La prossima apertura delle Olimpiadi ateniesi è anche occasione per leggere o rileggere i testi greci che ne parlano, in prosa e in poesia. Possiamo scorrere in pochi minuti un brano composto da soli nove paragrafi, che è un discorso celebrativo del quarto secolo a.C., intitolato l’Olimpiaco. Non è molto noto, anche perché risulta condizionato da alcuni interrogativi: sulla paternità innanzitutto, poi sulla sua datazione, infine sul suo carattere frammentario. Non è questa la sede per dibattere le problematiche esposte, per cui converrà invece attenerci convenzionalmente a qualche punto fermo: si ritiene di solito che l’autore sia l’oratore Lisia, che la sua composizione debba essere fatta risalire alle Olimpiadi del 384 a.C., e che in origine il testo non fosse così breve come ci è giunto. La parzialità delle nostre conoscenze dipende dal fatto che il frammento ci è arrivato per testimonianza indiretta da parte di un altro autore, Dionigi di Alicarnasso, che ha trasmesso quello che vi aveva trovato di più interessante. Parliamo dunque dell’Olimpiaco di Lisia come di un discorso d’apparato, cioè composto per un’occasione solenne come i giochi olimpici, ma con lo scopo di celebrare, al di là delle gare in programma, il senso di unione panellenica che doveva animare gli atleti e le città partecipanti. Lo spazio riservato in questo testo alle origini della manifestazione è limitato a un accenno a colui che Lisia riteneva (ma non tutti la pensavano così) il fondatore delle Olimpiadi, cioè l’eroe Eracle: l’istituzione delle gare sarebbe stata un suo gesto di benevolenza, una forma di affetto del semidio verso il mondo ellenico. Ed Eracle l’avrebbe compiuto a Olimpia perché questo era considerato il più luogo bello della Grecia: anche la collocazione avrebbe così contributo all’eccellenza dei giochi che, come aveva cantato Pindaro molto prima di Lisia, si sarebbero imposti sugli altri come l’acqua sui vari elementi vitali e come l’oro sugli altri metalli. Eracle, nella narrazione dell’Olimpiaco, si era dedicato alla fondazione delle Olimpiadi dopo aver cacciato i tiranni e aver punito i prepotenti. L’allusione è alle celebri fatiche da lui compiute, come manifestazioni di una volontà di lotta antitirannica e per il ripristino della giustizia. Agli occhi di Lisia, l’eroe del mito non è solo l’espressione della forza e del coraggio, ma è anche un campione della libertà; con la sua azione, Eracle ha indicato una linea di comportamento per tutti i Greci. E qui avviene l’aggancio con la realtà contemporanea. Lisia, di orientamento politico democratico, approfitta dell’occasione per lanciare un messaggio di lotta antitirannica ai suoi contemporanei, in un momento critico della storia della Grecia, asservita alla potenza persiana a causa dell’acquiescenza di Sparta. Ma il discorso di Lisia non è rivolto né contro Sparta né contro la Persia: l’obiettivo è invece la tirannide di Dionigi, signore di Siracusa. Dionigi svolgeva da tempo una politica arrogante e violenta nei confronti di molte città della Sicilia e della Magna Grecia, come Reggio. Sorretto dal successo delle sue truppe, sembrava avviato a un’egemonia incontrastata nel mondo greco, anche continentale: c’era quindi la concreta minaccia che egli riuscisse a imporsi con la sua prepotenza, mescolata a propagandistiche autocelebrazioni e ad ammiccamenti populistici. I giochi olimpici erano divenuti un’arma fondamentale per questa esibizione di potenza e di lusso. Dionigi aveva inviato da Siracusa una delegazione guidata da un prestanome, che pare fosse addirittura suo fratello, e composta da poeti pronti a recitare le sue poesie e da quadrighe che dovevano correre in suo nome. Ma a questo punto scattò la reazione di Lisia, che scrisse e pronunciò l’Olimpiaco proprio nel segno della lotta antitirannica e per il ritorno alla democrazia vera nel mondo greco. Nel testo a noi rimasto il nome di Dionigi non compare, ma le allusioni a lui sono evidenti: e soprattutto erano evidenti per i Greci radunati ad Olimpia, che insorsero contro la delegazione siracusana e i servi del tiranno. La tenda foderata d’oro in cui essi si trovarono venne assalita e incendiata; fu però un gesto più simbolico che concreto, visto che la tirannide durò ancora a lungo. Tuttavia il fatto ebbe una certa risonanza, perché avvenuto a Olimpia, proprio là dove Dionigi sperava di allargare propagandisticamente il suo consenso tra i Greci.
Giornale di Brescia, 29.7.2004