vaticano svolgono durante questi mesi un’azione importante: approvvigionamento, soccorsi alla popolazione, ecc. Numerosi uomini politici perseguitati dai tedeschi vengono salvati e trovano rifugio nelle antiche chiese e abbazie. Sempre mi torna in mente quando penso a quei giorni ciò che accadde nel V secolo, allorché le orde germaniche si riversarono nell’impero romano. Anche durante il periodo dell’occupazione tedesca, la Chiesa splende su Roma, in modo non molto diverso da come era accaduto nel V secolo. Roma si trova, da un giorno all’altro, senza governo: la monarchia è fuggita, il governo pure, e la popolazione volge il suo sguardo a San Pietro. Viene meno un’autorità, ma a Roma – città unica sotto ogni aspetto – ne esiste un’altra: e quale autorità!».
La resistenza nell’Italia occupata
Dopo l’armistizio la situazione dell’Italia centro-settentrionale non è diversa da quella del Sud: liquidazione dell’esercito, razzie di uomini e di beni (tra le altre cose, la riserva aurea della Banca d’Italia, 120 tonnellate), deportazioni, reclutamento forzoso della manodopera, spietata caccia agli ebrei. Gli ebrei trovano rifugio in Svizzera e soprattutto nelle parrocchie, nelle famiglie amiche, nelle cascine di campagna; così che molti di essi sfuggono alla cattura. Ma su quanti sono presi pende un destino di morte. In Italia non meno che negli altri territori occupati. La Repubblica Sociale Italiana tenta la ricostituzione dell’esercito; istituisce una nuova milizia di partito, la Guardia Nazionale Repubblicana (Gnr); promette una Costituente, rinviata poi alla conclusione della guerra, ma frattanto propaganda i principi ispiratori del futuro Stato repubblicano condensati nei «18 punti di Verona»: approva i1 14 novembre 1943 la socializzazione delle imprese private, cioè la compartecipazione dei lavoratori agli utili del l’azienda (ma la cosa cade perché osteggiata dai tedeschi e derisa dagli operai). I tribunali speciali sono gli unici organi funzionanti. Il rinato fascismo esige i suoi riti vendicativi: i membri del Gran Consiglio che il 25 luglio 1943 votarono la sfiducia a Mussolini sono condannati a morte, e tra di essi c’è Galeazzo Ciano, genero del duce, ex-ministro degli esteri (10 gennaio 1944). Sono condannati a morte anche gli ammiragli Luigi Mascherpa e Inigo Campioni per avere difeso Lero e Rodi contro i tedeschi (24 maggio del 1944). Alla Rsi e ai suoi protettori si oppongono le bande partigiane. La resistenza arriverà a contare quasi 200mila partigiani combattenti. Il movimento partigiano è eterogeneo: vi sono unità guidate da ufficiali dell’esercito regio, unità di senza partito, unità autonome con forte prevalenza cattolica anche se aperte agli altri (ad esempio, in Friuli e in Lombardia, le «Fiamme Verdi») e vi sono le unità fortemente politicizzate, controllate dai partiti (le brigate Garibaldi dal Pci, le brigate «Giustizia e libertà dal Partito d’Azione, le «Brigate del Popolo» dalla Dc, le brigate Matteotti dal Psiup). La fase di assestamento va fino alla primavera del 1944: le bande dell’ottobre-novembre del 1943 si danno un inquadramento più organico e tendono ad affrontare il nemico in operazioni sempre più vaste e meglio articolate. Momenti di grande rilievo in questa prima fase di lotta, in quanto miranti a collegare gli operai al movimento di liberazione nazionale, sono gli scioperi di novembre-dicembre del 1943 e lo sciopero generale del marzo 1944.