Le nuove sfide sociali e ambientali dell’impresa

Per chi è figlio del ‘900, parlare di sfide ambientali e sociali dell’impresa può apparire un po’ una contraddizione. Siamo infatti abituati a considerare l’impresa un po’ come qualcosa che è poco legato ad aspetti ambientali e sociali e, in linea di massima, è poco connesso col tema delle istituzioni.” Scorrendo Il Novecento e incrociandolo con i diversi filoni di studi, è possibile considerare diverse definizioni di impresa; se si considerano gli studi di economia aziendale, l’impresa “massimizza l’utile”; mentre dal punto di vista della finanza aziendale, l’impresa tecnicamente “massimizza il valore corrente del capitale economico”, ovvero, per le imprese quotate, quello che è la capitalizzazione. Infine, per quanto riguarda gli studi giuridici, si osserva una certa linearità con le definizioni precedenti: articolo 2247 del Codice Civile: “l’impresa è un contratto di società dove due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili”. Dal punto di vista delle materie aziendali e giuridiche, dunque si tratta sempre di un problema di utili o di massimizzazione del valore corrente del capitale economico. È possibile infine considerare gli studi economici, ossia il punto di vista dell’economia politica, sostanzialmente il cosiddetto filone “neoistituzionalista” sull’impresa, che si dipana a partire dagli anni ’30. Si può dire pertanto che in 250 anni di storia del capitalismo industriale, e anche di cultura economica, il tema dell’impresa è un qualcosa che riguarda circa gli ultimi 80 anni. Solo in tempi recenti, nel 2014, Robert J. Shiller, premio Nobel per l’Economia, ha affermato che la finalità dell’impresa è “durare nel tempo”.

Partendo da queste premesse, è abbastanza difficile arrivare a parlare di sfide sociali e ambientali dell’impresa. Un primo passo verso tale direzione, rispetto alle prospettive molto chiare, molto nitide, molto rigide e, per certi versi, anche molto novecentesche sopraelencate – o comunque prima della crisi del 2008 – considera affiancato ai precedenti punti di vista uno ulteriore, ossia che l’impresa debba essere anche attenta, e debba avere un interesse complessivo con tutti quelli che una volta venivano chiamati i portatori di interesse, cioè verso tutti quei soggetti, che a diverso titolo, hanno a che fare con l’impresa, ossia dipendenti, creditori, fornitori, lo stesso fisco. Provando a tradurre quest’idea dell’attenzione ai portatori di interesse in termini più moderni, facciamo riferimento alla cosiddetta “stakeholder vision”, dove gli stakeholder non sono altro che i portatori di interesse a cui, in tempi più recenti, si sono unite anche, oltre le categorie sopra menzionate, le comunità, le cosiddette constituency del mondo anglosassone, e anche, tra le altre, l’ambiente. Partendo da tale prospettiva è possibile provare a fare un passo deciso verso una ragionevolezza nel parlare di sfide sociali e ambientali dell’impresa. Si possono identificare alcuni fatti, elencati di seguito molto brevemente che, nel corso degli ultimi anni, hanno reso questa prospettiva molto più interessante. Un primo aspetto riguarda l’estate 2017: due grandi database provider, Thomson Reuters Datastream (ampiamento utilizzato nel contesto accademico), e Bloomberg, hanno provato a portare la loro attenzione su quello che è l’impegno delle imprese a 360° da un punto di vista ambientale, sociale e di governance. L’impegno delle imprese verso le tematiche ESG (acronimo inglese che sta per environmental, social, governance) viene tradotto di fatto in un punteggio. Tra le principali metodologie di rating si richiama quella di Thomson Reuters, che partendo da un campione molto ampio di quasi 200 indicatori, riassume complessivamente tali tematiche 10 categorie, a loro volta divise in 3 categorie ambientali (E), 4 categorie sociali (S), e 3 categorie di Governance (G), che riportano uno specifico score per ogni categoria coprendo ampiamente il numero di imprese quotate presenti in tutto il mondo, sulla base delle informazioni rese pubbliche dalle stesse imprese rispetto alla loro capacità di attenzione a questi temi. Si tratta di un tema tanto innovativo quanto interessante, perché per la prima volta, in modo oggettivo, è possibile dare un voto a quello che è l’impegno delle imprese verso alcune tipologie di stakeholder: l’ambiente, le comunità e il tema più vasto della Corporate Governance e Corporate Social Responsibility.

Secondo aspetto, 19 agosto del 2019: 181 Chief Executer Officer della Business Roundtable (la Confindustria americana) dichiarano che la finalità dell’impresa è quella di “servire diverse tipologie di stakeholder”. Citando letteralmente: “si impegnano a guidare le proprie aziende a beneficio di tutte le parti interessate”; e quindi, gli stakeholder, i portatori di interesse, ed esplicitamente si citano “clienti, dipendenti, fornitori, comunità e anche azionisti” (anche se questi ultimi tecnicamente sarebbero shareholder). Si tratta veramente di una rivoluzione epocale, in cui le considerazioni iniziali, che hanno portato alla nascita del tanto noto punto di vista di Milton Friedman (celebre economista, aziendalista, della scuola di Chicago, con un punto di vista ultraliberale), che nel 1970 scrive in un articolo di giornale “la finalità che deve perseguire un’impresa è, semplicemente, la massimizzazione del valore per i propri azionisti, tutto il resto sono costi e non contano niente”, risultano cinquanta anni dopo assai diverse, mettendo in luce una condizione prospetticamente, culturalmente e storicamente molto molto diversa.

Dunque, vale la pena provare a ragionare su quali sono i contesti che hanno portato a queste innovazioni: “Che cosa è successo di così rilevante da avere fatto cambiare,in tempo relativamente breve, di 180° la prospettiva?

Il primo è un problema che si può definire proprio di civiltà, di evoluzione culturale ed intellettuale. Osservando la storia recente del capitalismo, certi atteggiamenti che erano complessivamente compresi nel conventional wisdom di una volta, non lo sono più. Se ad esempio, nell’America dell’800 vi è stata una guerra civile sul tema della schiavitù, chiaramente, l’evoluzione culturale ha fatto sì che certe prospettive, fortunatamente, non vi fossero più. Si tratta pertanto di un cambiamento culturale di grande importante. Da questo punto di vista, nel Private Banking si evidenzia inoltre una crescente attenzione degli investitori chiedono non solo di avere un rendimento, ma sono fortemente interessati a sapere da dove deriva quel determinato rendimento, tenendo in considerazione quindi, non tanto i rischi assunti (questa è la teoria classica della finanza), quanto piuttosto dove si è investito, che tipo di scelte si sono fatte e quali sono le caratteristiche che hanno costruito quel rendimento; si sottolinea da questo punto di vista una forte enfasi etica. Secondo punto di vista: i tassi di interesse negativi. I tassi interesse negativi – frutto della crisi del 2007-2008 e delle progressive politiche di Quantitative Easing (QE), avviate in diverse circostanze dalle banche centrali – sicuramente hanno per la prima volta dal 1780 circa, inizio della prima rivoluzione industriale, fatto sì che la tipologia di capitale scarsa per antonomasia, ovvero il capitale finanziario, non fosse più tanto scarsa. Si riconoscono infatti altre forme di capitali che nel tempo sono diventate relativamente più scarse: capitali reputazionali, capitali ambientali e così via. E, quindi, anche la struttura che è alla base delle relazioni dell’impresa – influenzata dalla corrente neoistituzionalista – necessita, probabilmente, in un futuro abbastanza vicino, di essere rivista e ripensata.

Partendo da tali premesse è possibile introdurre un secondo tema:

Quali impatti hanno realmente questi coefficienti ambientali, sociali e di governance, sul valore e sul grado di rischio dell’impresa?

Citando Bertolt Brecht alla fine della “Vita di Galileo”, si può affermare che “siamo all’inizio di quest’avventura”. I primi studi empirici sugli ESG sostengo che vi è un impatto di tali aspetti sul costo del capitale e, quindi, se un’impresa è più virtuosa in termini ESG, i diversi soggetti, che prestano a vario titolo all’impresa, sono disponibili a prestare a tassi più bassi, e ciò di conseguenza aumenta il valore dell’impresa. Tuttavia, quest’ultimo aspetto dipende dal settore in cui opera l’impresa. Guardando al settore dell’Automotive l’aspetto rilevante è la “E” (Environmental), mentre nel mondo dell’Iren Gas l’aspetto rilevante è la Governance tradizionale (G), e nel settore creditizio tradizionale invece, dove la parte un po’ da leone la fa lo score sulle controversie, è possibile osservare complessivamente dei risultati interessanti: forte attenzione alle sfide sociali e ambientali dell’impresa e alla capacità, addirittura, di aumentare il valore stesso dell’impresa. Per chi guarda le pagine di finanza dei giornali in questi giorni complicati, sembra che gli ESG siano anche capaci, in qualche modo, di essere più resilienti, di minimizzare la volatilità, di minimizzare il rischio e, quindi, di aumentare il valore. Quindi, si osserva un quadro complessivamente molto omogeneo. E tutti questi aspetti sono diventati ulteriormente importanti, attuali e da studiare, in seguito alla prospettiva della pandemia che stiamo vivendo.

Ci chiediamo dunque: “Quali sono le prospettive?

In primo luogo, si osserva che la prospettiva dell’impegno sociale e ambientale è molto più ampia rispetto al mondo degli ESG. Per esempio, la Società Benefit, un’eccellenza tutta italiana introdotta qualche anno fa, consente di introdurre statutariamente un’attenzione per una qualche tipologia di stakeholder, di portatore di interesse. Non si tratta di una nuova forma giuridica, perché non è cambiato il codice civile, l’articolo 2247 è ancora valido, però è possibile che una società di capitali, una società di persone, una società cooperativa dedichi una particolare attenzione, a livello statutario, a una certa tipologia di portatori di interesse. Tutto questo si innesta ulteriormente in un dibattito molto importante sulle finalità d’impresa. Nel libro “Prosperity” di Colin Mayer, docente di Corporate Governance alla Oxford University, l’autore si interroga esattamente su quali siano le finalità dell’impresa in un’ottica molto più ampia rispetto a quella dei 181 Chief Executive Officer della Business Roundtable degli Stati Uniti. Un altro libro intitolato “The code of Law”, pubblicato alla fine dell’estate 2019, mette in relazione il contesto giuridico esistente con l’importanza del capitale finanziario, rispetto ad altre tipologie di capitale. Anche questo, probabilmente, dovrà fare ripensare alcune prospettive che diamo per consolidate nel diritto societario, frutto invece anche queste di una storia passata, dove il capitale finanziario era la tipologia di capitale relativamente più scarso. Passando infine rapidissimamente alla storia dei diversi sistemi creditizi in giro per l’Europa, la difficoltà consisteva proprio nella formazione del capitale e nel convogliare questo verso l’investimento industriale.

Un’ultima considerazione: “Si tratta solo di una moda?

“L’evidenza empirica degli studi è che se questo coinvolgimento delle imprese, da un punto di vista sociale e ambientale è di facciata, allora aveva ragione Milton Friedman “sono solo costi”. Se, invece, non è di facciata, ma c’è un coinvolgimento serio, allora il beneficio è reale, positivo, e aumenta il valore dell’impresa. Dunque, come dicevano gli antichi: “quid agis, recte agis, et respice finem”.[1]

 

Nota: Durante il quarto incontro delle “Video- Pillole: Riflessioni per tempi incerti” del 2 Maggio 2020 è stato affrontato e ampiamente discusso da parte del Professor Carlo Bellavite Pellegrini, docente ordinario di Finanza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il tema dell’impresa alla luce delle nuove sfide ambientali e sociali.

[1] Qualsiasi cosa faccia, còmpila con rettitudine, badando al fine, cioè al suo esito ultimo (Nota di Redazione).