Lo confesso, preferisco chiamarla Maria, col nome che le danno i Vangeli, i testi patristici e quelli liturgici. Maria, e non altrimenti. “La Vergine si chiamava Maria” (Lc 1, 27).
Preferisco vederla raffigurata col bambino Gesù e non da sola. Essa, infatti, è innanzitutto e soprattutto la Madre, la mamma di Gesù, la theotòkos e cioè la madre di Dio, l’immacolata madre nostra, la “tutta santa” che ci precede in cielo.
Preferisco le icone alle statue. L’icona è più sobria, più aerea, più trasparente, più allusiva. La statua diventa per noi, facilmente, un simulacro, un oggetto che può portarci ad atteggiamenti fuori misura.
Preferisco pensarla come mi viene presentata dalle semplici e sublimi pagine dei vangeli. Vederla nel suo prontissimo arrendersi alla volontà del suo Signore, al Dio nel quale esulta. Ascoltarla nel suo esortarci a seguire Cristo in tutto ciò che egli ci chiede: “Fate quello che egli vi dirà!” (Gv 2, 5).
Sì, Maria, con tutta se stessa, ci porta e ci consegna a Gesù: Per Mariam ad Jesum!
Maria è il progetto di Dio in vista del suo farsi uomo in Cristo, la vergine pienamente santificata dalla grazia di Cristo, nella quale Dio, il Verbo, si fa figlio dell’uomo rimanendo Dio. L’Emmanuel, Dio con noi. Totalmente graziata da Dio per i meriti del suo Figlio crocifisso e risorto, Maria è come il punto archimedeo che Dio ha predisposto e di cui si serve per risollevare il mondo caduto nel peccato. Con la sua fede umile e obbediente (“Sono la serva del Signore, si faccia di me ciò che hai detto!”) partorisce per noi il servo obbediente di JHWH, sorgente unica e inesauribile della grazia che ci fa figli di Dio, generati dallo Spirito Santo.
A Cana Maria, nella sua grande fede, rinuncia ai suoi diritti materni e introduce Gesù alla missione affidatagli dal Padre, per la quale morirà come salvatore di tutti gli uomini.
Con questo suo nuovo atto di fede Maria genera Gesù per la seconda volta, lo genera alla vita per gli altri, come Messia crocifisso. Diventata madre di Gesù a Nazaret, in forza del suo “fiat mihi”, ora, a Cana, diventa la madre del Cristo, coinvolgendo i presenti nella sua obbedienza di fede. “Fate quello che egli vi dirà” (Gv 2, 1-11).
Sono le ultime parole che i vangeli ci tramandano, e sono rivolte non soltanto ai servi di quel banchetto nuziale, ma a tutti noi, costituendo nei secoli il messaggio perenne di Maria.
La fede di Maria accompagna l’intero racconto evangelico: essa è beata perché crede.
Alle donne, che proclamano beata la mamma di Gesù, che cosa dice il Cristo? “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8, 21). Maria è beata, sì, ma soprattutto perché ha creduto. Essa infatti non ha creduto in quanto mamma, ma è diventata mamma per aver creduto, perché è per la fede, innanzitutto, che essa ha generato il Figlio di Dio. Ai piedi della Croce, Maria vive, nel dolore, una fede piena di speranza. Lì essa diventa la mistica sposa del Verbo, e lì si compie il suo itinerario di fede.
La ritroveremo nel cenacolo, testimone del Risorto. Nel cenacolo, insieme ai dodici e ai centoventi discepoli, invoca la venuta dello Spirito e la nascita della Chiesa.
Papa Luciani ha il merito di aver ricordato a molti distratti la maternità di Dio. Dio è Padre e anche Madre, tenero, compassionevole, disposto ad amare sempre e nonostante tutto, come una madre. “Può forse una madre dimenticarsi del suo bambino, così da non aver pietà del frutto delle sue viscere? E se questa potesse dimenticarsene, non io però mi dimenticherò di te” (Is 49, 15). Dio non è appena Legge, è anche, e soprattutto, grazia. Ebbene, di questo aspetto materno dell’amore di Dio, Maria è espressione e segno, il segno più alto e luminoso, fra le realtà create.
La supplica di Maria è presente nel cenacolo, dove la Chiesa sta per essere partorita, anch’essa per opera dello Spirito Santo. Con la presenza di Maria, il cenacolo assume l’aspetto e la realtà di un grembo materno, di un seno fecondato dallo Spirito. Paolo VI ha introdotto l’espressione: Maria madre della Chiesa, espressione che ha i suoi limiti, ma che annuncia un rapporto reale fra Maria e la Chiesa.
In Maria “colui che i cieli non possono contenere” si è fatto così piccolo da starci benissimo. Nello stesso seno, la Parola eterna si è fatta infante, incapace di parlare; l’onnipotente divenne bisognoso di cure materne; l’onnisciente cominciò ad apprendere ed a muovere i primi passi nel mondo.
Nel cenacolo un gruppo di piccole persone che non avevano capito il loro Maestro, diventa, mediante l’irruzione dello Spirito, la Chiesa testimone del Risorto. “Fino ai confini della terra”.
La Chiesa, come Maria, può ripetere l’inno della sua meraviglia e riconoscenza: “Fece di me cose grandi colui che è potente e il cui nome è santo!” (Lc 1, 49).
Maria è ancora e sempre il punto totalmente innocente e puro di una creazione che l’uomo ha contaminata. La “tutta santa”, l’Immacolata, è come uno spiraglio attraverso il quale la luce di Dio riesce a illuminare il mondo; la creatura assolutamente redenta di cui Dio si serve per risollevarci dal peccato; il seno verginale nel quale Dio fa rinascere a nuova vita le anime dei credenti. Lei redenta da Dio, dal suo Figlio.
Leone Magno, ma prima di lui Agostino, insegna che Maria concepì prima di tutto per la sua fede e soltanto poi col suo corpo verginale.
Si può anche pensare che Maria sia salita al cielo, prima per l’esultanza in Dio che possedeva pienamente in sé, e quindi col suo corpo immacolato, sottratto alla corruzione della morte avendo dato vita all’autore stesso della vita.
“Il culto di Maria è consacrazione di tutto ciò che sembra insignificante, che si muove nell’ombra, ma che costituisce ancora il sale della terra” (G. Bevilacqua).
La devozione a Maria, da parte del pastore d’anime spesso super impegnato, è l’irruzione della tenerezza e della quiete all’interno di un’attività che facilmente diventa convulsa, puntigliosa e anche aspra. Maria insegna il segreto pacificante dell’abbandonarsi a Dio, poiché è sempre Dio che salva.
Maria si muove nella dialettica delle parabole evangeliche che sembrano contraddirsi: quella del tesoro nascosto che viene scoperto e del grano di senapa che diventa pianta ospitale; quella del seme, che deve marcire sotto terra, e della luce che deve risplendere; della città posta sopra il monte. Maria è una realtà epifanica: è la luce che irrompe da ciò che nessuno nota, la grandezza e la forza delle realtà piccole e deboli, la gloria dell’umiltà, la durata intramontabile del quotidiano.
L’itinerario di fede di Maria si svolge, nel Vangelo, parallelamente a quello di Gesù. Non si può pensare che, fin dal principio, tutto le fosse già pienamente chiaro, sul misterioso destino del suo Figlio divino.
A Nazaret, Gesù cresce in sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini. Nella sua conoscenza umana di se stesso e alla luce delle Scritture, Gesù percepisce sempre più chiaramente ciò che già conosce per conoscenza divina. Come dovrà essere il Messia, che cosa dovrà fare? A dodici anni, nel Tempio, indaga sui progetti di Dio, interrogando a questo proposito coloro che conoscono benissimo le Scritture. “Perché mi cercate?- dice a Maria e a Giuseppe preoccupati per lui- Nono sapevate che io devo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?” (Lc 2, 49).
Non si sa fino a che punto, in quel momento, i genitori potessero comprendere queste parole.
A Nazaret, Maria si china sul figlio con grandissima attenzione di fede, interrogandosi senza posa sul significato preciso degli straordinari avvenimenti che avevano cambiata la sua vita. L’angelo Gabriele aveva parlato di un figlio di Dio, ma che cosa voleva intendere in senso preciso?
Accanto al figlio che cresce, anche Maria va crescendo nella conoscenza del mistero che le è stato affidato.
È, il suo, un vero e proprio pellegrinaggio di fede, un cammino che da Nazaret passa da Cana e finisce ai piedi della Croce.
A Cana dimostra di sapere ormai molto bene chi è propriamente il suo Gesù: il Figlio di Dio onnipotente, il Messia venuto per il mondo intero, per tutti gli uomini, per salvarli dal peccato e dalla morte mediante la Croce. Ai piedi del Crocifisso, si unisce pienamente in dolore e speranza a una morte che sarà vinta dalla risurrezione. La sua fede si fa fede pasquale.
Non possiamo, a questo punto, che chiederle aiuto per poter progredire nel nostro itinerario di fede.
Tu sei beata, Maria, perché hai creduto, e perché, credendo hai generato Gesù, il Figlio di Dio, e lo hai accompagnato da Nazaret fino al Golgota.
Aiutaci, Maria, nella nostra poca fede; aiuta noi, che non vediamo, a entrare nella beatitudine di coloro che credono senza avere visto.
Fa che, operando nella fede che abbiamo, possiamo entrare nella fede che non abbiamo ancora.
Tu che sei la prima e la più amata fra tutti i credenti, precedi e sostieni noi, che siamo gli ultimi, sempre così deboli nella fede. Tu che non sei separata da noi, che ci sei accanto, in mezzo e unita a noi, nella tua pienezza di grazia porta noi peccatori fino a Gesù, sorgente prima e inesauribile di santità e di vita.
Amen.
La tenda e i paletti, Morcelliana, Bresca 2000, pp. 159-165.