Maratona è una tranquilla cittadina della pianura dell’Attica, la regione di Atene, a circa quaranta chilometri a nord-est della capitale. Qui venne combattuta, nell’agosto (o nel settembre) del 490 a. C., una grande battaglia di fanteria fra gli Ateniesi e i Persiani: gli invasori, guidati dai generali che agivano per conto del re Dario, vennero bloccati e respinti dalle truppe ateniesi, capitanate dallo stratega Milziade. Secondo il racconto dello storico Erodoto, sarebbero caduti seimila Persiani, mentre gli Ateniesi avrebbero registrato la morte di meno di duecento soldati, ai quali andavano aggiunte alcune decine di opliti di Platea, la città alleata. Subito dopo i Persiani, tornati alla flotta ancorata lì vicino, tentarono di arrivare per mare ad Atene: ma la sorpresa non riuscì e ritornarono in Asia. Ebbe così fine la prima guerra persiana. Essa fu ricordata come un episodio basilare della lotta per la libertà greca, minacciata dal dispotismo persiano: i poeti, gli storici e gli oratori cantarono quella battaglia e le seguenti contro i Persiani come le occasioni di fondazione del valore della libertà politica, che dalla sua culla in Grecia sarebbe poi divenuta patrimonio dell’Europa e quindi dell’intera umanità. È dalle circostanze che seguirono la vittoria di Maratona che nacque la leggenda. Secondo una tradizione, raccolta e sostenuta a fine Ottocento dal glottologo francese Michel Bréal, un soldato ateniese, di nome Filippide, sarebbe corso dal campo di battaglia fino ad Atene per annunciare la vittoria: all’arrivo, stremato dalla fatica, sarebbe caduto a terra morto. La tradizione comprende le parole che avrebbe pronunciato nell’agorà, ovvero la piazza principale della città: Neníkamen, "abbiamo vinto!". In suo ricordo viene svolta dunque la celebre corsa olimpica. È una bella leggenda, drammatica e patriottica insieme: ma purtroppo non trova riscontro nelle nostre fonti storiche dell’antichità. Innanzitutto, nessun autore parla di un messaggero, né con questo, né con altro nome, inviato ad Atene dopo la battaglia. Erodoto, che è la nostra fonte più preziosa, descrive con discreta precisione le circostanze dello scontro, nel sesto libro delle Storie: ma non ne fa cenno. Però, leggendo la sua narrazione, incontriamo alcuni spunti che sono alla base della leggenda. Troviamo che un araldo di nome Fidippide (con questa leggera variante nel nome) è realmente esistito, ed era un corriere al servizio degli Ateniesi; egli ebbe effettivamente a che fare con la battaglia di Maratona, ma nei giorni precedenti lo scontro. Fidippide era stato infatti inviato da Atene a Sparta a chiedere aiuto in vista della battaglia imminente. Erodoto racconta che egli corse dall’Attica, attraverso l’Istmo di Corinto, fino in Arcadia e di lì a Sparta, compiendo una prestazione eccezionale, perché in due giorni giunse alla meta, coprendo una distanza di circa duecento chilometri. Quella fu la sua vera, grande maratona, svolta su una distanza che è quasi cinque volte quella attribuitagli. Poco importa, ai fini della memoria del personaggio, che la sua corsa sia stata poi vanificata dall’indugio degli Spartani che, per via di scrupoli superstiziosi, ritardarono l’avvio dei soccorsi e giunsero a Maratona a cose fatte. Più tardi gli autori antichi che raccontarono la stessa vicenda deformarono anche il nome del corriere in quello di Filippide (qualche volta anche Filippo), nome certamente più nobile per via del collegamento col nome dei vari Filippo, sovrani di Macedonia. Come si vede dalle date, l’episodio che dà il nome alla gara si svolse ben dopo l’inizio per noi accertato (776 a.C.) delle Olimpiadi antiche. Infatti la corsa sulla distanza dei 42 chilometri e 195 allora non esisteva: è invenzione moderna, a partire dai Giochi del 1896, voluta da Bréal che riuscì a farla inserire nei giochi di Atene. Il primo vincitore fu il pastore greco Louis Spyridion che fu accompagnato nell’ultimo giro dal re Giorgio di Grecia e da suo figlio, il principe Costantino. Fu un trionfo greco in tutti i sensi, un insperato atto di omaggio alla grande tradizione che veniva fatta rinascere con i Giochi dell’Era moderna. C’è un particolare affascinante, nel racconto di Erodoto della corsa di Fidippide, sul quale è bello soffermarsi. È quello dell’incontro che il corriere avrebbe avuto col dio della pastorizia Pan, durante la corsa attraverso i monti dell’Arcadia. La regione era ed è tuttora boscosa, arretrata dal punto di vista dello sviluppo, a tratti addirittura selvaggia. Fidippide avvertì all’improvviso rumori sconosciuti e il suo cuore sobbalzò di paura: eppure non apparivano alla vista né uomini né animali. Si rivelò improvvisamente il dio, per lamentarsi del fatto che gli Ateniesi trascuravano il suo culto, nonostante l’aiuto dato loro in molte circostanze. Dopo la guerra vennero allora istituiti ad Atene sacrifici annuali in onore del dio. E Fidippide fu ritenuto un tramite tra l’uomo e la divinità, connotato nei suoi atti dal segno dell’eccezionalità, come eccezionali erano le vicende della guerra contro i temibili Persiani. Prima degli attuali Giochi olimpici, Maratona sembrava un luogo senza memoria, destinata all’oblio del glorioso passato: molti dei suoi abitanti, soprattutto i più giovani, conoscevano solo superficialmente la storia collegata. Distratti e annoiati, alcuni non sapevano neppure indicare ai visitatori i memoriali dei lontani avvenimenti: vale a dire il grande tumulo dove sarebbero stati sepolti i guerrieri ateniesi e quello, più piccolo, dei Plateesi. Ma, quando la corsa degli atleti di tutto il mondo si è snodata intorno a quelle colline memoriali, quando la striscia azzurra sull’asfalto indicava agli atleti stremati la linea da percorrere tra la folla per giungere alla meta di Atene, è parso prendere corpo il riscatto della memoria. Se non quello di Fidippide, è tornato ad aleggiare lo spirito degli uomini valorosi che qui caddero per dare origine al nostro valore della libertà.
Giornale di Brescia, 30.8.2004