L’influenza di don Mazzolari sulla Chiesa e la società bresciana

Il territorio che ha visto in misura maggiore la presenza di don Mazzolari è stato, dopo il cremonese, certamente quello bresciano: don Primo è infatti intervenuto numerose volte nella nostra città e in vari paesi della provincia per esercizi, quarantore, predicazioni, interventi su tematiche politiche e di attualità. A Brescia don Mazzolari aveva alcuni dei suoi più cari amici e sicuramente molte persone che seguivano con interesse, partecipazione e trepidazione la sua attività. A Brescia ha potuto pubblicare le sue prime opere, grazie a un coraggioso libraio-editore indipendente.

L’infanzia e l’adolescenza a Verolanuova

Ernesto Primo Mazzolari nasce a Boschetto, località alla periferia di Cremona, nel cascinale denominato San Colombano, il 13 gennaio 1890. Quando Primo ha dieci anni, nel novembre 1900, la sua famiglia si trasferisce per motivi di lavoro nella bassa bresciana, a Verolanuova; qui prende in affitto un podere più ampio. Terminate le elementari, dove suo insegnante è il maestro Pochetti, con la votazione di 68/70, Primo frequenta la classe complementare. In questi anni viene anche avviato allo studio del latino dal curato del paese, don Battista Lampugnani. Poi Primo decide di entrare in seminario. La scelta dei genitori cade sulla terra d’origine dei Mazzolari, Cremona, città dove vi sono ancora dei parenti che, in caso di necessità, possono aiutare e seguire Primo. Vescovo di Cremona è il bresciano mons. Geremia Bonomelli, una persona che risulterà fondamentale per la formazione del giovane Mazzolari.

Il seminario di Cremona, nelle intenzioni di mons. Bonomelli, deve preparare i giovani ospiti al confronto con le varie problematiche del tempo: la biblioteca è ben fornita e gli studi, accanto alle materie tradizionali, sono arricchiti da lezioni di agraria, economia, politica, igiene. Siamo in un periodo di grandi trasformazioni sociali: nelle campagne cremonesi iniziano a diffondersi le idee socialiste, mentre nel contempo stanno nascendo anche le leghe bianche di Guido Miglioli. I giovani seminaristi vengono chiamati a confrontarsi con tutti questi cambiamenti.  Quelli del seminario sono per il giovane Mazzolari, però, anche anni di difficile convivenza e di uno studio che non lo soddisfa affatto.

In questi anni Mazzolari legge moltissimo, come risulta dalle pagine del diario, ricche di riflessioni e di commenti riferiti ai testi che prende in esame: fra le letture giovanili vi sono le opere di Fogazzaro e quelle di Giovanni Semeria, in particolare Scienza e fede. Durante gli studi teologici il suo sguardo si allarga all’ambito europeo: spazia così da Rosmini a Manzoni, da Hugo a Blondel, da Pascal a Newman, da Tolstoj a Bernanos, da Peguy a Gratry, da Dante a Leopardi, da Cartesio a Dostoevskij, da Bossuet a Pirandello, da S. Agostino a Harnack, dai filosofi greci a S. Tommaso e a molti altri ancora. Soprattutto il cattolicesimo francese gli pare quello più vivace e più attento alle sfide della modernità.

Geremia Bonomelli, un vescovo fondamentale per la crescita del giovane Mazzolari

Tra le persone che più hanno influito sulla crescita e sulle scelte di Primo Mazzolari vi è certamente il vescovo bresciano mons. Geremia Bonomelli, che guidò la diocesi di Cremona per circa 45 anni.

Le lettere pastorali del vescovo cremonese parlano di salvezza anche per i lontani, contestano alcuni aspetti del culto cattolico, invitano la Chiesa ad essere più aperta alla storia e al proprio tempo, sostengono un’onesta separazione fra Stato e Chiesa in un momento in cui le ferite causate dalla breccia di Porta Pia non si sono ancora rimarginate.  In merito alla “questione romana”, Bonomelli sottolinea in particolare la necessità di porre fine al potere temporale dei papi. Sostiene decisamente questa posizione nell’opuscolo Roma, l’Italia e la realtà delle cose, pubblicato in forma anonima nel 1889 e messo all’indice dalla Santa Sede. Il 21 aprile 1889, giorno di Pasqua, nella cattedrale di Cremona mons. Bonomelli ammette di essere l’autore del saggio e fa atto di sottomissione a papa Leone XIII.

In seminario, testimonia nel suo Diario il giovane Mazzolari, le posizioni del vescovo stimolano il confronto culturale e le discussioni. Da Roma iniziano invece gli interventi tesi a limitare gli atteggiamenti considerati troppo liberali di mons. Bonomelli. Al termine della visita apostolica del 1905-1906 il vescovo viene formalmente invitato “a tornare alla fede antica”.

In vista dell’ordinazione sacerdotale, Primo Mazzolari si reca per gli esercizi spirituali a Chiari, presso il convento di S. Bernardino, dove rimane dal 5 al 24 agosto 1912. Primo Mazzolari viene ordinato sacerdote il 25 agosto 1912 a Verolanuova, dove abita la sua famiglia, da mons. Giacinto Gaggia, vescovo ausiliare di Brescia, nativo proprio di Verolanuova. Il 26 agosto don Mazzolari celebra nella parrocchiale di Verolanuova la sua prima messa. A Verolanuova don Mazzolari tornerà varie volte, anche dopo la morte dei genitori,  nella casa della sorella Pierina.

Nel 1916, i Mazzolari si spostano alla cascina Rezzato di Santa Maria, vicino a Pralboino, dove rimangono una decina d’anni anni.

I Mazzolari, dopo alcuni anni a Pralboino, ritornano  nuovamente a Verolanuova. Qui continuerà a risiedere, anche dopo la morte dei genitori, la sorella Pierina, che sposa Giulio Bragadina. Uno dei figli di Pierina Mazzolari, Enrico, diventerà sindaco di Verolanuova. In questo paese della bassa bresciana tornerà anche Giuseppina, dopo la morte di don Primo. L’altra sorella, Colombina, sposa un agricoltore cremonese di Grumello e va ad abitare in quel paese.

Dopo la partecipazione alla prima guerra mondiale, inizialmente come soldato nella sanità, poi come cappellano militare, don Mazzolari viene destinato a una delle due parrocchie di Bozzolo, quella della SS. Trinità. Qui don Primo si ferma poco più di un anno. Con la Messa di Capodanno 1922 vi è l’ingresso a Cicognara, dove rimane dieci anni. Nell’estate del 1932 don Mazzolari viene nominato arciprete di Bozzolo. Ritorna così da parroco nel paese in cui ha vissuto la sua prima breve esperienza pastorale. Ora ha un compito non semplice: unificare le due parrocchie presenti, quella di S. Pietro e quella della SS. Trinità, che insieme contano circa quattromila abitanti.  Il 10 luglio don Primo inizia il proprio ministero nella nuova parrocchia, dove resterà fino alla morte.

Lamico più caro, don Guido Astori di Carpenedolo

Uno dei più cari amici di don Mazzolari è don Guido Astori, nato a Carpenedolo nel 1888. È stato compagno di seminario di don Mazzolari a Cremona. La loro amicizia, sorta ai tempi del liceo, è continuata per tutta la vita. Ordinato sacerdote nel dicembre 1911 da mons. Bonomelli, Guido Astori durante la prima guerra mondiale è cappellano militare degli alpini. Al termine del conflitto si laurea in Lettere Moderne a Milano e fino al 1936 è professore in seminario a Cremona. Su sua esplicita richiesta, viene poi assegnato come parroco prima a Bordolano, poi a Casalbuttano e infine a Cremona, nella parrocchia di S. Agata. Muore a Cremona nel 1982. Don Astori è autore di diverse pubblicazioni, in particolare sulla figura di mons. Bonomelli. È stato amico di mons. Giovan Battista Montini, di padre Giulio Bevilacqua, di padre Carlo Manziana. Tra don Guido Astori e don Mazzolari il rapporto d’amicizia si sviluppa anche in un continuo scambio di lettere, che abbraccia cinquant’anni. In questo epistolario, che don Guido Astori decide di pubblicare nel 1974, riecheggiano tutti gli avvenimenti più importanti della vita di don Mazzolari, i suoi scritti, i suoi impegni pastorali, i suoi giudizi sulle vicende storiche[3].

Mons. Carlo Manziana[4] ha ricordato in un convegno l‘amicizia che univa don Mazzolari e don Guido Astori:

«Io, legato da devota amicizia per tanti anni al venerato mons. Astori, abate di S. Agata di Cremona, non ho saputo capacitarmi come potessero essere tanto affiatati, avendo personalità così diverse: Astori, così mite e dolce, Mazzolari, così battagliero ed aspro… Se non fosse un esempio irriverente, potrei dire che l’uno era olio e l’altro aceto, ma l’uno non olio del compromesso, ma della mitezza e l’altro non aceto della corrosione, ma della purificazione. Entrambi avevano un cuore illuminato dalla fede più sicura e vivificato dall’amore più sincero per Cristo, per la Chiesa e per i fratelli, senza frontiere e senza pregiudizi. Entrambi servi buoni e fedeli, li pensiamo ormai nel gaudio del loro Signore»[5].

L’Oratorio della Pace, padre Bevilacqua, padre Manziana, padre Acchiappati

Nel 1925 don Primo inizia a frequentare con assiduità a Brescia l’Oratorio della Pace e Villa San Filippo.

Nel novembre 1926  proprio l’Oratorio della Pace di Brescia viene preso di mira dai fascisti, che vi irrompono e tentano di aggredire padre Giulio Bevilacqua, futuro cardinale, conosciuto e apprezzato da don Primo. Don Mazzolari viene a sapere tutto ciò da un suo caro amico, padre Giuseppe Acchiappati, pure lui della Congregazione dei Padri filippini dell’Oratorio della Pace di Brescia.

Don Mazzolari ha una grande stima e considerazione per padre Giulio Bevilacqua. In una lettera ad un amico, il parroco di Bozzolo definisce padre Bevilacqua «un’anima straordinaria»[6].

Nel 1928 padre Giulio Bevilacqua è costretto dalle pressioni della questura bresciana e dei fascisti a lasciare Brescia e l’Oratorio della Pace per riparare a Roma, dove alloggerà nella stessa casa in cui vi è Giovan Battista Montini.

Nel 1934 anche padre Paolo Caresana lascia l’Oratorio della Pace di Brescia, chiamato a Roma per assumere l’incarico di parroco a Santa Maria in Vallicella (detta la Chiesa Nuova). Padre Caresana aveva appoggiato padre Bevilacqua, pertanto era considerato a Brescia un oppositore del fascismo. Per evitare dunque ulteriori attriti e problemi con le autorità bresciane, gli era stato assegnato il nuovo incarico a Roma.

Padre Carlo Manziana ha così ricordato i suoi primi incontri con don Mazzolari alla Pace:

«La conoscenza di sacerdoti amici della Bassa bresciana (non posso dimenticare padre Vincenzo Zazio di Pralboino e suo zio don Barchi, parroco di Gambara) favorì la presenza affascinante di don Mazzolari negli ambienti della Pace: ricordo un suo ritiro spirituale ai giovani adulti a Casa San Filippo e il corso di esercizi spirituali al clero nella stessa Casa. Il ritiro per laici ebbe come tema “La Samaritana al pozzo”, mentre gli esercizi riflettevano il suo diario di parroco di campagna e annunziavano i suoi libri sulla parrocchia e nello stesso tempo prendevano ispirazione dalla dottrina di spiritualità liturgica dell’abate Columba Marmion, autore del celebre volume Cristo, vita dell’anima. Se non erro, Mazzolari era ancora parroco a Cicognara e quindi prima del 1932. La sua figura appariva un po’ aristocratica, la sua eloquenza era un po’ aspra, ma convinta, attraente, attuale. Era presente la problematica complessa e anticipatrice (penso al Concilio Vaticano II), che già padre Bevilacqua ci presentava e ci incitava a risolvere in chiave squisitamente cristocentrica: la Bibbia, la liturgia, l’ecumenismo, la giustizia sociale e il dialogo con il mondo contemporaneo. Ormai la cappa del totalitarismo fascista aveva ridotto gli spazi della libertà religiosa e civile. Sentimmo, pur nella peculiarità della inconfondibile personalità di don Primo, riecheggiare le convinzioni e le preoccupazioni di Padre Bevilacqua. Da allora don Mazzolari venne spesso alla Pace anche per conferenze culturali, parlando specialmente a livello di laureati e di universitari»[7].

L’ammirazione per Mons. Giacinto Gaggia

Giacinto Gaggia (Verolanuova 1847-Brescia 1933) fu vescovo di Brescia dal 1913 fino al 15 aprile 1933. Nei confronti del fascismo mons. Gaggia fu da subito intransigente, non sopportandone le violenze e lo spirito anticristiano. Agli inizi di dicembre 1922, quando delle squadre fasciste a Capriolo malmenano il parroco don Pietro Libretti e il curato don Gaudenzio Martinazzoli, mons. Gaggia scrive al prefetto, definendo i protagonisti di tale azione «orda di teppisti, feroce masnada, emuli di Unni e Vandali». Questa fiera protesta diviene di pubblico dominio e don Mazzolari esprime in una lettera a mons. Gaggia tutta la propria ammirazione.

Nel 1929 si ha un altro momento significativo nel rapporto di don Mazzolari con mons. Gaggia. Subito dopo la firma dei Patti Lateranensi, nei confronti dei quali don Primo è molto critico, vengono indette le elezioni politiche: il nuovo Parlamento sarebbe poi stato chiamato a ratificare gli accordi fra Stato e Chiesa. I vescovi e l’Azione Cattolica, l’unica associazione riconosciuta con i Patti Lateranensi, invitano i cattolici a votare. Mazzolari teme che questo voto possa essere interpretato come un’approvazione della politica del regime e pertanto decide di non recarsi a votare. Inoltre si rifiuta di sollecitare dal pulpito la propria gente a votare per il governo.

Le reazioni rispetto a queste posizioni, che don Primo illustra anche pubblicamente ai propri parrocchiani, non si fanno attendere e il parroco di Bozzolo è subito preso di mira, come risulta da una lettera che viene inviata al vescovo dal segretario politico del Fascio di Viadana: in essa si chiede al vescovo un provvedimento severo nei confronti di don Mazzolari, colpevole di non avere votato e di non avere sollecitato a votare per il governo. Il vescovo Cazzani risponde di ritenere don Primo uno dei propri migliori sacerdoti e dunque di non essere assolutamente intenzionato a prendere provvedimenti contro di lui.

Alle elezioni, che si svolgono il 24 marzo 1929, la votazione ha un carattere plebiscitario. Gli elettori potevano votare, con voto non segreto ma palese, Sì oppure No, in calce alla lista dei candidati designati dal Gran Consiglio del Fascismo. La scheda con il Sì era tricolore, quella con il No era bianca, per cui i presenti potevano capire come ognuno votasse. I Sì ottennero il 98,33% dei voti. I No furono solamente 135 mila. In merito a queste elezioni, don Mazzolari ha un incontro a Verolanuova con il vescovo di Brescia, al quale esprime i propri dubbi e le proprie perplessità relativamente a tali votazioni, alle quali neppure Mons. Gaggia aveva partecipato.

Il primo editore: il bresciano Vittorio Gatti

Nei suoi sempre più numerosi contatti con Brescia, don Mazzolari nel 1928 inizia a frequentare anche una libreria del centro della città, punto di incontro di vari intellettuali, diretta da una singolare figura di editore-libraio, Vittorio Gatti[8].

Nato a Brescia nel 1886 in una famiglia dai solidi princìpi religiosi, Vittorio Gatti, dopo le scuole elementari, deve abbandonare gli studi a causa delle disagiate condizioni economiche dei propri genitori. Trova un lavoro presso la tipografia “Alessandro Luzzago”, dove si stampa anche “La Voce del Popolo”. Frequenta le scuole serali e nel tempo libero studia canto, fa l’attore e il regista nella compagnia filodrammatica di S. Alessandro, con la quale vince anche un premio nazionale. Nel 1919 si dedica al cinema muto, come soggettista, attore e regista per la “Brixia film” e per la “Cidneo film”. Ritorna poi alla carta stampata come direttore della libreria-editrice Queriniana e, in un secondo tempo, della Morcelliana. Nel 1926 inizia l’attività editoriale in proprio: pubblica libri di preghiere, vite di santi, opere a carattere apologetico, testi di meditazione, di spiritualità e di formazione culturale. Alcuni di questi libri verranno sequestrati dal Ministero per la stampa e la propaganda fascista. Nel 1928 Vittorio Gatti apre a Brescia una piccola libreria prima in via Dante e poi in piazza del Duomo. Qui ben presto si ritrovano quanti non sopportano il clima di soffocante chiusura imposto dal fascismo: sugli scaffali della libreria di Gatti si trovano infatti autori, come quelli del personalismo francese, che portano idee nuove e una ventata di aria fresca. Tra il parroco di Bozzolo e Gatti si crea ben presto una grande sintonia, che più tardi sfocerà in una fruttuosa e lunga collaborazione. Il primo libro di Mazzolari è pubblicato nel 1932 in 2.000 copie proprio da Gatti: Il mio parroco. Confidenze di un povero prete di campagna. Successivamente Vittorio Gatti pubblicherà anche numerosi altri libri di don Primo.

“La più bella avventura” (e le sue disavventure)

Nel 1934, ottenuto l’imprimatur dalla curia bresciana, Vittorio Gatti pubblica in 3.000 copie il secondo libro di don Mazzolari: La più bella avventura. Sulla traccia del Prodigo.

Il libro ha l’imprimatur della curia bresciana ad opera del revisore ecclesiastico mons. Giovanni Battista Bosio (Concesio 1892-Chieti 1967), prevosto di S. Lorenzo in città, professore di teologia morale presso il seminario maggiore, futuro arcivescovo di Chieti. Da una lettera inviata da Gatti a don Primo, risulta che a Brescia il libro viene fatto avere in omaggio, tra gli altri, alle seguenti persone: padre Marcolini, don Giuseppe Tedeschi, dott. Zadei, G. Folonari, padre Acchiappati, prof. Novi, avv. Andrea Trebeschi, mons. Paolo Guerrini, mons. Giacinto Tredici, sac. Durosini, prof. Rigosa, padre Giulio Bevilacqua, ing. Ronchi, prof. Trainini. La più bella avventura viene inviato anche ad importanti personalità della cultura italiana del tempo, con cui don Mazzolari è in contatto, come Grazia Deledda, Ada Negri e Mario Bendiscioli.

La parabola del figliol prodigo è assunta come immagine della Chiesa del tempo. Il figlio minore rappresenta i lontani, mentre il maggiore, invece di gioire per la conversione del fratello, «che era perduto ed è stato ritrovato», rappresenta chi si chiude in un atteggiamento teso a salvaguardare solo i propri privilegi. La polemica, seppur velata, è contro tutti coloro che non escono dal tempio e preferiscono rimanere tra le mura sicure e accomodanti della propria cittadella. La più bella avventura è proprio la conversione, che coinvolge tutti, chi è dentro e chi è fuori, chi vive nella Chiesa e chi se ne allontana. Per il parroco di Bozzolo tutti gli uomini sono come il figliol prodigo e aspettano di essere chiamati dal padre. Ciò che conta è dunque la conversione del cuore, che deve essere profonda e autentica, non tanto il ritenersi “dentro” la Chiesa per un fatto esclusivamente di presenza fisica o di adesione  alle sue associazioni. Mazzolari mette al centro l’immagine della casa del padre, accogliente e aperta a tutti: invita così ad aprirsi ai “lontani” e ad abbandonare ogni atteggiamento di paura e di contrapposizione. Si tratta di tematiche, relative al difficile rapporto fra la Chiesa e un mondo sempre più lontano e indifferente, che il parroco di Bozzolo aveva già affrontato  in una “missione” a Breno (Brescia) nel 1929 e a Genova in una predicazione del 1931.

Il giudizio di padre Giulio Bevilacqua, futuro cardinale, sul libro, è entusiasta, come anche quello di mons. Paolo Guerrini, storico e revisore ecclesiastico, di Mario Bendiscioli e di molti altri ancora[9].

Di fronte ad alcune notazioni critiche provenienti da settori della Chiesa cremonese, don Mazzolari scrive al proprio vescovo, mons. Cazzani, facendo presente che il «libro porta l’imprimatur e un imprimatur ove, dietro il nome abbastanza autorevole di mons. Bosio, c’è anche quello di mons. Bongiorni, spirito acutissimo e ortodosissimo»[10].

Nonostante il testo del parroco di Bozzolo non metta in discussione delle verità di fede, il 5 febbraio 1935 viene considerato “erroneo” dal Sant’Uffizio, che ne chiede l’immediato ritiro dal commercio[11]. La segnalazione al Sant’Uffizio proviene  dall’interno del clero cremonese, come risulta dalle ultime ricerche d’archivio.

Mons. Cazzani, ritenendo don Mazzolari uno dei suoi migliori sacerdoti, prima di esprimere al Sant’Uffizio la propria valutazione su don Primo, richiede come documentazione anche il giudizio del vescovo di Brescia mons. Tredici e del suo ausiliare mons. Bongiorni: il motivo è il fatto che don Primo a Brescia è come di casa e pertanto il suo pensiero è ben conosciuto. Mons. Tredici, nella sua risposta datata 15 febbraio, riferisce la valutazione positiva del suo vescovo ausiliare, per il quale don Primo era «molto buono, rispettoso e di facile contentatura. In chiesa si è sempre mostrato pronto a tutto, al confessionale principalmente, di guisa che ha lasciato anche nel clero ottima impressione. Sulla condotta sua non ho sentito mai la più piccola osservazione». Mons. Bongiorni aggiunge poi che «l’uditorio durante le prediche era sempre aumentato», che forse «la gente non sempre capiva quel modo un po’ strano di parlare, mentre la classe colta ne era entusiasta» e che nella predicazione di Mazzolari «non c’era nulla di incriminabile, espressioni ardite, ma poi spiegate in modo che toglieva ogni cattiva interpretazione»[12].

A Gussago da mons. Giorgio Bazzani 

In un tale difficile momento, don Mazzolari si reca per alcuni giorni di riposo e di riflessione a Gussago, dal suo caro amico mons. Giorgio Bazzani. Da qui, in data 18 febbraio 1935, scrive al card. Sbarretti, segretario del Sant’Uffizio, per comunicargli che si sottomette all’ingiunzione ricevuta, ma anche per spiegare il senso del proprio lavoro e chiedere quali sono le parti del libro considerate erronee. La lettera rimarrà senza risposta. Sempre da Gussago, scrive anche al suo vescovo, mons. Cazzani, al quale conferma la propria sottomissione al provvedimento che lo ha colpito. Non evita tuttavia di manifestare una profonda amarezza.

A proposito di mons. Giorgio Bazzani, parrroco di Gussago, don Mazzolari scrive:

Quando penso a mons. Bazzani, me lo vedo comparire davanti, la faccia ben stampata come le spalle, tra le care immagini dei vescovi Bonomelli e Gaggia. La presentazione avvenne infatti una decina di anni fa, in nome dei nostri due vescovi. Prima lo stimavo, adesso gli voglio bene. Gli voglio bene un po’ a modo mio e per motivi che a contarli farei ridere la gente solida, quella che crede che il bene quaggiù abbia sempre le basi quadrate e ragionate d’un trattato teologico. Mentre talora basta il riflesso di un affetto comune che dice la comunanza del pensiero meglio di cento discorsi: basta una parola, un gesto, un muovere di cigli, un bagliore del cuore o dell’intelligenza… strade misteriose e larghe che avviano, spalancano e saldano gli incontri e i riposi dell’amicizia[13].

Casa Tosana: un singolare cenacolo culturale e spirituale

Nel 1936 don Mazzolari, invitato come molte altre volte negli anni precedenti per un incontro in città, che si doveva tenere nel salone Da Cemmo presso il Conservatorio cittadino di piazza Tito Speri (oggi piazza Arturo Benedetti Michelangeli), conosce il dott. Paolo Tosana, sua moglie Rachele e la figlia Claudia. La famiglia Tosana, che gestisce una farmacia nel centro di Brescia, in via Moretto, chiede a don Mazzolari se può indicare loro una brava ragazza da assumere come cameriera. Così, grazie alla segnalazione di don Primo, per diversi anni una giovane di Bozzolo lavora in casa Tosana. Poche settimane dopo quel primo incontro, sempre nel 1936, ad una serata che vede don Mazzolari come relatore, per un disguido dovuto alla mancata diffusione degli avvisi, si presentano solo poche persone. Allora i coniugi Tosana invitano don Primo a casa loro a cena, allargando poi l’invito ai pochi presenti per una conversazione con il parroco di Bozzolo dopo cena.

Così, dal 1936-37, don Mazzolari inizia a frequentare la casa del farmacista dottor Paolo Tosana, la cui moglie, signora Rachele, è di origini cremonesi. Questo rapporto continuerà fino al 1959, anno della morte di don Primo e si svilupperà anche in un ricco scambio epistolare[14]. Ben presto, nella casa bresciana di via Moretto 67, la presenza di don Mazzolari richiama diverse persone. Non si tratta di assistere a conferenze del parroco di Bozzolo, bensì di partecipare a delle riflessioni e conversazioni sulla situazione del Paese e su problemi connessi con l’attualità. Questi incontri, nati dunque da circostanze del tutto fortuite e propiziati dall’amicizia e dalla stima che la famiglia Tosana nutre per Mazzolari, aiutano in quegli anni numerosi bresciani a resistere alla dittatura fascista e successivamente ad impegnarsi in prima persona, in campo politico o culturale, nella ricostruzione del Paese. A questa sorta di cenacolo spirituale e culturale partecipano, chi già prima della guerra e durante gli anni del conflitto, chi invece, poiché più giovane, nel dopoguerra, Stefano e Ercoliano Bazoli, Fausto e Stefano Minelli, Camillo e Giulio Togni, Mario Cassa, Vittorio Sora, Fabiano De Zan, Leonzio Foresti, Annibale Fada, Romeo Crippa, Antonio Bellocchio, Edoardo Malagoli, Massimo Avanzini, Gianfranco De Bosio, Gaetano Masetti e signora, Francantonio Biaggi, mons. Giuseppe Almici,  Pierfranco Biemmi, Giulio Onofri e diversi altri ancora. Si tratta di esponenti del mondo cattolico bresciano, ma anche di liberali e di zanardelliani. Le conversazioni vertono su tematiche di ordine religioso e sui più scottanti problemi del tempo. Tutti i convenuti sono alla ricerca di una parola chiara e aperta, che li aiuti a orientarsi in un tempo in cui, con la dittatura fascista, non vi è alcuna forma di libertà e giungono solo le informazioni manipolate e filtrate dal regime. Il mondo culturale del tempo è chiuso ad ogni confronto ed è assolutamente difficile e rischioso leggere autori stranieri. Don Mazzolari, che da anni invece studia e apprezza scrittori, come quelli francesi, proibiti dal regime, porta dunque aria nuova e fresca non solo in campo religioso, ma anche culturale. Allo stesso modo, per gli incontri che si svolgono negli anni successivi alla caduta del fascismo, la parola di don Mazzolari aiuta ad orientarsi in un contesto culturale, politico ed ecclesiale assai complesso e caratterizzato da forti rigidità. Le numerose lettere inviate da don Primo alla famiglia Tosana sono estremamente interessanti, in quanto in esse si rispecchiano gli stati d’animo del parroco di Bozzolo in rapporto alle vicende di cui è protagonista e testimone[15].

La prudenza di mons. Giacinto Tredici

In occasione dell’intervento del Sant’Uffizio contro La più bella avventura, mons. Tredici difende don Mazzolari, mettendo in risalto i suoi grandi meriti ottenuti a Brescia e provincia con le predicazioni e la partecipazione ad altre iniziative sempre molto apprezzate.

Successivamente, mons. Tredici, al pari dell’Episcopato Lombardo, prende le distanze dal parroco di Bozzolo, sottolineando la non opportunità di certi suoi interventi pubblici o delle sue prese di posizione in articoli giornalistici relativi alla necessità di un rinnovamento della Chiesa, al dialogo con i lontani, all’importanza di un più coraggioso impegno sui temi della pace, alla richiesta di un laicato più maturo, autonomo e responsabile. Così in una lettera al vescovo di Cremona, datata 5 febbraio 1937[16], mons. Tredici critica apertamente gli interventi di don Mazzolari sul quotidiano “L’Italia” di Milano inerenti il rapporto fra la Chiesa e i poveri. Alcuni anni dopo, segnalando al vescovo di Cremona che il Santo Padre non aveva gradito l’opuscolo di don Mazzolari Anch’io voglio bene al Papa, mons. Tredici suggerisce al suo collega di obbligare don Mazzolari a «sottoporgli prima i suoi libri, anche se li stampa altrove»[17].

E comunque tra il marzo e l’aprile del 1943, tra i relatori invitati a tenere in episcopio delle conferenze, oltre a Giorgio La Pira, Igino Giordani e altri, vi è anche don Primo Mazzolari, a testimonianza del fatto che mons. Tredici, pur non condividendo tutte le posizioni del parroco di Bozzolo, certamente lo stimava.

La collaborazione con i guelfi bresciani e milanesi

Nel 1928 un giovane milanese, Piero Malvestiti, attivista di Azione Cattolica, costituisce un “Movimento Guelfo”  assieme ad alcuni amici, come Gioacchino Malavasi e Armando Rodolfi, unitamente ai bresciani Andrea Cazzani, Angelo Pina  e Pietro Cenini. Il nome si richiama al guelfismo dell’età comunale, un’età vista come simbolo di libertà e di democrazia. Il Movimento Guelfo intende opporsi al fascismo, diffondendo gli ideali di libertà e di democrazia; si sviluppa soprattutto a Milano, Brescia, Bergamo, nel Veneto, a Torino e a Roma. La prima grande ed eclatante manifestazione del Movimento Guelfo è la diffusione nel maggio del 1931 in piazza San Pietro, a Roma, in occasione delle celebrazioni per il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum, di un manifesto di denuncia del fascismo e della sua politica: nel manifesto si afferma che di fronte al “disordine costituito” e alla tirannide vi è il diritto alla resistenza e alla ribellione. L’iniziativa ha grande risalto, in quanto a Roma per l’occasione vi sono rappresentanti di numerosi Paesi del mondo, che si trovano così tra le mani quel documento. Il manifesto era stato stampato clandestinamente nella tipografia “S. Agostino” di Oliviero Ortodossi, a Sarezzo, e portato a Roma dai bresciani Pietro Cenini e Andrea Cazzani, che lo diffusero con l’aiuto anche di Angelo Pina. Il manifesto[18] circola per molto tempo e viene portato anche all’estero. Dopo due anni di ricerche e di indagini, il 19 marzo 1933 i dirigenti del Movimento Guelfo, Malvestiti, Malavasi e Rodolfi, unitamente al tipografo bresciano Oliviero Ortodossi e a un suo giovane operaio di Villa Carcina, Ettore Bassani, sono arrestati. Dopo dieci mesi di carcere, il 30 gennaio 1934 vi è il processo, con la sentenza di condanna: cinque anni di reclusione per i due capi del Movimento Guelfo, Malvestiti e Malavasi; tre anni per Rodolfi; due anni per Oliviero Ortodossi; Ettore Bassani viene invece assolto. Dopo alcuni mesi di carcere, anche per l’interessamento della Segreteria di Stato Vaticana, i quattro vengono scarcerati, ma sottoposti a libertà vigilata.

Nel 1937-38 i giovani neoguelfi riprendono i contatti fra di loro, con l’obiettivo di attivarsi nuovamente contro il fascismo. Le riunioni si tengono a Milano, in case private. Al gruppo iniziale si uniscono altre persone, tra cui Achille Grandi, Luigi Meda, Stefano Jacini, Enrico Falk, Edoardo Clerici, Gaetano Carcano, Giulio Vaggi, che diverrà uno dei più stretti collaboratori di don Mazzolari. Da Brescia partecipano a questi incontri clandestini Pietro Cenini, Pietro Bianchini e altri ancora. Da Cremona, arriva don Primo Mazzolari, che diviene ben presto uno dei principali punti di riferimenti dei giovani del Movimento Guelfo.

Anche Pietro Cenini ha ricordato questi incontri milanesi:

«Non abbiamo mai mollato, come altri del resto delle diverse famiglie politiche di opposizione. Ci ha sorretto una fede incrollabile, anche quando su mezza Europa scorazzavano le armate naziste. Sembra un sogno. Eppure, proprio in uno di quei drammatici giorni in cui sinistramente si profilava la sorte della Francia e la stessa Inghilterra era minacciata d’invasione, ci si riuniva a Milano. Erano presenti anche don Primo Mazzolari ed Achille Grandi. Tornando la notte in treno con Pietro Bianchini, si faceva proprio il discorso della incrollabilità della fede. Certo, nel colmo della bufera, J. Maritain poteva scrivere: “Vanno di successo in successo verso la morte”, riferendosi, è chiaro, al lugubre trionfo dei dittatori. Aveva ragione, ma era Maritain! Comunque, ciò che vale in ogni tempo e nelle circostanze più difficili e tristi, è la sofferta indicazione della coscienza che non indica quasi mai la scelta più comoda e priva di rischi, ma quella che è più ricca di autentico valore e garante di vero successo»[19].

Quattro mesi nascosto a Gambara

La contrarietà di don Mazzolari al fascismo è stata netta fin dall’inizio: per il parroco di Bozzolo fra fede cristiana e ideologia fascista non vi era alcuna possibilità di accordo. Già il 29 ottobre 1922 era stato minacciato formalmente dai fascisti del suo paese. Successivamente era stato vittima di un attentato e fatto oggetto di diverse denunce e indagini ad opera delle autorità fasciste. Lo stesso Farinacci, uno dei maggiori gerarchi fascisti, l’aveva preso di mira pubblicamente sul giornale cremonese “Il regime fascista”. Dopo l’8 settembre 1943 subito don Mazzolari si attiva per la Resistenza, favorendo prima il sorgere di un movimento partigiano, successivamente coordinando e sostenendo direttamente vari gruppi della zona di Cremona e Mantova, unitamente a due suoi parrocchiani, Sergio Arini e Pompeo Accorsi, che diverranno poi responsabili della brigata mantovana delle “Fiamme Verdi”. Don Mazzolari si prodiga anche per dare assistenza, tramite la S. Vincenzo parrocchiale, ai fuggiaschi e ai profughi che arrivano a centinaia a Bozzolo e nei paesi vicini, oltre che per ospitare e salvare gli ebrei, nascondendoli anche nell’ospedale civile del paese. Viene inoltre organizzata una radio clandestina e si prendono contatti con gli alleati, per ricevere, con lanci paracadutati, del materiale utile alla Resistenza. Per tutte queste attività, don Mazzolari viene ben presto individuato e strettamente sorvegliato. Un paio di volte viene fermato, portato in caserma e sottoposto a stringenti interrogatori. Dopo l’arresto e la fucilazione dei suoi due giovani parrocchiani, Sergio Arini e Pompeo Accorsi, avvenuta il 31 agosto 1944, il destino è segnato anche per don Primo, che già due volte era stato fermato e interrogato dai nazifascisti: la sua attività in favore della Resistenza è ormai provata. Il rischio per don Primo non è solo di un arresto certo, bensì anche della probabilità di finire a sua volta davanti ad un plotone di esecuzione. Avvertito da un addetto al comando tedesco di Mantova dell’emissione di un nuovo mandato di cattura contro di lui, don Primo il 31 agosto, alle sei di sera, in bicicletta, accompagnato da un giovane parrocchiano, Rinaldo Zangrossi, se ne va da Bozzolo e si dirige nel bresciano, a Gambara, dove giunge dopo un avventuroso e rischioso viaggio. Qui è parroco un suo vecchio amico, don Giovanni Barchi, che don Primo aveva conosciuto a Verolanuova, quando entrambi erano novelli sacerdoti. I rapporti tra i due non erano mai venuti meno, anzi si erano rinsaldati quando tutti e due avevano perso un fratello nella prima guerra mondiale.

Don Mazzolari rimane nascosto nella canonica di Gambara per circa quattro mesi, dagli inizi di settembre del 1944 a fine dicembre: non esce quasi mai, solo alla sera qualche passo nell’orto o nel cortile in compagnia di don Barchi. Al mattino presto, alle quattro e mezza, talvolta si reca al convento delle suore, non lontano, a celebrarvi la Messa. Durante il giorno legge e scrive; quando può, soprattutto la sera tardi, ascolta Radio Londra per avere notizie in merito all’andamento della guerra. L’attività di don Barchi, di aiuto anche ad altri ricercati dai tedeschi e dai fascisti, ben presto inizia a destare sospetti e in canonica più volte vi sono delle ispezioni, ad opera di soldati repubblichini o di SS, durante le quali don Mazzolari o si nasconde in uno sgabuzzino, o, vestito da operaio, svolge senza dare nell’occhio alcuni lavori. Solo dopo la guerra, a Gambara, la popolazione viene a sapere che in canonica per quattro mesi si era rifugiato don Mazzolari. Durante questi quattro mesi torna alcune volte a Bozzolo, di nascosto e con gravi rischi, per avere notizie dei familiari e per i contatti con quanti sono impegnati nella Resistenza. Con il passare del tempo il rifugio di Gambara non è più sicuro; così il 31 dicembre 1944 don Mazzolari con la sua bicicletta ripara da un cugino, a Scandolara Ripa d’Oglio, per poi tornare in incognito a Bozzolo. Qui rimane in una stanzetta della canonica, al secondo piano, fino alla Liberazione, pronto in ogni momento a fuggire.

L’amicizia con Stefano Bazoli

Tra i protagonisti degli incontri in casa Tosana e tra gli animatori del movimento “Comunità Nuova” vi è Stefano Bazoli, che verrà eletto deputato alla Costituente e successivamente rieletto come parlamentare. Stefano Bazoli è figlio di Luigi Bazoli, uno dei maggiori esponenti del mondo cattolico bresciano tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Il primo incontro fra il parroco di Bozzolo e Stefano Bazoli avviene a seguito della lettura del libro La più bella avventura e probabilmente si verifica nella libreria di Vittorio Gatti in piazza del Duomo, un naturale luogo di incontro per gli antifascisti e gli intellettuali bresciani.

Il rapporto fra don Mazzolari e Stefano Bazoli si sviluppa in diversi incontri a Brescia e a Bozzolo, oltre che in un ricco carteggio[20]: dalle lettere di don Mazzolari emergono i problemi e le difficoltà che il parroco di Bozzolo sta incontrando con le sue iniziative.

Su “Adesso” del 1° luglio 1950 don Mazzolari pubblica un lungo editoriale, «in risposta ad un amico deputato», di cui il parroco di Bozzolo tace il nome: si tratta in realtà di Stefano Bazoli, come ha rivelato don Enzo Giammancheri in un articolo[21]. Stefano Bazoli, in una precedente lettera, aveva descritto l’ambiente romano come politicamente soffocante e inquinato, motivo per cui era tentato di abbandonare l’impegno parlamentare. Su questo chiedeva un parere a don Mazzolari. Per Stefano Bazoli poi all’interno della Democrazia Cristiana l’elevato consenso si stava trasformando in una sorta di inaccettabile prepotenza numerica. La risposta di don Primo, affidata a un lungo editoriale che appare su “Adesso”, è chiara e precisa.

[…]. Di fronte a questa piega della maggioranza, vista l’impossibilità di “buttare ogni cosa all’aria” e di impedire che certe cose avvengano, Lei mi chiede con la voce umile di “un povero peccatore politico”, se invece di ricorrere “alla mortificante sofferenza di numerose periodiche ricorrenti diserzioni parziali”, non Le sia consentito “con una sola radicale diserzione” di liberarsi dall’inquinato e soffocante ambiente romano e “tornare a piantar cavoli nell’orto di casa”.

È una tentazione tanto naturale e logicissima, ma è sempre una tentazione, cioè un suggerimento del diavolo, il quale sarebbe soddisfatto di vederci rompere la comunione con i nostri compagni di squadra, dietro pretesto che non c’è niente da fare.

A un cristiano (ora accuso me stesso che in tale materia sono mille volte più tentato di Lei e ben più peccatore) non conviene, se non vuol rinnegare lo Spirito, né il gesto di Sansone (a Montecitorio non c’è neanche una colonna), né quello di Achille, anche se la tenda fosse una Tebaide.

Solo colui che “perde la propria anima la salva”. E la si perde evangelicamente, rimanendo, come il grano nella terra, dove Dio ci ha posto.

Chi rimane, a costo di marcire, dichiara di credere veramente nella Redenzione dell’uomo e di ogni sua condizione: chi rimane, dichiara di amare veramente e aiuta il grano a germogliare e il lievito a fermentare.

Come e quando si levi il grano nel campo e il lievito nella massa di farina, Dio solo lo sa; noi sappiamo, ed è ciò che importa, che Egli ha bisogno anche di un grumo di fango per fare un po’ di novità cristiana a Montecitorio e dappertutto. […].

La vocazione di un cristiano, mio caro amico, ovunque sia egli chiamato a operare, è una vocazione crocifissa[22].

Nel marzo 1952 Stefano Bazoli favorisce un incontro a Roma fra Primo Mazzolari e Concetto Marchesi, esponente di punta del Partito Comunista. Per non dare adito a  polemiche, l’incontro di Mazzolari con Concetto Marchesi avviene in gran segreto.  L’incontro dura tutto il pomeriggio e per volere sia di Mazzolari che di Marchesi è presente solamente l’on. le Bazoli. Pur nella diversità delle posizioni, i due si trovano uniti nell’ideale della difesa della povera gente, nell’amore alla verità e alla giustizia.   Stefano Bazoli ricorderà come «questo fu uno degli incontri più commoventi e più edificanti che io abbia avuto nella mia lunga vita»[23].

Un’ulteriore testimonianza dell’amicizia intercorsa fra Stefano Bazoli e don Primo, ci viene dal commosso ricordo di Luigi Bazoli, figlio di Stefano Bazoli, riguardante la partecipazione sua e del padre al funerale di don Mazzolari:

«Sono stato diretto testimone dell’ultimo saluto a don Primo, allorché accompagnai papà a Bozzolo per i funerali. Ricordo il turbamento e l’emozione, entrando nella chiesa parrocchiale gremita di gente; qualcuno stava predicando e poco a poco ci rendemmo conto che quella voce, che sembrava conosciuta, era la sua voce, la voce di don Primo, con il suo timbro inconfondibile, le sue pause, il suo calore, la sua tenerezza, la sua stanchezza… Era, apprendemmo poi, la registrazione di una sua predica della settimana santa, di pochi giorni prima.

Un’emozione profonda invase anche noi, come tutta la gente raccolta in silenzio in chiesa, nell’udire e ascoltare la sua voce mentre ne vedevamo il feretro deposto in terra davanti all’altare. E la commozione divenne irrefrenabile quando fu letto il suo testamento: vedevo le lacrime di tutti, nei banchi accanto a noi, di fronte alla testimonianza ultima dell’amore e della povertà di don Primo.

Tra questi due punti ci sono stati i lunghi anni della profonda trepida amicizia tra papà e don Mazzolari. Ad alcuni incontri anch’io fui presente: da quelli nella cordiale accogliente casa Tosana, ad alcune visite a Bozzolo, nello studio di don Primo, attorno alla sua scrivania, incredibilmente riempita di pile di carta e di libri»[24].

Claudia Tosana, ricordando gli incontri di don Mazzolari presso la propria abitazione di via Moretto 67, ha scritto che «ci è impossibile pensare a quegli incontri senza ricordare Stefano Bazoli, tanto egli era parte viva e illuminante di quelle serate. I lunghi silenzi che precedevano il suo parlare lento e meditato, non erano vuoti, ma anzi pieni di quella tensione interiore di cui ci faceva dono, intervenendo con un’eccezionale acutezza di intuizioni che vorrei dire “profetica”»[25].

In una vecchia bicocca della Valcamonica

Grande è l’amarezza di don Mazzolari per un nuovo provvedimento preso dal Sant’Uffizio nei suoi confronti e comunicato al vescovo di Cremona in data 28 giugno 1954:

Sac. Primus Mazzolari, parochus dioecesis Cremonensis, suspendatur a verbo divino predicando extra suam paroeciam (Sia proibito al sac. Primo Mazzolari, parroco della diocesi cremonese, di predicare fuori della propria parrocchia, ndr).

Si tratta del più duro dei numerosi provvedimenti che hanno riguardato don Mazzolari. In caso di inadempienza nei confronti di quanto prescritto nel decreto, si minaccia addirittura la rimozione dalla parrocchia. Don Mazzolari risponde con l’obbedienza all’autorità ecclesiastica, pur non condividendo assolutamente i motivi di tali provvedimenti e non comprendendo perché l’autorità venga esercitata senza alcun tipo di dialogo e di confronto con chi è accusato di sbagliare. L’obbedienza di don Mazzolari non è cieca e servile, bensì responsabile e vigilante: don Primo paga di persona per le proprie posizioni, ma non viene meno a quanto la sua coscienza gli suggerisce. Nelle situazioni contingenti e particolari, pur se aiutati dai pronunciamenti del Magistero, il luogo delle decisioni concrete è la coscienza morale individuale. «Nella Chiesa si ubbidisce in piedi, con pura parola e libero silenzio»[26], scrive don Mazzolari, ad indicare che si ubbidisce con dignità, senza delegare ad altri ciò che appartiene alla propria coscienza.

Poche settimane dopo il decreto del Sant’Uffizio, Don Mazzolari si reca a Garda di Sonico in Valcamonica, dove le suore canossiane di Cremona hanno una casa, per un periodo di riposo e di riflessione. Da qui invia una lettera a Rienzo Colla, il suo fedele editore vicentino de La Locusta. È una lettera piena di amarezza.

Una settimana di eremo, in una vecchia bicocca della Valcamonica, mi ha restituito a me stesso e alla divina volontà. Preparai anche il testamento: il che vuol dire che sono pronto a salpare. A Roma non sanno che, per “certi ostacoli”, basta un po’ di pazienza e poi la morte provvede alla bisogna di sgombero? Devono essere ben poco sicuri se dà loro fastidio un povero vecchio parroco sul punto di andarsene a Dio[27].

Tu non uccidere: l’origine del libro dalla provocazione di un gruppo di giovani collaboratori dell’editrice La Scuola

In un contesto di durissima guerra fredda e di forte contrapposizione ideologica, mentre divampa la guerra di Corea e da più parti si teme un nuovo conflitto mondiale, nell’agosto 1950 arrivano a don Mazzolari, a Bozzolo, due lettere  nella stessa busta. La prima è indirizzata alla redazione di “Adesso”, mentre la seconda è rivolta personalmente a don Mazzolari.

Nelle due lettere, i giovani firmatari, che si definiscono tutti lettori e sostenitori di “Adesso”, sottolineano i propri problemi di coscienza e chiedono risposte precise e non evasive o generiche. Questi i loro  nomi: Giovanni Cristini[28], Lino Monchieri, Franco Nardini e Gabriele Calvi di Brescia; Marco Del Corno e Mauro Laeng di Milano; Giuseppe Gilardini di Pavia; Matteo Perrini di Taranto; Gaetano Santomauro di Bari. Tutti questi giovani gravitano attorno alla casa editrice La Scuola di Brescia e alle sue riviste. I loro “maestri” e punti di riferimento sono Vittorino Chizzolini e Marco Agosti, con i quali periodicamente si ritrovano negli incontri per insegnanti organizzati dall’editrice La Scuola a Pietralba, una località poco distante da Bolzano.

Don Primo risponde su “Adesso” del 15 settembre 1950 agli interrogativi posti dal gruppo di giovani, ma le tematiche poste da tali lettere vengono poi riprese in una serie di scritti, suggeriti anche da altre occasioni.

Il punto di approdo finale di tutta questa riflessione di don Mazzolari sul tema della pace è condensato nel libro Tu non uccidere, pubblicato anonimo nel 1955 dalla casa editrice La Locusta di Vicenza. I lettori di “Adesso” sanno benissimo chi è l’autore, ma la radicalità delle posizioni che vi sono espresse consiglia una certa prudenza per il rischio di un immediato intervento censorio. Così il testo, uscendo anonimo, può circolare e suscitare dibattito. Nel febbraio 1958 il Sant’Uffizio ne ordina il ritiro, ma ormai il libro, uscito già in seconda edizione, è diffuso in tutto il Paese. Nel 1965, a sei anni dalla morte di don Primo, Tu non uccidere sarà pubblicato con il nome dell’autore.

Lettera ai vescovi della val Padana: quattro i sacerdoti bresciani firmatari

Il 1° marzo 1958 su “Adesso”  viene pubblicato un documento con il titolo “Lettera ai vescovi della val Padana”. Ispirata da don Mazzolari, la lettera è firmata anche da altri sette sacerdoti. Quattro di questi sono bresciani: don Giovanni Barchi (parroco di Gambara), don Samuele Battaglia (curato di Gambara), don Giuseppe Chiodi (parroco di Fiesse), don Gino Porta (curato di Gottolengo).

L’obiettivo della lettera è quello di sollecitare i vescovi a intervenire con la loro parola e con il loro magistero a favore dei braccianti, dei salariati agricoli e dei piccoli contadini, che si trovano in una triste e difficile situazione. La lettera ha vasta risonanza in tutta Italia: ne parlano vari quotidiani e riviste, tra cui “L’Unità”, “L’Avanti”, “La Stampa”, “Il Messaggero”, “L’Espresso”. Viene pubblicata anche da “La Voce del Popolo” dell’8 marzo 1958.

I vescovi interpretano l’iniziativa come una mancanza di fiducia nei loro confronti, come una sorta di richiamo mosso loro da alcuni sacerdoti. I vescovi lombardi discutono della questione “Mazzolari-Adesso” durante l’Assemblea Plenaria che svolge a Brescia l’11-12 gennaio 1959, sotto la presidenza del card. Montini. Viene proposta una sconfessione ufficiale sia per “Adesso” che per il parroco di Bozzolo. Il card. Montini più prudentemente si assume l’incarico di un colloquio chiarificatore con don Mazzolari, rinviando a dopo gli eventuali provvedimenti.

L’incontro con il card. Montini avviene il 28 gennaio 1959 e don Mazzolari ne dà un resoconto nel suo Diario[29]. Di fronte alle contestazioni del futuro Paolo VI, riferite ai suoi rapporti con “Adesso” e agli articoli pubblicati, don Mazzolari chiarisce il proprio punto di vista, manifestando sorpresa e amarezza per tanto accanimento nei suoi confronti.

Il cardinale di Milano, G. Battista Montini, in una lettera al vescovo di Cremona, Bolognini, lo informa dell’incontro avuto con don Primo e conferma i precedenti provvedimenti presi dal Sant’Uffizio, ma nel contempo non ne annuncia altri in quanto aveva avuto conferma che don Mazzolari sarebbe stato ricevuto da papa Giovanni XXIII. Dunque si restava in attesa dell’esito dell’udienza.

Ed infatti il 5 febbraio 1959, assieme ad un piccolo gruppo di sacerdoti guidati dal vescovo di Reggio Emilia, mons. Beniamino Socche[30], don Mazzolari viene ricevuto in udienza da papa Roncalli. Dopo tante amarezze, finalmente un momento di grande emozione e gioia, una sorta di riconciliazione con la Chiesa. Don Primo può consegnare al papa il suo libro I preti sanno morire. Giovanni XXIII lo accoglie con la famosa frase: «Ecco la tromba dello Spirito Santo in val Padana». Per poi aggiungere: «Non sono mai venuto a Bozzolo a trovarla, ma quando da Venezia mi recavo a Roma, in aereo, e mi dicevano, siamo sul mantovano, pensavo a lei e le mandavo una benedizione»[31]. Per don Mazzolari l’incontro con Giovanni XXIII è motivo di una gioia grande.

Al ritorno da Roma, i problemi di salute che don Mazzolari ha da tempo si aggravano. Il 5 aprile, domenica in Albis, durante la Messa delle ore 11, don Mazzolari si sente male: è colpito da un’emorragia cerebrale. Dopo sette giorni di agonia all’ospedale S. Camillo di Cremona, don Primo muore a 69 anni nella notte del 12 aprile 1959.  Sul numero di “Adesso” del 15 aprile 1959 compare l’ultimo articolo di don Mazzolari, scritto alcuni giorni prima di essere colpito dal malore che lo ha portato alla morte. Il titolo è La pace e le bombe. L’articolo si riferisce alla decisione del Parlamento italiano di autorizzare nuove installazioni di rampe missilistiche nel nostro Paese.

Dopo la morte di don Primo, a Bozzolo si crea da subito un Comitato con il compito di far conoscere e diffondere gli scritti e l’opera del proprio parroco. Venuto a sapere ciò, il Sant’Uffizio, con comunicazione del 23 luglio 1960, ricorda al vescovo di Cremona i provvedimenti ancora in essere a carico di don Mazzolari e lo invita a farli rispettare. Insomma, una censura postuma. Lo stesso Sant’Uffizio comunica al vescovo ausiliare di Brescia, mons. Guglielmo Bosetti, che «l’imprimatur del 1934 concesso a La più bella avventura non ha più valore e quindi non deve essere più riprodotto»; lo incarica poi di far presente all’editore Gatti tale divieto[32].

I rapporti con Paolo VI

I rapporti fra don Mazzolari e Giovan Battista Montini risalgono agli inizi degli anni Trenta. Probabilmente i loro primi incontri avvengono presso l’Oratorio della Pace di Brescia, in quella sorta di cenacolo culturale e ecclesiale che ambedue frequentano assiduamente. I loro rapporti continuano anche quando Giovan Battista Montini viene chiamato per incarichi nazionali a Roma, come responsabile nazionale della Fuci. In tale veste, Giovan Battista Montini organizza la “Pasqua Universitaria”, un’iniziativa di formazione, rivolta agli universitari, istituita nel 1930. Più volte a predicare viene chiamato anche don Primo Mazzolari: per la Pasqua del 1932 a Genova, per quella del 1933 a Pisa, poi nel 1934 a Milano, nel 1935 e nel 1937 a Padova, nel 1936 a Pavia e Verona, nel 1938 a Bologna e Perugia, nel 1939 e nel 1941 a Firenze, nel 1940 a Parma e Torino.

Giovan Battista Montini, in qualità di cardinale di Milano, con don Primo ha rapporti contrastanti. Da un lato lo invita a predicare nella grande “Missione” del 1957: don Mazzolari parla ai carcerati, ai tranvieri, agli intellettuali. Le sue omelie sono molto seguite e appassionate, come risulta da alcune registrazioni rimaste. Con lui a Milano predicano, tra gli altri, alla “Missione”, anche David Maria Turoldo, Luigi Santucci, Ernesto Balducci, Camillo De Piaz, Umberto Vivarelli, Nazareno Fabbretti[33]; con questo gruppo di amici in quelle giornate milanesi don Mazzolari si ritrova diverse volte a casa dello scrittore Luigi Santucci. Tali incontri rappresentano per don Primo un motivo di grande gioia e di consolazione.

Dall’altro lato Paolo VI, condividendo la diffidenza dell’episcopato lombardo per gli interventi di don Primo in materia di rinnovamento della Chiesa, di dialogo con i lontani, di ecumenismo, di impegno per la pace, aveva ripreso don Primo e gli aveva ricordato i divieti cui era sottoposto. Tuttavia, dopo la morte di don Mazzolari, Paolo VI riconoscerà la sua statura profetica. Nel nuovo clima diffusosi con il Concilio Vaticano II, la validità delle posizioni assunte da don Primo emerge in tutta la sua evidenza e Paolo VI lo riconosce chiaramente, ricevendo in S. Pietro il 1° maggio 1970 un gruppo di bozzolesi per la benedizione della lampada che sarebbe stata posta sulla tomba di don Mazzolari:

«Coltivate la memoria di don Primo, imitate il suo amore e la sua fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa.  Per tanti anni, con fede generosa e dedizione piena, fu guida e padre delle vostre anime. […]. C’è chi va dicendo che io non ho voluto bene a don Primo. Non è vero: gli ho voluto bene. Certo, sapete anche voi: non era sempre possibile condividere le sue posizioni: camminava avanti con un passo troppo lungo e spesso noi non gli si poteva tener dietro! E così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. È il destino dei profeti»[34].

È opportuno ricordare che in particolare Ludovico Montini, fratello di Paolo VI, nutriva grande stima e considerazione per don Primo, al pari della moglie, Giuseppina Folonari, che era seguita spiritualmente proprio dal parroco di Bozzolo.

Gli interventi di don Mazzolari a Brescia e in provincia

Numerosissimi sono stati gli interventi di don Mazzolari nel bresciano per predicazioni, ritiri, esercizi ecc. In città più volte venne chiamato dalle suore canossiane per predicare gli esercizi alle signore, alle signorine, alle maestre. Similmente, su invito dei Padri della Pace, in diverse occasioni guidò gli esercizi per i sacerdoti a Villa S. Filippo. Intervenne alcune volte anche ad incontri che si tennero presso il palazzo vescovile e il seminario diocesano. Tra le parrocchie cittadine, diversi sono stati gli interventi a S. Nazaro e Celso.

In provincia, i paesi che hanno visto più volte la presenza di don Mazzolari sono stati Verolanuova, Gambara, Pontevico, Palazzolo sull’Oglio, Bagnolo Mella, Edolo, Manerbio, Montichiari, Breno, Verolavecchia[35].

Per chiudere questa relazione, possiamo riprendere la conclusione di un articolo di don Mario Pasini apparso su La Voce del Popolo, del 16 aprile 1959, pochi giorni dopo la morte di don Primo:

 L’unica volta che lo incontrai, alla fine di una vivace discussione durante la quale avevo obiettato alle sue affermazioni, mi disse: «Fra 50 anni mi darete ragione e direte che le mie idee sono sempre state le vostre». Allora mi sembrò un atto di superbia. Oggi sono convinto che non fra 50 anni, ma fra 20 invocheremo il nome di Mazzolari per farci perdonare troppe ottusità e troppe insensibilità di oggi.

Il suo nome sarà sfoderato come una bandiera per affermare una presenza che oggi non abbiamo avuto là, in quelle trincee sulle quali egli si è esposto da solo, anche per noi.

Raccogliamone l’eredità e, senza presumere la sua intelligenza e la sua virtù, in umiltà seguiamone l’esempio: di dignità, di coerenza, di coraggio e soprattutto di sacrificio. Egli ci ha insegnato soprattutto a pagare generosamente di persona e a soffrire – senza lamentarsi della Croce – per le idee e i valori spirituali che ci onoriamo di servire.

NOTE 

[1] Il convegno, che si è tenuto al Centro Pastorale Paolo VI, è stato organizzato dalla Diocesi di Brescia in collaborazione con Azione Cattolica, Acli, Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura, Fondazione Civiltà Bresciana, Società di San Vincenzo De Paoli, Pax Christi.

[2] Anselmo Palini,  coniugato, tre figli, vive e lavora in provincia di Brescia. È  docente di Materie Letterarie nella Scuola Superiore. Nei suoi studi ha approfondito in particolare i temi della pace, dell’obiezione di coscienza, dei diritti umani e, più recentemente, le problematiche connesse con i totalitarismi nel XX secolo. Fra i suoi ultimi libri, ricordiamo: Bambini e ragazzi nel mondo, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2000; Le carte dei diritti, La Scuola, Brescia 2003; Testimoni della coscienza. Da Socrate ai nostri giorni, Ave, Roma 2005, prefazione di Franco Cardini, premio Capri San Michele 2006 sezione Giovani; Voci di pace e di libertà. Nel secolo delle guerre e dei genocidi, Ave, Roma 2007, prefazione di Paolo Giuntella; Primo Mazzolari. Un uomo libero, Ave, Roma 2009, postfazione di mons. Loris Francesco Capovilla; Don Primo Mazzolari, Brescia e i bresciani, edizione a cura dell’Opera Diocesana San Vincenzo di Sales, marzo 2009, con introduzione di mons. Luciano Monari. Ha pubblicato inoltre articoli, saggi e inserti su varie riviste.

[3] P. Mazzolari, Quasi una vita. Lettere a Guido Astori (1908-1958), Dehoniane, Bologna 1979. Si veda anche: G. Astori, Il mio amico don Primo Mazzolari, La Locusta, Vicenza 1971.

[4] Carlo Manziana (1902-1997), della Congregazione dei Padri filippini dell’Oratorio della Pace di Brescia, è uno dei componenti di quel gruppo di educatori straordinari (i padri Bevilacqua, Caresana, Olcese, Marcolini…) che hanno fatto per lunghi anni dell’Oratorio della Pace uno dei centri culturali e religiosi più importanti di Brescia. Il 1° gennaio 1944 padre Manziana viene arrestato per la sua attività antinazista e deportato a Dachau, dove resta recluso per quindici mesi. Tornato in Italia, viene nominato vescovo e guida la diocesi di Crema dal 1964 al 1982.

[5] C. Manziana, Don Mazzolari e l’Oratorio della Pace, in “Città e Dintorni”, 23/1990, p. 88.

[6] P. Mazzolari, Diario IV, (1938-25 aprile 1945), nuova edizione a cura di A. Bergamaschi, Dehoniane, Bologna 2006. p. 129.

[7] C. Manziana, Don Mazzolari e l’Oratorio della Pace, in “Città e Dintorni”, 23/1990, pp. 56-57.

[8] Sui rapporti fra Mazzolari e l’editore Gatti si vedano: A. Fappani, Il “suo” editore, in Ricordi e documenti mazzolariani, La Voce del Popolo, Brescia 1969, pp. 30-48; Paolo Corsini, Il “prete di campagna” e il suo editore, in Storia in Lombardia, 2 (1990), pp. 75-126. Una versione più ridotta di questo studio di Paolo Corsini è riportata in “Città e Dintorni”, 23/1990, pp. 23-45.

[9] Si veda al riguardo F. Molinari (a cura di), La più bella avventura e le sue “disavventure”,  Fondazione don Primo Mazzolari, Bozzolo 1985.

[10] L. Bedeschi, Obbedientissimo in Cristo …… lettere di don Primo Mazzolari al suo vescovo 1917-1959, Mondadori, Milano 1974, pp. 101-102. Mons. Emilio Bongiorni, che aveva già invitato don Primo a predicare a San Nazaro, era vescovo ausiliare di Brescia.

[11] Il documento del Sant’Uffizio è riportato da L. Bedeschi in Obbedientissimo in Cristo…… lettere di don Primo Mazzolari al suo vescovo 1917-1959, Mondadori, Milano 1974, p. 107.

[12] L. Bedeschi, Obbedientissimo in Cristo, op. cit., p. 109.

[13] A. Fappani, Ricordi e documenti mazzolariani, La Voce del Popolo, Brescia 1969, p. 27.

[14] Queste lettere sono state donate dalla famiglia Tosana all’Università Cattolica di Brescia, affinché fossero a disposizione degli studenti che intendevano svolgere la tesi di laurea su don Mazzolari.

[15] Anche per queste lettere si rimanda al nostro testo Don Mazzolari, Brescia e i bresciani, op. cit., e a A. Fappani, Ricordi e documenti mazzolariani, pp. 53ss.

[16] Tale lettera è riportata da L. Bedeschi in Obbedientissimo in Cristo, op. cit., p. 138.

[17] In L. Bedeschi, Obbedientissimo in Cristo, p. 139.

[18] Il testo completo del manifesto in P. Scoppola, La Chiesa e il fascismo. Documenti e interpretazioni, Laterza, Bari 1971, pp. 295-298.

[19] Pietro Cenini, I cospiratori guelfi. Ricordi di una battaglia antifascista iniziata nel 1919 e non più interrotta, in “Brescia ieri”, n. 3, 1974. Un intervento di Pietro Cenini apparirà sul n. 3 del 1° febbraio 1950 della rivista che don Mazzolari fonda nel 1949, “Adesso”.  L’articolo, dal titolo Per incontrarci camminare da ambo le parti, si inseriva in un dibattito aperto sulla rivista in merito al rapporto fra cattolici e socialisti. In riferimento a questo intervento, don Mazzolari, dopo averlo letto prima che fosse pubblicato, si rallegrò con Cenini dicendogli, in una breve lettera del 16 gennaio 1950, che ci è stata messa a disposizione da Alberto Cenini: «Grazie, caro Piero, hai centrato il problema».

[20] A. Fappani ha pubblicato nei suoi Ricordi e Documenti Mazzolariani, pp. 87-91, alcune delle lettere inviate da don Primo a Stefano Bazoli.

[21] “Giornale di Brescia”, 8 ottobre 1981, riprodotto in Stefano Bazoli. Ricordi e testimonianze, op. cit., pp. 94-98.

[22] “Adesso”, 1° luglio 1950.

[23] Ezio Franceschini, Concetto Marchesi, Antenore, Padova 1978, p. 56.

[24] Luigi Bazoli, Uomini di frontiera: don Primo e Stefano Bazoli, in “Città e Dintorni”, 23/1990, pp. 52-55.

[25] In Stefano Bazoli. Ricordi e testimonianze, op. cit., p. 84. È opportuno ricordare un’importante iniziativa organizzata a Brescia da Stefano Bazoli, gli “Incontri di Cultura”, che, tra maggio e giugno del 1959, portarono in città, nel salone “Da Cemmo”, alcune delle voci più autorevoli del mondo intellettuale italiano, da Carlo Bo a Norberto Bobbio, da Ugo Spirito a Arturo Carlo Jemolo, da Eugenio Garin a Cornelio Fabro. Si trattò di incontri, da molti guardati con sospetto e fortemente avversati, che favorirono un confronto con orientamenti culturali, politici e religiosi fra loro assai diversi. Questa iniziativa, ha scritto Mino Martinazzoli, «corrispondeva ad una domanda diffusa e non a caso le riuscì di coinvolgere un intenso e gremito pubblico di giovani. Non che vi fosse sottesa un’intenzione politicamente rilevabile, ma non può sfuggire il senso penetrante, per non dire provocatorio, di un’operazione che riusciva, complessivamente, a dar conto di ciò che si agitava sotto la coltre dei conformismi, dentro territori apparentemente compatti» (In Stefano Bazoli. Ricordi e testimonianze, op. cit., p. 58). Le relazioni di Jemolo, Bo, Spirito, Bobbio e Garin sono state pubblicate nel volume Prospettive di cultura 1959, con presentazione di Stefano Bazoli.

[26] “Adesso”, 1° luglio 1955, p. 4. Sul tema dell’autonomia della coscienza morale si veda anche l’articolo di don Mazzolari, firmato con lo pseudonimo di Stefano Bolli, In una cristianità viva non è necessario pensarla tutti allo stesso modo, in “Adesso”, 15 febbraio 1951.

[27] Lettera a Rienzo Colla del 9 agosto 1954, in P. Mazzolari, Pensieri dalle lettere, La Locusta, Vicenza 1964, p. 86.

[28] Su “Città e Dintorni”, 23/1990, pp. 59-65, Giovanni Cristini ha ricostruito la genesi di questa lettera e ha illustrato la risposta di don Mazzolari pubblicata su “Adesso”. Il n. 23/1990 di “Città e Dintorni” riporta gli atti di un convegno, tenutosi l’11 novembre 1989, su “Don Mazzolari a trent’anni dalla morte: insegnamenti e provocazioni” organizzato a Brescia dal Gruppo Aziendale della Banca San Paolo.

[29] Questo resoconto è riportato anche da L. Bedeschi in Obbedientissimo in Cristo, pp. 252-253.

[30] Si trattava del “Comitato Onoranze Nazionali Clero Italiano Vittima” costituito per rendere onore ai sacerdoti uccisi prima e dopo la Liberazione. Don Mazzolari ne faceva parte in quanto autore del libro I preti sanno morire (Presbyterium, Padova 1958, Edb 1984), in cui ricordava il martirio di numerosi sacerdoti italiani negli “anni della caligine”.

[31] Giuseppina Mazzolari, Mio fratello don Primo, Fondazione don Primo Mazzolari, Bozzolo 1990, p. 84.

[32] L. Bedeschi, Obbedientissimo in Cristo, pp. 257ss.

[33] Alla Missione di Milano è chiamato a predicare anche padre Giulio Bevilacqua.

[34] Intervento riportato nella presentazione di Loris Capovilla al testo di P. Mazzolari, Discorsi, edizione a cura di Piero Piazza, Dehoniane, Bologna 1978, p. 13.

[35] L’elenco completo e dettagliato dei vari interventi è riportato nel nostro libro Don Primo Mazzolari, Brescia e i bresciani, pp. 62-67.