San Filippo Neri, a quattro secoli dalla morte, non cessa di suscitare soprattutto simpatia. Di lui si ricordano le battute, gli scherzi, le trovate, il suo umorismo. Ma Filippo Neri fu anche qualcos’altro e di più, uno spirituale, un contemplativo, un apostolo. I due aspetti si coniugano in lui in modo singolare, connotando una personalità avvincente. Filippo Neri era nato a Firenze nel 1515 dal notaio Francesco e da Lucrezia da Mosciano. La sua indole dolce e affabile gli meritò ben presto il titolo di Pippo buono. Adolescente, si mise a frequentare il convento domenicano di San Marco, dove aleggiavano due presenze ben diverse: quelle di fra’ Girolamo Savonarola, impiccato e bruciato nel 1487, e quella del beato Angelico, con i suoi luminosi dipinti.
Le finanze poco fiorenti di papà Francesco lo indussero a raggiungere uno zio che esercitava un redditizio commercio a S. Germano nei pressi di Cassino. Quivi, Filippo poté sviluppare il suo istinto contemplativo, frequentando i monaci dell’abbazia (Nihil amore Christi praeponere) e raccogliendosi per lunghe ore nella chiesetta costruita a picco sul mare, sopra di un masso incastratosi in una fenditura dei monti di Gaeta.
Improvvisamente, però, abbandonò lo zio Romolo e partì per Roma. L’impulso lo spingeva verso una città ancora profondamente traumatizzata dal terribile sacco del 1527. Di questa città Filippo divenne l’anima, l’apostolo, il riformatore. Per sessant’anni, fino alla morte, non se ne allontanò mai, neppure per breve tempo.
Girovagando per le strade, cominciò a raccogliere intorno a sé soprattutto ragazzi e giovani per lo più disoccupati. Questi lo ascoltavano con crescente interesse e poi lo seguivano nelle sue opere di carità, negli ospedali, tra i pellegrini. Lo seguirono anche quando egli, questo strano laico innamorato di Gesù, inventò per loro i pellegrinaggi alle sette chiese, delle grandi camminate di devozione, ma anche piene di allegria.
Sempre ancora laico, nel 1544 mentre pregava nelle catacombe di S. Sebastiano, ebbe una sconvolgente esperienza mistica: lo Spirito Santo gli penetrò nel cuore, sotto forma di un piccolo globo di fuoco, procurandogli un calore forte e soave che gli durò per tutta la vita.
Dietro le insistenze del suo confessore, si risolse ad accettare il sacerdozio. Aveva 36 anni e continuò nel suo apostolato caratteristico, aggiungendovi naturalmente, gli impegni che gli derivavano dall’ordine sacro ricevuto.
Confessava moltissimo, celebrava la Messa con un trasporto spirituale così intenso che cercava di moderare in qualche modo.
I discepoli continuavano a crescere di numero ed egli pensò quindi di organizzarli in quella che diventerà la sua istituzione più caratteristica: l’Oratorio. I partecipanti convenivano in un locale apposito e le ore del pomeriggio passavano rapide fra lettura bibliche, discorsi edificanti, musiche e preghiere anche spontanee.
Al servizio dell’Oratorio, il Santo pensò ad una comunità di preti e laici dedita a tale compito. Nacque così la Congregazione dell’Oratorio, senza voti religiosi, con l’impegno della vicendevole carità.
Col passare degli anni il Santo si raccoglieva sempre più nella preghiera, in solitudine. Le sue Messe erano altrettante esperienze mistiche. Contemplava Dio nei suoi misteri, ma anche lo vedeva nella bellezza del suo creato. Morì il 26 maggio 1595. Il suo corpo riposa nella chiesa romana di S. Maria in Vallicella, nella chiesa nuova da lui eretta.
Qual è, possiamo chiederci, la sua eredità spirituale?
Innanzitutto una forte connotazione cristocentrica: “Chi vuole e cerca altri che Cristo, nemmeno sa che cosa vuole!”. Per il resto, una spiritualità sobria, concreta che si è voluta sintetizzare nel cosiddetto quadrilatero: umiltà, gioia, preghiera, carità.
Altri aspetti del suo messaggio non vanno dimenticati. Cristiano laico prima e poi prete, S. Filippo esercitò una straordinaria capacità dialogica verso il mondo laico, con la gente comune e con le persone colte, cercando sempre prima di tutto di capirle ed aiutarle, e solo in seguito, se mai, di correggerle. Una lezione questa fatta propria in varie epoche da maestri spirituali come S. Francesco di Sales, il card. J. H. Newman, il card. Bevilacqua e tanti altri.
Un altro aspetto, anche questo sottolineato dal Newman, è quello che oggi potremmo definire ecumenico. San Filippo si sentiva, infatti, chiamato più a riunire che a distinguere, più a sottolineare le convergenze che le divergenze, più a creare comunione che a marcare contrapposizioni.
Pur ammirando molto il Savonarola, ed anzi considerandolo santo, Filippo sapeva di avere un’altra missione: non si sentiva chiamato a mettere la gente con le spalle al muro, a proferire anatemi contro colpevoli e peccatori. Si sentiva spinto a stringerli al petto, a rincuorarli, a confortarli con sconfinata tenerezza e disponibilità. Per questo la figura di San Filippo sorride ancora a molti noi, oggi, paternamente e fraternamente, come un trasparente profeta di gioia e di sano ottimismo.
Giornale di Brescia, 29.4.1995.