Tutti noi qui presenti siamo diversi, e ci troviamo in posizioni diverse rispetto al nostro personale viaggio spirituale, ma mentre è possibile misurare le distanze geografiche che ci separano, non è possibile fare lo stesso con le distanze spirituali. Tuttavia, ciò che conta realmente è che noi siamo – che le nostre vite siano- dentro ad un viaggio spirituale, e vissute in una dimensione spirituale.
Spero così, che questa sera ciascuno di noi possa compiere un piccolo passo in avanti nel proprio personale cammino spirituale.
Vorrei iniziare narrando l’episodio dal Vangelo di Giovanni, in cui Gesù compare ai nostri occhi per la prima volta. Si tratta di una storia molto semplice, come tutte le storie del Vangelo, ma è una storia molto profonda, e ci insegna uno dei fondamenti del viaggio spirituale.
Giovanni Battista si trovava con due discepoli quando Gesù per la prima volta gli passò accanto; improvvisamente lo additò dicendo “Ecco l’Agnello di Dio”, e i due discepoli immediatamente seguirono Gesù. Gesù si girò e vedendo i due che lo seguivano chiese loro: “Cosa cercate?”.
Risposero:“Maestro, dove abiti?”. Egli disse “Venite e vedrete”.
Lo seguirono e trascorsero il resto della giornata con lui.
San Giovanni termina il racconto dicendo che erano circa le quattro del pomeriggio.
Ogni dettaglio in questo breve racconto è significativo.
Ciascuno di noi ha avuto un “Giovanni Battista” nella vita, qualcuno che gli ha additato Gesù dicendo: “Ecco l’Agnello di Dio”, magari un insegnante, un amico, un parente, e ciascuno di noi probabilmente ha davvero provato a seguire Gesù.
Possiamo non conoscere esattamente il significato di “Agnello di Dio”, ma c’è qualcosa di più profondo di un’idea che ci spinge a seguirlo.
Gesù si gira e vede i discepoli che lo seguono:questo momento è cruciale.
Gesù pone una semplice domanda: “Che cosa state cercando?”.
Questo è l’inizio della vera relazione tra Gesù e i discepoli: essi “Vedono” che Egli li “Guarda”. Se si segue qualcuno, ma questo non sa di essere seguito, non si è realmente in relazione. Si può essere innamorati o infatuati di qualcuno, ma se non c’è comunicazione non si è realmente in relazione.
Questo è il punto in cui nel viaggio cristiano ci si inizia a muovere verso un più profondo livello di preghiera e se non raggiungiamo questo punto, la nostra vita cristiana rimane davvero molto superficiale, mentre nel mondo d’ oggi c’è un enorme bisogno di persone spiritualmente profonde.
Gesù nel Vangelo è chiamato “Maestro” più spesso che con ogni altro appellativo. Una prerogativa di ogni buon maestro è il saper porre domande giuste al momento giusto. La domanda giusta al momento giusto può aprire la mente. Gesù nel Vangelo pone 168 domande.
Queste domande sono molto semplici, ma è necessario ascoltarle quotidianamente: “Cosa state cercando?”.
Dare una risposta non è facile.
Stiamo cercando ricchezze, potere, fama, successo? Sono queste le cose che riteniamo più importanti? È questo il significato della vita?
Noi iniziamo un viaggio spirituale ascoltando questa domanda: “Cosa state cercando?”;è in questo modo che cominciamo a stabilire le priorità nella nostra vita.
I discepoli risposero a questa semplice domanda con un’altra domanda; chiesero: “Maestro, dove abiti?”.
Questo termine “abitare”,“risiedere” ha un significato molto profondo nel Vangelo di Giovanni. Alla fine del Vangelo è usato per descrivere la relazione tra Gesù e il Padre, quando Gesù dice “io sono nel Padre, e il Padre è in me”.
Quindi la domanda in realtà diventa “Dove “abiti” in me?”.
Come risponde Gesù a questa domanda? Non fornisce informazioni, non dà loro un indirizzo di residenza, ma li invita: “Venite e vedete”, come dire “Sperimentate, toccate con mano dove io risiedo”.
L’esperienza spirituale cristiana non consiste in una raccolta di informazioni, ma nell’accettare questo personale invito a sperimentare.
I discepoli accettano l’invito, e vanno personalmente a vedere dove risiede Gesù, e trascorrono il resto della vita con Lui, cercando di capire chi Egli è.
Giovanni poi conclude notando che erano circa le quattro del pomeriggio.
Che significato possiamo attribuire a questo particolare?
Da una parte significa che questo incontro con Gesù è avvenuto alla luce del giorno, e che il rivelarsi della relazione con Gesù è un evento “diurno”, come tutte le relazioni umane, vissuta giorno per giorno e sempre più profonda.
Si risale a un altro significato di questo particolare dettaglio del Vangelo di Giovanni notando inoltre che era abitudine dei primi cristiani pregare alle quattro del pomeriggio.
I primi cristiani dividevano la giornata in particolari momenti di preghiera, e l’obbiettivo di una seria vita spirituale è pregare in ogni momento, essere in una condizione di preghiera continua, ma per poter raggiungere questo obbiettivo è necessario avere momenti stabiliti per la preghiera,avere una “disciplina” della preghiera.
Bisogna cominciare in qualche modo, ma il problema è che abitualmente noi ritardiamo il momento dell’ inizio, il momento della discesa nelle profondità dello spirito.
Tutti abbiamo iniziato questo viaggio quando abbiamo tentato di seguire Gesù, ma il punto cruciale è vedere se abbiamo dato un seguito a questo, se siamo passati all’ approfondimento spirituale
Leggevo recentemente una vignetta: la prima immagine rappresentata era un bambino, e la didascalia diceva “troppo giovane per meditare”. Nella seconda immagine era rappresentato un adolescente e la didascalia diceva “troppo agitato per meditare”. La terza immagine rappresentava un giovane uomo d’affari, e la didascalia era “troppo impegnato per meditare”. L’immagine successiva rappresentava un anziano, con parecchi problemi fisici, e la didascalia era “troppo vecchio per meditare”. L’ultima immagine rappresentava una lapide, e la didascalia commentava “troppo tardi per meditare”.
Dobbiamo fare attenzione a non ritardare troppo il momento della meditazione.
Cosa accade a livello spirituale, nella storia di ogni uomo,nell’istante in cui Gesù si gira verso i discepoli ed essi “si vedono”?
Questo “istante” può durare anche molti anni, un’intera fase di una vita, ed è il momento in cui la preghiera si trasforma in esperienza contemplativa.
Cosa si intende per “contemplazione”?
Ci è stato insegnato a pregare, a casa, a scuola, al lavoro, in modo “ordinario”, attraverso le parole, dicendo le nostre preghiere; ci è stato insegnato a parlare con Dio, a dire a Lui dei nostri bisogni e problemi; ci è stato insegnato ad andare a messa, ricevere i sacramenti.
Questi sono tutti aspetti buoni e preziosi della preghiera, ma c’è una dimensione della preghiera che probabilmente non ci è stata insegnata: è la “preghiera del cuore”, la contemplazione.
Senza questa dimensione contemplativa della preghiera le altre forme di preghiera rimangono superficiali e anche le nostre vite spirituali rimangono superficiali.
Ad un certo punto lungo un percorso di evoluzione spirituale dobbiamo entrare in questa dimensione contemplativa.
Da ragazzo ho sentito parlare di contemplazione, ma non sapevo cosa fosse; era una cosa misteriosa, praticata dalle persone molto sante, in particolare da monaci molto santi.
Quando sono diventato un monaco mi sono reso conto che non tutti i monaci sono santi, e non tutti i monaci, le suore o i preti praticano la contemplazione, perché non è stato loro insegnato.
Ma cos’è la contemplazione?
È una delle parole più importanti nei documenti del Concilio Vaticano Secondo.
Un anziano cardinale che aveva ricevuto i suoi abiti cardinalizi da Papa Paolo VI recentemente raccontava che al momento dell’ordinazione, Paolo VI gli disse che lo spirito del Concilio Vaticano avrebbe potuto essere messo in pratica solo tramite una laicità contemplativa.
Secondo san Tommaso D’Aquino, la contemplazione è il semplice piacere della verità. Questa è la ragione per cui i bambini sono ottimi maestri di contemplazione. Essi hanno una attitudine naturale alla contemplazione perché sono spontanei, inconsapevoli e sanno vivere pienamente il momento presente.
Forse è vero che il periodo dell’infanzia si è accorciato ai nostri giorni, ma quando medito con i bambini comprendo perché Gesù abbia detto che è necessario tornare come bambini per entrare nel Regno di Dio.
Essere semplici non è facile. Per diventare semplici dobbiamo “agire con semplicità”, e non “pensare alla semplicità”; sono i pensieri che ci rendono complicati. Dobbiamo mettere in pratica la semplicità, ed è questo il significato della meditazione: la meditazione è la pratica della semplicità.
Da giovane mi avevano insegnato che la contemplazione è un’attività riservata agli “specialisti”; poiché nel Vangelo Gesù parla della preghiera, vorrei sottolineare due semplici e ovvi aspetti degli insegnamenti di Gesù.
Il primo è che Gesù è un maestro di contemplazione: Egli insegna la preghiera contemplativa; quando è interrogato riguardo alla preghiera egli non risponde “Bisogna andare alla sinagoga tutti i sabati”, non parla di regole, norme e precetti, non dà principi morali. L’insegnamento morale di Gesù è universale: “Amatevi gli uni gli altri”. Ma nel parlare di preghiera Egli dice di non usare forme esteriori di preghiera quanto piuttosto di entrare nel proprio cuore, e ci dice di non usare molte parole quando preghiamo, nella convinzione che più diciamo, più chiaramente Dio ci sente. Gesù ci insegna che il Padre conosce quello di cui noi abbiamo bisogno prima che noi lo chiediamo e non dobbiamo essere eccessivamente preoccupati riguardo ai problemi materiali: ci dice di concentrarci anzitutto sul Regno di Dio, prima che su ogni altra cosa, e di non preoccuparci del domani.
Questi sono i principali insegnamenti di Gesù sulla preghiera nel sesto capitolo del Vangelo di Matteo: interiorità, silenzio, fiducia, pace della mente, concentrazione, attenzione al momento presente.
Ma questi sono anche gli elementi della contemplazione; tutto ciò che Gesù insegna riguardo alla preghiera e alla vita spirituale ha a che fare con la contemplazione, non con l’esteriorità della religione.
Gesù, vivendo in una società fortemente religiosa, dà per scontato che chi lo interroga vada alla sinagoga al sabato, ma le uniche persone nel Vangelo con cui si arrabbia sono proprio i religiosi, non i peccatori; l’insegnamento di Gesù è una radicale sfida alla natura profonda della religione e alla nostra vita religiosa, ed Egli condanna la religione quando essa perde la dimensione contemplativa.
Il secondo aspetto dell’insegnamento di Gesù che vorrei sottolineare è Gesù è il maestro della non violenza: ci dice di porgere l’altra guancia, di benedire il nostro nemico e il nostro persecutore; ordina a Pietro di deporre la spada, poiché chi vive di spada morirà di spada, tutto questo per dire che la violenza non potrà mai porre termine alla violenza.
La storia dell’umanità è un circolo continuo di violenza, e nella situazione attuale tra America e Iraq vediamo un nuovo circolo di violenza che sta per ricominciare. I nostri governanti ci dicono che questa guerra porrà termine alle guerre, ma questo è quello che i governanti dicono rispetto alle guerre, dall’alba dei tempi.
Gesù senza alcuna incertezza insegna la non violenza.
E se questo è vero dobbiamo porci due interrogativi: perché la Chiesa non insegna la contemplazione come una fondamentale priorità della vita nelle parrocchie, nelle scuole cattoliche, e perché i cristiani non praticano la non violenza?
Lascio a voi la risposta a questi quesiti, ma probabilmente c’è un legame tra queste due dimensioni dell’insegnamento di Gesù.
Il nostro fallimento nel non riuscire a vivere in modo non violento forse è dovuto alla mancanza di contemplazione. Dal momento che non sappiamo contemplare, non siamo neppure in grado di mettere in pratica la non violenza, perché praticare la non violenza richiede una profonda comprensione: dobbiamo capire le ragioni del comportamento del nostro nemico.
La contemplazione è il dono che noi riceviamo, la meditazione è il modo in cui riceviamo il dono.
Nella meditazione mettiamo in pratica questi essenziali insegnamenti di Gesù sulla preghiera: il primo elemento della meditazione è il silenzio, il secondo elemento della meditazione è l’immobilità e il terzo elemento è la semplicità.
Nel meditare bisogna cercare di essere il più possibile silenziosi ed immobili; ma il vero sforzo di silenzio deve essere interiore; ci si accorge in breve tempo che nonostante il silenzio “fisico”, esteriore, la mente non è affatto silenziosa: è al contrario molto rumorosa e impegnata.
Soprattutto la nostra mente non è concentrata sul momento presente: pensiamo al passato o al futuro e se non pensiamo né al passato né al futuro è perché stiamo fantasticando (e gli psicologi affermano che trascorriamo fantasticando fino all’80% della nostra vita). In ogni caso, quella che viene meno è l’attenzione al momento presente, e lo scopo della meditazione è quello di farci lasciare alle spalle i pesi del passato o del futuro, di lasciare da parte le fantasticherie affinché poi ci si possa effettivamente ritrovare nel momento presente.
Non dobbiamo cercare di “raggiungere” il momento presente, perché già “siamo” nel momento presente.
Questa è la ragione per cui nella meditazione bisogna liberarsi da tutti i pensieri, positivi o negativi che siano.
In altre forme di preghiera si parla con Dio, o si pensa a Dio, e sono anch’esse importanti forme di preghiera che vanno praticate, ma nella meditazione si abbandonano tutti i pensieri: non si pensa a se stessi né ai propri problemi, non si pensa nemmeno a Dio.
Questa è la grande sfida per la nostra vita religiosa: fare il salto dal “pensare a Dio” all’”essere con Dio”.
Come si raggiunge questo obbiettivo?
Il benedettino John Main scoprì una cosa molto importante per la vita spirituale moderna insegnando ai primi monaci cristiani; scoprì un semplice metodo di insegnamento riguardo alla preghiera contemplativa ed è questo: per tutto il tempo della meditazione bisogna prendere un’unica parola o breve frase e la si ripete in continuazione nella mente e nel cuore. E mentre si ripete questa parola la si deve anche ascoltare, bisogna porre su di essa la completa attenzione.
Non bisogna pensare al significato della parola scelta. Bisogna lasciar andare tutti i pensieri; i pensieri sono come le onde del mare per un surfista: nella meditazione non bisogna “surfare” la mente, ma bisogna andare in profondità, al di sotto di queste onde, e la parola è quello che ci consentirà di andare più in profondità: è un viaggio dalla mente verso il cuore.
Come iniziamo a ripetere mentalmente la parola, dopo qualche attimo sorge il primo pensiero, della giornata passata, di un impegno per il giorno successivo, oppure ci si trova ad immaginare una conversazione. Nel momento in cui ci si rende conto di essersi abbandonati ai pensieri, bisogna semplicemente ritornare alla parola, e ricominciare a ripeterla. L’arte della meditazione sta nel pronunciare la parola con fede e ritornare con fede alla parola.
Si tratta di un metodo di preghiera molto semplice; non facile, ma semplice.
Importante è la scelta della parola, perché essa deve accompagnare tutto il percorso di meditazione, e volendo meditare seriamente è necessario svolgere la pratica quotidianamente.
A poco a poco la parola comincerà a radicarsi nel cuore, e in altri momenti della giornata la parola comincerà a risuonare nel cuore e a venire alla mente con pace e naturalezza, e sarà un segno della vita dello spirito nel cuore.
Sarà un’esperienza di preghiera continua, in ogni momento della giornata.
Nell’idea cristiana di preghiera, ciò che conta non è la propria preghiera individuale, ma è la preghiera di Gesù la cosa veramente importante.
Egli è il maestro della preghiera che prega continuamente in noi, e la Sua preghiera è la contemplazione che abbraccia tutto l’universo ed è presente in ogni cuore umano.
La regola principale per la postura della meditazione è sedersi con la schiena dritta: questo aiuta a restare svegli. Si appoggiano poi entrambi i piedi per terra e si tengono le mani sulle ginocchia.
Per la meditazione può essere usato anche il nome di Gesù, oppure il termine “Abba”; un antico mantra (“parola sacra”) cristiano è “maranatha”: è un ottima preghiera nella lingua di Gesù ed è la più antica preghiera cristiana. Significa “Vieni Signore”. Se si sceglie questa parola la si deve ripetere lentamente nelle sue 4 sillabe, “ma-ra-na-tha”.
Ci si siede immobili e una volta effettuata la scelta della parola si socchiudono gli occhi, rilassando i muscoli del viso e delle spalle, in una posizione comoda ma che permetta di rimanere comunque svegli e attenti.
Si può quindi cominciare a ripetere la parola scelta nel proprio cuore, “ascoltandola” mentre la si dice, e lasciando andare i pensieri che si presentano senza “combatterli”, sempre ritornando gentilmente e con fede alla parola.
Nell’avvicinarsi alla meditazione ci sono alcuni utili principi di base da seguire.
Innanzitutto non si deve giudicare la propria meditazione, non è possibile dare un voto ad essa attraverso l’osservazione, ma i suoi frutti emergeranno poi nella vita quotidiana. Paolo nella lettera ai Galati definisce i frutti dello spirito: essi sono l’amore, la gioia, la pace, la pazienza, la gentilezza, la fedeltà, la bontà, la generosità; sono le caratteristiche della vita divina che cresceranno e si espanderanno a poco a poco nella personalità umana, ed emergeranno specialmente nella relazione con il prossimo. Non possiamo amare il Dio che non vediamo se non amiamo le persone che vediamo.
Cominciare a meditare è una vera e propria disciplina, e come tale necessita di tempo affinché diventi una buona abitudine. Un modo per sviluppare questa abitudine è di praticarla insieme ad altre persone, ed è questa la ragione per cui in 60 Paesi nel ogni settimana si incontrano piccoli gruppi di meditazione cristiana nei luoghi più svariati.
Meditare con altre persone in silenzio rappresenta per i cristiani una nuova profondità nell’esperienza della presenza di Cristo, che è presente nel silenzio della meditazione come nel silenzio del nostro cuore.
Questa dimensione del silenzio e della presenza di Cristo nei nostri cuori, presenza che si rivela a noi nel silenzio della meditazione, è la strada della salvezza per ogni cristiano oggi e per il mondo intero.
[1] Testo rivisto da Maria Grazia Dusi, coordinatrice nazionale della COMUNITA’ MONDIALE PER LA MEDITAZIONE CRISTIANA – ITALIA (via Marche 2/A – 25125 Brescia), tel. 030.224549 – cell 333.6701242; www.meditazionecristiana.org