Ho visto con simpatia i due libri scritti dal professor Caimi sia perché mettono in risalto due note fondamentali dell’impegno di Lazzati: l’educazione e la valorizzazione del laicato, sia perché si tratta di scritti accessibili a molti unendo competenza con brevità.
Di essi ha già parlato ampiamente il professor Pazzaglia. Io mi limiterò a ricordare alcuni episodi che mettono in risalto lo stile educativo di Lazzati e la sua insistenza sulla valorizzazione del laicato nella Chiesa.
Egli, per esempio, si trovava più a proprio agio con gli studenti che con i professori, anche se si preoccupava della formazione di questi. Per esempio aveva fatto stampare tante copie di una conferenza sul significato delle Università Cattoliche, tenuta dal Rettore dell’Università Cattolica di Lovanio, monsignor Massaux, e aveva incontrato tutti i consigli di Facoltà per parlarne e ascoltare osservazioni e proposte. Alla fine però mi disse di non aver ottenuto molto frutto. Partecipò un giorno ad un ritiro spirituale per i docenti. Avevo chiamato un biblista di valore, padre Gilbert, docente al Pontificio Istituto Biblico di Roma, specialista dei libri sapienziali della Bibbia. Ne vennero una trentina dei professori, un numero discreto secondo me, dati i tempi difficili, uno scandalo per lui. In privato mi parlava spesso della sue aspettative e delle sue delusioni.
Dava fiducia ai giovani che mostravano talento e li aiutava. Qualcuno però ne approfittava e quando egli si accorgeva di questi raggiri ci rimaneva molto male. Non per questo però cessava di cercare con ottimismo giovani studiosi promettenti per esortarli alla ricerca.
In occasione di un Convegno sulla pastorale universitaria, che avevo promosso a Milano in Cattolica (22-23 aprile 1983), gli chiesi di fare un intervento sul ruolo educativo dei docenti. Come al solito fu chiaro e sintetico, e così riassunse la modalità educativa propria del docente:
“Se è giusto parlare del ruolo educativo del docente universitario, si tratta di vedere in che consiste, in quali condizioni si svolge, e che cosa esige. Il docente educatore, qualunque sia il livello in cui svolge la sua azione di docente, è il docente che insegnando, grazie a quello che insegna e al modo con cui insegna, mira ad aiutare il discente non solo ad arricchirsi di conoscenze, di nozioni,ma a farsi uomo imparando. Il docente si fa, di giorno in giorno, più uomo insegnando; il discente dovrebbe farsi, di giorno in giorno, più uomo imparando. Il ruolo educativo non è dunque altro dal ruolo dell’insegnare, ma è inserito, compenetrato nel ruolo del docente, è sua parte integrante. Perciò riferita al docente ho usato l’espressione =farsi uomo insegnando = e riferita al discente ho usato l’espressione =farsi uomo imparando =” (Giuseppe Lazzati “Il ruolo educativo del docente universitario” in AA. VV. “Giovani, cultura e fede. Punti di riferimento per una pastorale universitaria” ed. Vita e Pensiero, Milano 1984 p.27)
Ho notato che quando da rettore promuoveva, una volta all’anno, la settimana di aggiornamento culturale in varie città d’Italia, perché l’Università Cattolica desse dei segni concreti di servizio al paese e non di chiusura in se stessa, invitava a parlare non solo docenti della sua Università, ma anche professori di varie Università statali. Da cattolico, senza nascondimenti, si mostrava aperto ad ogni contributo positivo che venisse anche da altre “regioni” culturali.
La sua passione educativa si esprimeva però soprattutto nei riguardi dei giovani con i quali era tanto esigente nel proporre lo stile della vita e nello stesso tempo tanto accogliente nell’accostarli e nell’ ascoltarli.
A un Convegno internazionale delle Università Cattoliche del mondo a Lovanio, riservato ai professori, ho visto, per esempio alcuni nostri studenti. Chiesi allora a Lazzati: come mai? Ed egli: vorrei aiutare i giovani universitari a guardare più lontano.
Dei ragazzi del Meridione gli chiedevano a volte un appuntamento ed egli, impegnatissimo nel suo compito di rettore, sapeva trovare per loro un’ora di tempo per ascoltarli.
A volte giungeva a dirmi: avvicini il tale, il tal altro, perché sta passando un periodo di vita difficile.
Quando, verso la fine degli anni Settanta gli proposi di riprendere l’incontro delle matricole in Aula Magna a Milano, all’inizio dell’anno accademico, dopo la solenne celebrazione nella Basilica di sant’Ambrogio, egli dapprima si mostrò dubbioso. Erano ancora vivi in lui gli scontri che c’erano stati con gli studenti nei giorni dell’occupazione dell’Università. Alla fine però acconsentì con la laconica esclamazione: se lo dice lei…!
Quando però si trovò l’Aula Magna piena di matricole e tutte attente, tornò ad essere l’appassionata guida dei giovani, tanto che dopo qualche giorno mi chiese: quando facciamo un altro incontro con le matricole?
La sua passione educativa nacque già nella sua giovinezza quando ebbe incarichi diocesani nell’Azione Cattolica. In quel tempo, riconoscente verso validi educatori che aveva incontrato nella sua vita, a sua volta s’impegnò a ravvivare la fede cristiani di molti ragazzi, visitando le varie associazioni.
Invitai un giorno Lazzati ad una “due giorni” per le matricole fuori Università perché parlasse loro dell’impegno nello studio che li attendeva, ed egli invece parlò ad essi dei gradi della vita, per soffermarsi sulla vita di grazia. Sentivo nel suo parlare la passione antica, di quando percorreva la diocesi per animare i gruppi giovanili nella fede.
Nel 1979 facemmo un viaggio con un gruppo di professori, studenti e personale delle quattro sedi della Cattolica per quindici giorni in Polonia. Il cambio della moneta ci era molto favorevole per cui si sono comperate molte cose, anche inutili. E lui, Lazzati, guardò un giorno i giovani e disse loro con benevolenza come un padre verso i figli: non avete saputo resistere al fascino delle cose! Egli fu sempre molto sobrio con se stesso, poco espansivo, tanto che mi meravigliavo del fascino che esercitava sui giovani. Lazzati era molto intenso, tra la sua persona e la sua parola non vi era distanza, e coi giovani non faceva conto sul posto che occupava, ma sulla verità di ciò che diceva loro. Per questo ne subivano il fascino.
Quando saliva su a San Salvatore, la prima cosa che faceva era togliersi la giacca e mettersi un giubbino come facevano i giovani per sentirsi in libertà. Così era anche quando lo si incontrava fuori dagli ambienti ufficiali. Anche in questo la sua non era una scelta di pauperismo, ma di autenticità. Ci teneva alla dignità di ciascuno e propria, non però a quella delle apparenze.
L’altra passione in Lazzati, accanto a quella educativa, era quella per un laicato cattolico adulto.
Faceva parte di questa sua passione il desiderio di istituire in Cattolica una Facoltà Teologica.
Chiedeva ai preti di fare i preti. L’aveva colpito quand’era ancora giovane “Cristo vita dell’anima” di Marmion e si lamentava perché i preti, secondo lui, non parlavano sufficientemente della vita di grazia. Chiedeva ai laici di assumere coerentemente le loro responsabilità nella politica. Ogni tanto qualche punta di spillo: voi preti date poco spazio ai laici. Un giorno, però, in cui discutevamo di questo problema, tra il serio e il faceto gli dissi: so che domani lei andrà a parlare ai Vescovi del Piemonte. Io, che sono prete, non sono stato ancora chiamato a parlare a dei vescovi. Era sottinteso: non è sufficiente il titolo per essere ascoltati, bisogna anche avere competenza. Ed egli non poté ribattere e si mise a sorridere.
In vista del Sinodo sul laicato uscirono varie pubblicazioni sul cristiano-laico, e qualcuno aveva mosso delle riserve all’espressione conciliare, in particolare “ex vocazione propria”: “Per loro vocazione è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio” (“Lumen Gentium” n.31). Un’affermazione molto gradita a Lazzati, in quale si rallegrò poi notando che nell’Esortazione Apostolica post-Sinodale “Christifideles laici” (30-XII-1988) Giovanni Paolo II era tornato sulle affermazioni del Vaticano II: “La condizione ecclesiale dei fedeli laici viene radicalmente definita dalla loro novità cristiana e caratterizzata dalla loro indole secolare” (n.15). E più avanti ancora: “La vocazione dei fedeli laici alla santità comporta che la vita secondo lo Spirito si esprima in modo peculiare nel loro inserimento nelle realtà temporali e nella partecipazione alle attività terrene”(n.17).
Ma qual era il segreto della sua forza d’animo nel sostenere il ruolo dei laici e l’importanza dell’educazione, specialmente dei giovani?
Non s’accontentava facilmente Lazzati di come andavano le cose nel paese e anche nella Chiesa. E tuttavia, dopo averlo sentito esprimere tante riserve così che m’aspettavo rinunciasse a proporre e a lottare, subito dopo si riprendeva e andava avanti con fiducia con progetti e iniziative.
Credo che il suo segreto sia ben descritto nell’ultimo libro da lui scritto: “La preghiera del cristiano”, le cui pagine finali sembrano l’autobiografia dei suoi ultimi giorni.
NOTA: testo, non rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia l’1.10.2009 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.