La responsabilità è uno degli snodi essenziali per un pensiero etico-filosofico, è una parola chiave. Non si può parlare della responsabilità senza la libertà, la triade responsabilità, libertà e giustizia è necessaria. Per parlare di responsabilità bisogna presuppore un piccolo segno, una piccola possibilità di libertà, non c’è nessuna responsabilità senza un orizzonte di libertà in cui si inserisce. La responsabilità presuppone la libertà, è la sua altra faccia, c’è un richiamo continuo tra l’una e l’altra, che è un richiamo continuo di limiti e di possibilità contemporaneamente. La libertà riceve dalla responsabilità quel nesso concreto, vissuto, che rende la libertà operativa, senza la responsabilità rimarrebbe vuota, un concetto stratto, la libertà grazie alla responsabilità diventa sé stessa. Il carattere originario della responsabilità, essa prima di tutto è una nozione che io leggo in una chiave relazionale. Certamente esiste una responsabilità di ordine economico, giuridico, esiste una responsabilità nell’ambito polito, ma prima di tutto la responsabilità può essere colta adeguatamente solo se la inscriviamo in un adeguato orizzonte di carattere relazionale, cioè la responsabilità è una parola di relazione, è la risposta che sento di dover dare ad un’altra persona o ad una situazione nella quale sono inserito e rispetto alla quale non posso che prendere posizione, una situazione che mi provoca, che mi spinge ad assumermi la mia responsabilità. Responsabilità che sperimentano i genitori nei riguardi dei figli o viceversa, la sperimentiamo verso le persone a cui vogliamo bene, è anche quella responsabilità che è tanto più grande quanto si fa solidarietà e capacità di sentire una responsabilità per ogni essere umano nella faccia della terra, in ragione di un vincolo di solidarietà che in un certo senso ci accomuna come esseri umani. Vorrei insistere su questo dato relazionale della parola responsabilità, questa nozione ci può aiutare a comprendere aspetti fondamentali della dimensione morale della vita personale, che in alcuni casi sono ricondotti esclusivamente a dimensioni di ordine applicativo, come se esistesse la libertà e poi la applichiamo in alcune situazioni della vita, ma la vita non è così meccanica, la vita è un circolo, dalle situazioni io mi faccio interrogare e assumo responsabilità rispetto a quelle situazioni e comincio a capire cos’è la mia libertà, con i suoi limiti e le sue possibilità, così lo spazio della responsabilità si accresce, si mette alla prova. Questo vale già nelle dimensioni più immediate della libertà, quella che comincio a conoscere nel conoscere me stesso, perché c’è anche una responsabilità di fronte a sé stessi, la dinamica relazionale a cui ho fatto cenno come dinamica di risposto è anche la risposta è anche la risposta che proviene da me stesso verso me stesso nel momento in cui io prendo coscienza di me, è questo il vero esercizio della libertà. Il rendersi conto del mondo esterno consente un processo di identificazione di sé stessi. La prima situazione con cui dobbiamo avere a che fare siamo noi stessi, siamo sempre chiamati a diventare noi stessi e come lo diventiamo se non attraverso la capacità di assumerci, passo dopo passo, la responsabilità stessa della nostra vita, che in una prima istanza significa accogliere la nostra vita, quella vita che non abbiamo scelto, ma che ci è stata data, la accogliamo pur con tutti i limiti che però rappresenta quello spazio fondamentale, che è lo spazio da cui partiamo, per la relazione con gli altri e tutto questo contemporaneamente. La nozione di responsabilità è importante perché consente la coniugazione di una pluralità di prospettive, c’è una dimensione di ordine antropologico, strettamente congiunta alla dimensione etica. In questa dimensione relazionale non c’è solo e semplicemente l’orizzonte della mia famiglia o delle persone che mi sono care, questo orizzonte sempre più si amplia, e ci viene chiesto continuamente di prendere una posizione, di assumerci una responsabilità rispetto alle problematiche che riguardano la vita in cui sono immerso, che è la vita della mia città, della mia nazione etc. Tutto questo ci provoca a cogliere una relazione con la realtà che ci fa sperimentare il senso di noi stessi e di tutto ciò che ci appartiene e che rappresenta il senso più proprio dell’essere umano in cui la dignità va rispettata in me stesso e negli altri e contemporaneamente si può sviluppare un senso del dovere che non è semplicemente un senso estrinseco del dovere, ma è un senso esistenziale, sostanziale, la responsabilità non è il peso che ci viene posto sulle spalle e che ci fa camminare con fatica, che ci abbatte, in certi momenti della vita può essere questo, ma in altri casi la responsabilità è il peso che noi portiamo con gioia, con la forza di chi vuole contribuire ad un cambiamento, di chi vuole prendere posizione, di chi vuole lottare per la giustizia, di chi vuole essere veramente libero. La responsabilità è un peso, ma non è necessariamente opprimente, può essere un peso liberante. Noi dovremmo recuperare la dimensione della responsabilità, come dimensione prioritariamente relazionale che ci fa cogliere la finalità della vita nella capacità di recuperare il peso che portiamo in un modo diverso, questo discorso si collega al discorso del rapporto fra la responsabilità personale e la responsabilità comunitaria o sociale, che è un altro grandissimo tema, che in questo quadro pongo all’attenzione di tutti. Il mio discorso potrebbe sembrare esclusivamente individuale, ma vuole essere il contrario, un discorso che nel momento in cui insiste sulla dimensione individuale, io che riscopro la mia capacità di relazione con gli altri è un discorso che ha una forte carica sociale, perché la responsabilità portata da soli ha bisogno della responsabilità che impariamo a portare insieme. Nella gran parte dei casi la responsabilità è da esercitare insieme con gli altri, non da soli, rimane nella dimensione più personale quell’idea di responsabilità come testimonianza, che rappresenta la capacità di ogni singolo di scegliere, di ogni singolo di pagare di persona, di metterci del suo. La dimensione sociale è molto importante. La responsabilità si inserisce, cogliendo nella vita delle persone di una società un nucleo che è andato maturando, nucleo che nel 900 ci ha portato a riflettere sulla necessità di inserire con più forza questa dimensione nell’ambito dell’etica, abbiamo bisogno di spazi di coniugazione, di mediazione, di relazione per poter prendere adeguatamente posizione. In certi casi si è chiamati ad assumersi le proprie responsabilità da soli, responsabilità va insieme con scelta, decisione, ci sono casi nella vita in cui da solo devo prendere una decisone e assumermi pienamente la mia responsabilità, ma in molti altri casi mi inserisco in un tessuto storico, in un tessuto fatto di idee e di azioni, un tessuto che mette insieme la responsabilità del pensare e dell’agire e mi inserisco in un patrimonio di pensiero che ha dato forza alle esperienze della cultura europea, dove tutta una serie di riflessioni hanno fecondato un terreno che ha messo in evidenza come la responsabilità rappresenti nell’esercizio della vita democratica un valore fondamentale, non esiste una adeguata riflessione dal punto di vista democratico che non tocchi la dimensione della responsabilità. Penso alle riflessioni di Romano Guardini nell’etica e a come questo orizzonte di coniugazione viene messo in evidenza, oppure alle riflessioni di Hans Jonas che ci pone la questione del futuro dell’umanità, questa grande questione di cui molto difficilmente ci occupiamo. Pone al centro la questione del futuro dell’umanità, questione che era già stata posta in relazione alle armi atomiche e al loro potere distruttivo, Carl Jasper “La bomba atomica e il futuro dell’uomo”. Jonas pone la questione della responsabilità in relazione all’ambiente, alla sua distruzione, in relazione ad un’umanità che sta percorrendo la strada di un auto distruzione, la nozione di responsabilità sta crescendo perché nel pensiero del 900 vede sempre più affermarsi questioni che interpellano l’intera umanità, chiamando ad un esercizio di responsabilità condivisa, che è la grande domanda della responsabilità, quella relativa ad un futuro per il pianeta. Vediamo qui che c’è un ulteriore tema importante che è quello della responsabilità d fronte alla nostra storia. La responsabilità è anche nella capacità di cogliere gli aspetti della vita anche nel loro sviluppo diacronico, anche nella capacità di cogliere nella storia quelli che possono essere passaggi nuovi, ulteriori, su cui far leva, molte volte si è presentata la nozione di responsabilità in contrapposizione a quella di speranza, io non ritengo che questa contrapposizione sia legittima, ritengo anzi che solo un adeguata relazione tra responsabilità e speranza fa crescere entrambe, perché un’autentica responsabilità vista in questa chiave relazionale, ovvero una responsabilità che custodisce una grande speranza di cambiamento. Senza una carica di speranza, cioè di desiderio di trasformazione della realtà, la responsabilità non si alimenti adeguatamente, Jonas preferisce alimentarla con quella che lui chiama una sorta di ermeneutica della paura, per lui forse la paura è un movente più consistente rispetto alla speranza. La responsabilità si oppone alla speranza oppure trova alimento dalla speranza? Certo una componente di consapevolezza riguardo alle situazioni e alla loro problematicità appartiene alla responsabilità. Max Weber faceva una distinzione tra l’etica dell’intenzione o dei principi e l’etica della responsabilità, perché nella sua visione la prima etica è tendente ad enunciare i principi di un comportamento possibile, mentre la seconda si caratterizzava per una maggiore concretezza nella capacità di individuare conseguenze del proprio agire e anche all’utilizzo di mezzi più o meno adeguati a raggiungere un determinato fine. Questa divaricazione è letta da molti in chiave forzata, un’etica dell’intenzione ha sempre bisogno anche di un minimo di responsabilità, altrimenti le buone intenzioni rimangono assolutamente astratte, e anche un’etica della responsabilità non è priva di intenzioni, di principi, però Weber ha posto in un suo testo “La politica come professione” ha posto in primo piano questa questione. La responsabilità allora è sostanzialmente solo di chi è chiamato ad una lucida diagnosi della realtà e del presente e rispetto a quella prende posizione o è anche l’esercizio costante, storicamente provato, vagliato dalle situazioni in cui io mi metto alla prova custodendo comunque un obiettivo di cambiamento, un ideale possibile, anche questa è una grande questione ed è il rapporto che si impone là dove nel quadro del pensiero del 900 uno dei maestri della riflessione sulla responsabilità, cioè Emmanuel Lévinas, ci ha posto di fronte prima di tutto la responsabilità che ci proviene dal volto dell’altra persona. In questo caso non solo recuperiamo quella responsabilità che ho cercato di impostare fin dall’inizio in chiave relazionale, ma il volto di altri è anche il paradigma di tanti volti, non è solo il volto di quell’altro che amo, che appartiene alla mia famiglia, non è solo quel volto, è anche il volto dello sconosciuto, di ogni persona che sta sulla faccia della terra, a cui è chiesta la stessa solidarietà e la stessa giustizia che mi viene naturale con le persone a cui voglio bene. Questo è il paradosso della responsabilità, riuscire a vivere la giustizia allo stesso modo nei riguardi della persona che mi è davanti, con cui condivido la mia vita e nei riguardi dell’umanità intera, questa è la grande provocazione che fa della parola responsabilità una parola duttile, una cerniera fra concetti diversi, concetto molto prezioso per riuscire a comprendere i percorsi possibili dell’etica oggi, quei percorsi che riguardano le declinazioni, le caratteristiche del nostro tempo. Cosa significa responsabilità nel tempo dell’affermarsi delle tecnologie, che cosa significa responsabilità nel tempo della comunicazione globale, che cosa significa responsabilità nel tempo della crisi della partecipazione. Che cosa significa il pericolo incombente di regimi totalitari, pericolo reale nel momento in cui si abbassano determinate difese. Si potrebbe domandare che cosa significa responsabilità ai tempi di una democrazia che rischia di essere più formale che sostanziale, che rapporto c’è tra responsabilità e le crescenti diseguaglianze che attraversano non solo le nazioni più povere, ma anche le nazioni ricche, potenti, di come queste diseguaglianze sono di fatto accresciute ed espongono un problema di responsabilità sempre più forte dal punto di vista della questione dei diritti. La responsabilità è anche sostanzialmente lo spazio di un appello, il modo attraverso cui declino la parola responsabilità, etimologicamente, è legata al termine risposta. Gli altri sono un mondo assolutamente vario, gli altri sono tutti, non solo i miei cari, coloro che mi sono direttamente e indirettamente affidati in relazione alla nostra comune appartenenza al genere umano. Solo la capacità di esercitarsi nel cogliere domande e provocazioni della vita facilita lo spazio della risposta. Questi incontri vogliono mettere in luce la funzione critica del pensare, è questo il compito fondamentale di una ricerca filosofica e il suo valore sociale, aprire lo spazio della domanda, riaprirlo continuamente. Come potrebbe esserci risposta, anche minima, se non avverto il senso e il valore di una qualche domanda, cioè di una provocazione che mi viene dalla vita, se io non riesco a cogliere il senso di una domanda, se io non riesco a guardarmi attorno, a vedere i problemi, a sapere leggere i problemi, non riuscirò a tentare di rispondere, non perché venga prima la domanda e poi la risposta, teoricamente viene prima la domanda e poi la risposta, ma molte risposte sono nuove domande, quindi il discorso si articola. Senza lo spirito dell’interrogarsi, del lasciarsi provocare, il non chiudere gli occhi, senza una dimensione di ascolto non è possibile la responsabilità. Perché si è meno responsabili? perché non ci si è educati ad ascoltare, non ci si è educati a pensare, il pensare è un tutt’uno con l’agire, non ci si è abituati a vedere, tutto questo concorre a costruire la responsabilità come risposta, non sono dimensioni marginali, sono dimensioni personali, sociali, intellettuali e per certi versi anche dimensioni politiche. La capacità di rispondere spezza l’indifferenza, perché spinge ad una presa di posizione, che rompe un muro di staticità nelle situazioni in cui siamo, certo in tanti casi la responsabilità vuol dire avere la forza e la capacità di prendere posizione, e in alcuni casi rimetterci, pagare di persona, perché questo appartiene ad ogni forma di presa di posizione, l’impegno per la giustizia è prima di tutto quello, e questo è l’esercizio di una libertà autentica, riuscire a poter, responsabilmente, assumere un proprio orientamento, un proprio compito. C’è una bella espressione di Romano Guardini che vorrei utilizzare per concludere, un’espressione molto bella che dice fondamentalmente che il proprio tempo è il punto di riferimento fondamentale per tutto questo, espressione tratta dalle lettere del lago di Como di Guardini, hanno circa un secolo, ma hanno una loro intrinseca attualità, il nostro tempo è dato a ciascuno di noi come terreno sul quale dobbiamo stare e ci è proposto come compito che dobbiamo eseguire, terreno sul quale dobbiamo stare e compito allo stesso tempo, non c’è contraddizione, il nostro tempo non è una via sulla quale dover procedere esteriore a noi stessi, noi stessi siamo il nostro tempo, il nostro tempo che siamo noi stessi è il nostro compito, la responsabilità non è una dimensione asettica, è la dimensione che ci spinge a prendere posizione nel nostro tempo per essere fino in fondo il nostro tempo.
Domanda di una studentessa: Il concetto di responsabilità in relazione al caso Eichmann e più in generale ai regimi totalitari, ovvero in che misura possiamo effettivamente parlare di responsabilità all’interno di un regime totalitario? A chi imputare la responsabilità di quello che accade, al regime o agli individui? In sede processuale Eichmann si è giustificato affermando che la responsabilità di quanto è accaduto non è attribuibile a lui e quindi si è sottratto al giudizio ed ha dichiarato di aver agito in adesione ad un’organizzazione all’interno della quale lui ricopriva un ruolo specifico. Dobbiamo pensare che la rinuncia di Eichmann nei confronti della propria responsabilità lo sollevi da essa o possiamo pensare che la responsabilità di Eichmann sia collocabile nell’istante stesso in cui lui liberamente ha deciso di aderire ad un sistema specifico.
La vicenda di Eichmann è la vicenda di uno che si vuole autorappresentare come una persona normale, come colui che faceva il suo dovere, lo stato gli aveva chiesto questo compito, quello di smistare nei campi di concentramento le povere persone destinate allo sterminio e lui lo eseguiva, non era lui il responsabile, lui stava solo eseguendo un ordine. Qua immaginate la particolarità di questo problema, giustamente nel momento in cui decidi di accettare questo compito sai a che cosa vai incontro, non puoi autodefinirti una persona normale. È chiaro che nessuno si può fare maestro e che era un regime difficilissimo da scardinare, le forme di opposizione non sono state tantissime, però non si può pensare di giustificare con la normalità la banalità, appunto il male. Questo è un dato che ci deve insegnare qualcosa, ogni volta che noi banalizziamo il male lo stiamo giustificando, lo stiamo ammettendo, stiamo dicendo che è giusto, che è possibile, che succede, ma non è così, non deve succedere. È molto istruttiva la lettura del testo di Hannah Arendt “La banalità del male”, perché ci sono una serie di questioni che non sono solo legate a quell’epoca in cui si svolsero i fatti, ma che appartengono ad una tipologia di atteggiamenti poco responsabili, in cui la dimensione della responsabilità è diventata evanescente o addirittura gli altri ci sono diventati indifferenti. Nel momento in cui siamo indifferenti rispetto al male siamo complici del male.
Nota: Trascrizione, non rivista dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 21.2.2022 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.