Il crollo del sistema politico italiano è avvenuto per l’effetto combinato del rivolgimento del quadro internazionale e per l’eccesso di corruzione messo in luce dall’iniziativa giudiziaria. Esso ha stimolato interpretazioni e comparazioni di dubbio fondamento, che non servono a conoscere il passato, tanto meno a favorire più avanzate prospettive per il Paese. Sembrano piuttosto l’espressione infelice della prevalente tendenza all’attualizzazione strumentale, posta cioè a servizio di ristretti interessi di individui e gruppi. Nell’ultimo decennio società civile, democrazia referendaria e principio maggioritario per qualche tempo sono apparsi come la miscela propellente di una nuova ideologia del rinnovamento democratico italiano; ma la critica ben fondata alla degenerazione dei partiti, caduti ai livelli più bassi di corruzione, si è trasformata spesso in un attacco indiscriminato ai principi fondamentali della Costituzione, da cui pure sono scaturiti cinquant’ anni di vita democratica, piena di contrasti e di squilibri, ma anche di realizzazioni positive e di profonde trasformazioni.
Di qui il bisogno, sempre più avvertito, di collocare nel loro contesto e di interpretare correttamente le vicende del nostro Paese dagli anni Quaranta agli anni Novanta, cioè la storia a noi contemporanea nel senso più stretto del termine. Un intelligente, onesto tentativo di venire incontro a questa esigenza è la pubblicazione voluta e coordinata da Agostino Giovagnoli, docente di Storia della storiografia contemporanea all’Università Cattolica di Milano, di un libro a più voci, “Interpretazioni della Repubblica”, apparso nell’ottobre scorso nella collana “I Prismi” del Mulino di Bologna.
Fino al 1989 gli studi sulla storia dell’Italia contemporanea si fermavano in genere al ’48; sul periodo successivo, poco o nulla. Ma tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta si è aperta una nuova stagione storiografica, in cui sono apparsi molti volumi dedicati all’intero cinquantennio post bellico. A veder bene una prima considerazione si impone, sia pure con sfumature diverse, negli studi di maggior consistenza, ed è la seguente: tra nazione incompiuta e democrazia difficile c’è un rapporto che trova due significative verifiche, nel 1919-22 e nel 1945-48. Nel primo caso fallisce la transizione dallo Stato liberale allo Stato democratico e si instaura la dittatura fascista; nel secondo caso il passaggio dalla dittatura fascista alla Repubblica democratica e alla ricostruzione economica ha successo, benché il Paese non fosse più maturo per la democrazia dopo vent’anni di fascismo e una guerra perduta. Nel secondo dopoguerra la democrazia che avvia i suoi primi passi in Italia è senza dubbio una democrazia anomala, senza reale possibilità di ricambio, ed è anche una democrazia dominata dai partiti. E tuttavia l’ edificio democratico costruito si rivela abbastanza solido, destinato a durare anche quando, diventato sempre più inefficiente e corrotto, declina e crolla il sistema politico che aveva dominato in Italia per quasi mezzo secolo.
Ora sugli ultimi cinque decenni della nostra storia abbiamo una ricca messe di studi – diversi per stile, impostazione e prospettive – che concorrono a illustrare problemi importanti e momenti decisivi del nostro cammino, ma da quegli studi quale immagine d’insieme emerge dell’Italia dal ’48 ad oggi? La risposta, ovviamente, non può essere univoca, anche perché diverso è l’approccio a quel periodo storico: c’è, infatti, una storia politico- istituzionale dell’ Italia repubblicana, una storia dei partiti, una storia dello sviluppo economico e delle conquiste sociali; e c’è pure una storia delle relazioni internazionali, del rapporto tra Chiesa e società italiana, dell’evoluzione spesso tumultuosa del costume e dei modelli di comportamento. L’idea di Agostino Giovagnoli è stata quella di dare la parola, per una presentazione sintetica delle loro linee interpretative, non a sociologi e a politologi, ma solo ad autori di opere storiche complessive sul periodo 1948-98 e a quegli studiosi che più hanno contribuito ad approfondire il dibattito storiografico tracciando interessanti prospettive d’insieme. È fin troppo facile pensare a tal proposito a Ernesto Galli Della Loggia, ad Andrea Riccardi, a Nicola Tranfaglia come esponenti di spicco del secondo gruppo; essi sono tutti presenti con i loro contributi nel volume. Per il primo gruppo gli storici interpellati a giusto titolo sono Pietro Scoppola, Francesco Barbagallo, Simona Colarizzi, Pietro Cravero, Enzo Santarelli.
Sono fermamente convinto che libri del genere siano necessari non solo a chi desidera non emettere giudizi errati, da cui poi si traggono conseguenze arbitrarie, ma anche a chi giustamente non intende fermarsi in modo arcaico a ricordi personali e a personali scelte di parte. Occorre, infatti, conoscere meglio la storia, per leggere con intelligenza anche la propria esperienza, o quel che di essa rimane in noi. Insomma, dovrebbe pur essere arrivato il momento di farla finita, in ogni ambito, con sintesi interpretative troppo disinvolte che, purtroppo, non sono mancate neppure negli ultimi anni. Facciamo qualche esempio. Si è creduto di poter comparare addirittura il ruolo del Partito nazionale fascista a quello dei partiti democratici nello Stato e nella società italiana, come se totalitarismo e democrazia fossero solo variabili secondarie. Si è appioppato la definizione di “consociativismo” anche a quei lustri, almeno cinque, della nostra storia contemporanea segnata da conflitti sociali, politici e ideologici di estrema durezza. Si è anche attribuito all’Italia democratica la distruzione operata dal fascismo dell’idea di patria e di nazione, come se non fosse stato il fascismo a portarci alla più grande catastrofe della nostra storia, resa emblematicamente da una data: 1’8 settembre ’43. E su questa strada si potrebbe continuare a lungo. Ciò che offende, però, la decenza, il buon senso e la verità è che non pochi denigratori della nostra storia recente figurano tra coloro che personalmente hanno beneficiato a piene mani del sistema di corruzione che dilagò nei cosiddetti «anni di fango» nel dopo-Moro, tra il 1972 e il 1992.
Giornale di Brescia, 14.4.1999. Articolo scritto in occasione dell’incontro con Agostino Giovagnoli sul tema: ”Interpretare il Novecento”.