Meditazioni sul Vangelo di Giovanni

NASCE LA FEDE PASQUALE
La Maddalena
(Gv 20,11-18)

Preghiamo

Dio, onnipotente ed eterno,
il tuo Figlio ha voluto affidare a Maria Maddalena,
il primo annuncio della gioia pasquale.
Fa’ che per il suo esempio e la sua intercessione
proclamiamo al mondo il Signore risorto,
per contemplarlo accanto a te nella gloria.
Egli è Dio e vive e regna con te
nell’unità dello Spirito santo
per tutti i secoli dei secoli.
Amen.

Giunti all’ultimo incontro di questo anno giovanneo, ho pensato di riproporre in modo diverso l’esperienza di Maria Maddalena. Giovanni è sempre di una ricchezza unica. Seguirà l’incontro di Gesù nel cenacolo, dopo la risurrezione, il testo di domenica scorsa, giorno di Pentecoste.
Avevo pensato anche al capitolo 21, che sappiamo notoriamente non essere di Giovanni, ma di un redattore della sua scuola, ma mi pare ci siano ancora tante cose da imparare da questi testi di oggi.

Giovanni 20, 11-18

11Maria invece stava all’esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e dì loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». 18Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.

La ricerca dell’Amato

Se pensiamo che la fede sia un tranquillante dell’anima o, comunque, un possesso indiscusso di comode certezze, leggendo questi brani certamente ci sbagliamo.
Anche quando la fede giunge all’esperienza della pace, rimane, dal principio alla fine, una grande e rischiosa avventura spirituale, direi, anzi, la più grande che sia offerta agli uomini, perché pone sempre come condizione di partenza la ricerca di Dio, la ricerca del Cristo.
San Benedetto lo pone all’inizio della regola: quando uno bussa alla porta vedere cosa cerca, se cerca veramente Dio. Se cerca veramente Dio non si accontenterà di un posto, di un incarico, di un servizio. Dovrà pure fare qualcosa materialmente, però il motivo ultimo è la ricerca.
La fede ci pone sempre in condizione di partenza verso questa ricerca di Dio, questa ricerca del Cristo; ricerca non superficiale, ricerca appassionata, che coinvolge tutto me stesso, dalla testa ai piedi. E se cercare vuol dire sentire la mancanza di qualcuno di cui si ha bisogno assoluto, allora è chiaro che arriviamo a credere veramente in Cristo solo quando sentiamo che la sua assenza è un fatto insopportabile.
Pensiamoci sopra: arriviamo a credere veramente che Gesù è presente, al punto da diventarci insopportabile se non lo vediamo? Ci è davvero indispensabile quanto l’aria che respiriamo?
Non possiamo non averlo in noi e intorno a noi, non possiamo stare lontani da lui e perciò dobbiamo cercarlo.
Altre volte ho narrato quel racconto dei padri del deserto di quel giovane che apparentemente sembrava essere in una seria ricerca di Dio, ma il suo maestro non era molto d’accordo. Un giorno lo porta fuori, lo porta lungo il fiume, si siedono lungo il fiume a parlare e improvvisamente lo piglia per la testa e gli mette la testa nell’acqua. Lo tiene lì finché questa persona ad un certo momento non ne può più e quando molla la testa questo qui respira a pieni polmoni e il maestro:
“Cosa sentivi mentre eri lì?”.
“Sentivo che stavo per morire e avevo bisogno di respirare”.
“Quando la tua ricerca di Dio sarà della stessa intensità con la quale sentivi il bisogno di respirare, sei sulla buona strada”.
Come è indispensabile l’aria che respiriamo, così non possiamo fare a meno del Signore. Forse però ci rendiamo conto solo quando, proprio come la Maddalena, l’abbiamo perso, quando si è sottratto a noi e non è più a nostra disposizione.
L’esperienza di Maria Maddalena è proprio quella di chi, avendo perso il Signore, che l’ha amata fino alla fine (Gv 13), capisce che lui è l’unica e insostituibile verità della sua vita e si mette a cercarlo con una forza indomabile, veramente incredibile.
E ha pensato di averlo perso, non solo quando sul calvario l’ha visto morire crocifisso, senza riuscire a capire che quella morte portava un grande frutto, il frutto della fede sua, di tutta la comunità dei credenti, ma anche ora che a notte fonda viene al sepolcro da Gesù e non ne trova più il corpo. È proprio come perderlo di nuovo. Non solo la vita di Gesù, ma anche il suo misero corpo, le sono stati sottratti.
E al dramma si aggiunge la cocente delusione di non poter piangere vicino a ciò che restava del suo amato Signore. L’ha perso la seconda volta, così crede, ma non desiste e, piangendo, continua a cercarlo. Però il suo non è un pianto disperato, di una illusa che ha visto svanire il suo ideale.
Diciamo anche: guai a una fede prettamente sentimentale, che vive solo di emozioni; ma è anche povera e arida quella fede che non sa versare una lacrima per lui.
Ci vuole sempre un equilibrio in queste cose.
Proprio quel pianto, proprio quel dolore sono una grande e sincera espressione di fede.
È sincera quella fede che accetta coraggiosamente la perdita dell’amato, che riconosce apertamente e sfoga il suo dolore, e che invece di fare un’occasione per autocompiangersi o per impigrirsi, trae dal dolore stesso una nuova energia di ricerca, che conduce ad una convinzione più profonda, ad una dedizione autentica.

Questo per dire che fede vera è quella di chi non si stanca di ripetere: “Dove sei Signore?”. Questo amore incondizionato alla persona di Cristo, disposto come ogni vero amore a cercarlo ovunque finché non lo si sia incontrato.
Non a caso il vangelo di Giovanni descrive la Maddalena con i tratti della sposa che cerca il suo sposo (Cantico dei Cantici) improvvisamente sparito: “Sul mio letto, lungo la notte, ho cercato l’amato del mio cuore. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Voglio alzarmi, fare il giro della città per le strade, per le piazze. Voglio cercare l’amato del mio cuore. L’ho cercato, ma non l’ho trovato. Era scomparso. Io venni meno per la sua scomparsa. L’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto” (Ct 3).
Quindi come la sposa interroga tutti quelli che incontra: “Avete visto l’amato del mio cuore?”, così Maddalena domanda a colui che crede sia il giardiniere: “Se tu l’hai portato via, dimmi dove l’hai messo. Io andò a prenderlo!”.
C’è una potenza incredibile in questa ricerca di Maria Maddalena, una passione intensa per Cristo, che non si arrende nemmeno di fronte alla sua morte e alla sua assenza. Niente può travolgerla perché “forte come la morte è l’amore, tenace come gl’inferi è la passione, una fiamma del Signore” (Ct 8, 6).
C’è un banco di prova, meglio ancora una vera e propria scuola che ci fa maturare. Quando non sento più Gesù così presente, così vicino a me come una volta, come qualche volta l’ho sentito, e sono tentato di abbandonare, di annacquare la mia fede, proprio in quel momento mi viene offerto il momento migliore per rinsaldare questa fede, cercandolo, amandolo; anche quando mi sembra assente, riconoscendolo come il tutto della mia vita, come qualcuno che è il Signore, il mio Signore, che possono portar via dal sepolcro, senza però che svanisca la mia appartenenza a lui. Ormai apparteniamo al Signore, anche se non lo sento sempre così, come qualche volta l’ho sentito.
E qui, se volete, la Maddalena incarna la parola di Paolo: “Chi ci potrà separare dall’amore di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? In tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte, né vita, né presente, né avvenire, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,35ss).
La Maddalena incarna tutto questo.

Con il suo slancio appassionato, Maria Maddalena è per Giovanni molto più che una singola credente, un testimone, totalmente aderente al Signore, non appartiene più a se stessa ormai. Potremmo dire che è seconda solo a Maria, la Madre di Gesù, la Madre dei credenti.
La Maddalena è una figura universale, una vera e propria immagine viva della Chiesa, sposa di Cristo, santa e peccatrice, sempre bisognosa di conversione, che in ogni tempo cerca i segni del Signore risorto.
Ci sono già tanti elementi per apprezzare questa figura.

Contemplarlo crocifisso

Certamente è grandiosa questa passione di Maria Maddalena che, nonostante tutto, cerca il suo Signore e non può non suscitare la nostra ammirazione.
Probabilmente siamo disposti a sentirci più vicini a Pietro che non a lei, siamo più capaci anche noi di rinnegarlo e tradirlo in pubblico tre volte che non cercarlo personalmente con tutte le nostre forze.
Ma non pensiamo che Maria Maddalena sia il caso di una personalità eccezionale, ella è riuscita a cercare il Signore anche nel buio, anche nel pianto, non perché avesse doti particolari, in realtà il suo segreto è molto semplice: se riesce a stare sola davanti al sepolcro vuoto, alla ricerca del suo Signore, è perché fu tra quei pochi che, con coraggio, riuscirono a stare presso la croce di Gesù, assieme a Maria, sua Madre, la sorella di sua Madre e Giovanni, il discepolo prediletto.
Il segreto di questo amore tanto intenso, che supera anche la morte, è una scelta precisa, quella di stare in contatto personale con Gesù crocifisso, ricavando da lui stesso questa smisurata forza di cercarlo a tutti i costi. Una scelta anticonformista, una scelta coraggiosa, perché si tratta di amare pubblicamente colui che è rifiutato dalla stragrande maggioranza. Abbiamo presente l’immagine sotto la croce. Morendo Gesù dà la sua vita nel rifiuto e nell’indifferenza generale, in parte anche dei capi del popolo ebreo.
Il suo popolo lo condanna preferendogli Barabba, un sobillatore politico.
Pilato se ne lava le mani.
Pietro e gli altri fuggono tutti, tranne Giovanni.
Sotto la croce i soldati si dividono i suoi vestiti, tirano a sorte la sua tunica.
Il massimo dell’amore non potrebbe certo ricevere un rifiuto più pesante. La croce è il massimo della rivelazione dell’amore. Questo massimo dell’amore non potrebbe ricevere un rifiuto più pesante, ma dentro questa atmosfera generale di indifferenza, di odio, di grettezza, Gesù che muore trova questo spazio di accoglienza in questo piccolo gruppo di persone, che non sanno abbandonarlo come fanno gli altri, che non sembrano nemmeno preoccuparsi dell’ostilità che hanno attorno, sono calamitati da quella croce, da quel Crocifisso. “Stavano presso la croce di Gesù” dice l’evangelista.
Certo, non capiscono ancora tutto quello che sta succedendo, ma fanno la scelta di “stare”, di porsi di fronte a questa croce, che è la rivelazione dell’amore di Dio per il mondo.
Si capisce che nella fede l’essenziale non è né essere in tanti né capire tutto subito, ma piuttosto esporsi di persona al contatto e all’azione dell’amore.

Questo contatto è contemplazione, è vera preghiera intesa come uno stare a guardare l’Amato, mettersi sotto lo sguardo dell’Amato.
Agostino diceva: “Vedere colui che mi vede”.
Questo contemplarlo crocifisso.
Pregare è offrire il mio tempo, la mia persona a disposizione dell’Amore crocifisso, per essere trasformato dalla sua presenza. È stare a sua disposizione anche quando d’istinto mi rifiuterei.
È successo così a Pietro, quando davanti a Gesù, che si china per lavargli i piedi, non vorrebbe lasciarlo fare perché non capisce.
L’abbiamo meditato in questi mesi: “Adesso non capisci, capirai dopo” gli risponde Gesù. Così lo ha lasciato fare e in seguito ha anche tradito il suo Maestro. Ma poi è riuscito a capire e l’ha seguito a sua volta sulla croce.
Deve prima di tutto stare nel raggio di quell’incomprensibile Amore, povero, crocifisso, anche se non lo si capisce.
Lasciamoci contagiare, purificare.

Non misuro la qualità della mia fede dalle mie convinzioni, dalla generosità dei miei gesti, dalla soddisfazione del mio progresso umano e spirituale, nemmeno dal grado della mia serenità. Il criterio più sicuro per misurarla è rinnovare la mia disponibilità a colui che sulla croce dà la vita per me.
Questo vuol dire comportarsi come la Maddalena, come Giovanni, come la Madre di Gesù.
Fissare lo sguardo con tutta l’attenzione di cui sono capace a colui che è innalzato e con le braccia aperte, le mani inchiodate riunifica e riconcilia in sé noi peccatori con il Padre, Padre suo e Padre nostro: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”.
Solo da questo prolungato, sofferto guardare nasce in me la forza di cercare, di agire, di decidere.

La fede è anche una scelta libera, volontaria, che ciascuno deve prendere nell’intimo della sua libertà, ma la forza della decisione a ricambiare Gesù che mi ama fino alla fine, scatta solo quando mi avvicino anch’io alla croce e la fisso al centro della mia attenzione.
Solo l’amore convince e fa credere, ma solo sostenendo lo sguardo di questo amore, nasce dentro di noi il desiderio di aderirvi per sempre.
Per chi, come Maria Maddalena alza i propri occhi a quella croce, proprio quando appare incomprensibile, urtando la propria sensibilità, le proprie aspirazioni, diventa impossibile sfuggire al suo contagio. Quell’amore gratuito, fino a sciuparsi inutilmente, lentamente comincia a sciogliere le nostre resistenze.
E alla fine l’unico mio desiderio è quello di contraccambiarlo con tutto quel poco che ho e che sono.
Chi si dispone a stare presso la croce, imparando a contemplare il Cristo crocifisso (l’aveva insegnato anche il grande Francesco ai suoi confratelli) pratica una via sicura di conversione, perché è lì che muore il proprio uomo vecchio, da lì viene riversata in noi questa nuova sensibilità, questo cuore nuovo, che non cerca soddisfazioni effimere e deludenti.
Dalla croce Gesù addirittura ci trasmette il suo stesso e più profondo desiderio. “Ho sete” esclama prima di rendere il suo Spirito. Non cerca da bere in questo momento Gesù, ma esprime il desiderio di salvarci tutti donandoci il suo stesso Spirito, facendoci partecipi della sua stessa sete e instillando in noi lo stesso bisogno di una più intima vita con Dio, proprio come la sua.
Contempliamo anche noi il Crocifisso e con Maria Maddalena lasciamoci contagiare dalla sete di Gesù.

Stare sotto la croce faccia a faccia al Crocifisso fa paura, perché non ci si trova in grande compagnia. Dei parenti, dei discepoli di Gesù potrebbero essercene molti e invece ci sono solo quattro persone. Fa paura perché ci isola terribilmente, ci fa sentire in minoranza, estranei al mondo.
A che serve stare lì? Non è forse del tutto inutile? Cosa si può fare da soli, così in pochi? È assurdo, verrebbe da pensare, però proprio in questo sparuto gruppetto l’evangelista Giovanni vede la nascita della Chiesa. Questa cellula da cui germinerà l’unità di tutti gli uomini.
La comunità e la comunione ecclesiale nascono dalla croce, sono costruite solo da quelli che stanno assieme solo perché si ritrovano vicini alla croce di Gesù.

Incontrati dal Risorto

A questo punto scatta un altro momento: se Maria Maddalena cerca e ama il Signore con una fede sincera, intensa, tuttavia la sua non è ancora una fede matura, non è ancora una fede autentica, nonostante tutto.
Per giungere all’incontro con colui che la cerca, deve lasciarsi purificare nel suo stesso amore che nutre per Gesù. Prigioniera del suo dolore, accecata dal suo stesso pianto non riesce a riconoscere i segni della risurrezione di Cristo.
È già avvenuta: la pietra del sepolcro ribaltata, le bende a terra, i due angeli in bianche vesti, la pietra dove era deposto Gesù e Gesù stesso che scambia per il giardiniere. Tutto è lì ad attestare che non è morto, ma vive.
Lei però non sa vederlo.
Maria Maddalena rischia di sciupare questo grande potenziale di amore, perché troppo condizionato dalla sua sensibilità, dal suo modo di sentire Cristo.
In questo modo di essere ci siamo anche noi quando, attaccati ai nostri sentimenti, alle nostre abitudini, non sappiamo uscire da noi stessi adeguandoci a Gesù che, mentre si rivela in modo sempre nuovo, ci sollecita a rinnovare il nostro spirito confermandolo con il suo dono di vita.
Anche nella nostra vita quotidiana Gesù depone questi segni della sua risurrezione, riconoscendo i quali la nostra fede potrebbe essere più salda e gioiosa. Sappiamo riconoscerli!

Forse anche noi, un po’ ciechi come la Maddalena, siamo già stati interpellati da Gesù, dal Risorto, che ci chiede di verificare con lui perché ci lamentiamo, quale sia l’orientamento della nostra vita: “Perché piangi? Chi cerchi?”.
Ma anche per noi tutto questo sembra inutile, finché non abbandoniamo la nostra confusa ricerca per lasciare a lui l’iniziativa dell’incontro, cioè se non cediamo a lui la libertà di manifestarsi quando e come vuole.
Potremmo dire che nel pieno della nostra faticosa e sofferta ricerca lui spesso ci viene incontro improvvisamente e ci trova prima che noi troviamo lui, così dobbiamo assolutamente cercare il Signore, finché non sia lui a incontrarci.
Cerchiamo il Signore con tutta la nostra vita, però finché non sia lui ad incontrarci. E quando questo avviene, rinunciare ad afferrarlo per lasciarci invece afferrare. Non seguire il nostro impulso personale, ma ascoltare la sua voce, che pronuncia il nostro nome: “Maria”.
Sembra a dire: mettiamo a tacere il nostro io e lasciamo parlare lui. Sentiremo che è proprio lui, è la sua voce che ci parla e ha il nostro nome sulle sue labbra. In quel momento di buio anche il buio si squarcia una volta per tutte. Quando avviene questo evento, quando avviene questo episodio potranno avvenire altre oscurità, calare sulla mia vita, ma non potranno più sopraffare la luce del Risorto che mi ha chiamato per nome.
Altre voci potranno distrarmi: la mia debolezza, la cattiva volontà, ma solo alla sua voce tornerò a prestare ascolto, obbediente; mi sarà possibile anche recalcitrare, anche rifiutarla, ma è impossibile ormai confonderla, perché nessuna voce, se non la sua, è in grado di dare vita, comunicare la potenza della sua risurrezione, di fare uscire come Lazzaro dalla tomba. La sua voce che mi chiama pervade il cuore di una grande gioia, realizzando fedelmente la sua promessa: “Voi piangerete e vi rattristerete, mentre il mondo si rallegrerà; sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia”. Qui si verifica già.
“La donna quando partorisce è afflitta, perché è giunta la sua ora, ma quando ha ottenuto il bambino non si ricorda più dell’afflizione, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Anche voi ora siete nella tristezza, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia”(Gv 16, 21-22), gioia che non si può più perdere e che alimenta dentro di me pace e certezza per l’oggi, per il domani, perché la sua voce è garanzia di un cammino sicuro.

Il tuo futuro è custodito da lui stesso e dal Padre: “Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono, io do loro la vita eterna. Non andranno mai perdute. Nessuno le rapirà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è il più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio. Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, il famoso capitolo del Buon Pastore).
La voce del Risorto, la sua parola dissolve l’ambiguità del mio io, che così spesso sa confondere il bene col male, l’amore di Dio e l’amore degli altri con l’egoismo di adorare anche noi stessi.
Da quando Gesù, il Risorto, ha pronunciato il nome della Maddalena e con il suo quello di tutti noi, vuol dire che io, tu, tutti quanti, non siamo più prigionieri di noi stessi. Colui che ha vinto la morte, ha vinto anche la morte del mio cuore, ripiegato su se stesso, per aprirmi con tutte le mie forze alla risposta spontanea: “Rabbunì” (è la risposta di Maria), che vuol dire: “Tu sei il mio Signore, il mio Maestro, il mio Sposo, il mio Dio. Tu sei il tutto. Tu devi occupare ogni spazio della mia vita. Tu sei il più vicino, anche quando ti ho pensato assente, tu ridonerai la vita con potenza, con una potenza impensabile”.
È un attimo e la decisione della fede e della vocazione è presa una volta per sempre. È l’attimo in cui la risposta dell’uomo riflette tutta la potenza della Parola che mi è stata rivolta. È l’attimo in cui non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me. L’attimo indimenticabile della nascita della nuova creatura, che la Pasqua di Gesù mi dona con la grazia della conversione.
Dice Paolo: “Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per lui che è morto ed è risorto per noi” (2Cor 5).

“Salgo al Padre, ma è per voi!”

Il cammino non finisce qui, anzi qui comincia. Tutto ciò che precede è premessa, una lunga rincorsa per giungere a un più profondo incontro con Cristo, per rivedere da lui la missione di testimoniare a tutti che lui è vivo, è risorto.
A questo scopo c’è ancora qualcosa che deve essere trasformato.
Ancora troppo legata alle esperienze del passato, Maria Maddalena vorrebbe quasi afferrare Gesù, per ristabilire con lui le stesse relazioni di prima. Di nuovo il suo affetto potente la spingerebbe, come la sposa del Cantico, ad abbracciare l’amato: “Finalmente ho trovato l’amato del mio cuore. L’ho stretto fortemente non lo lascerò” (Ct 3, 4), ma di nuovo questa sua energia deve lasciarsi purificare da Cristo, che sale al Padre e affida a lei una missione.
L’incontro personale con il Risorto (è importante questa sottolineatura) ci inserisce in un doppio movimento: nello slancio con Cristo che sale verso il Padre e nella missione verso i fratelli. Entrare con decisione in questo slancio è la nostra Pasqua, la nostra conversione.

Certo, Gesù che sale al Padre non ci lascia subito soddisfatti, ci lascia perplessi, siamo di nuovo tentati di pensare ad un allontanamento, ad un distacco; si insinua in noi un senso di tristezza, di sospetto, che la nostra fede dovrà affidarsi a un Assente. Tuttavia la prontezza e la gioia con cui Maddalena butta ogni sua energia nella missione affidatale, ci invitano a riflettere che la partenza di Gesù è un distacco da noi solo in apparenza.
L’abbiamo meditato nell’Ascensione: la sua ascensione è l’ultimo atto di un grande movimento d’amore in cui egli rimane per sempre in noi. Non lo si vede più dall’esterno, perché ci entra dentro con il suo Spirito. Egli ci pervaderà sempre più intimamente mediante il suo Spirito consolatore. Attraverso di esso sarà sempre più radicato nel nostro cuore che diventerà così disponibile ad abbracciare l’Invisibile.
Non solo, ma noi stessi entriamo definitivamente nella vita del Padre. Riflettiamo su questo mistero dell’Ascensione: con l’Ascensione di Gesù il nostro mondo (perché Gesù ha preso la nostra carne) è trascinato dentro il mondo di Dio.
Vale la pena fermarci e contemplare per un istante questo mirabile movimento di amore, che, partito dal mistero dell’Incarnazione, tutto penetra e avvolge.
Gesù scende dal cielo mandato dal Padre, entra nel mondo con la missione di Figlio, si fa servo suo e nostro, per farci entrare nella libertà dei figli; assume la nostra carne, si lega a noi per sempre (lo vedremo nel testo che viene dopo, quando si presenta con le mani piagate). Poi, quando torna al Padre non si presenta a lui semplicemente come era venuto, ci torna con quel corpo preso da una di noi, ma segnato per l’eternità dalle piaghe della passione, trasfigurato dalla risurrezione.
E poiché ha operato tutto questo come Figlio, servo obbediente del Padre, ora può ritornare a lui dopo aver riallacciato dentro di noi quel contatto vitale con il Padre che la nostra disobbedienza aveva spezzato, dimenticato. Ecco perché è il nuovo Adamo. Adamo ha spezzato e Gesù, che è il nuovo Adamo, riallaccia questo legame.
Con il suo ritorno la nostra umanità viene ricondotta a quel Dio da cui proveniamo, ma da cui tutti per il peccato siamo sfuggiti, ci siamo rinchiusi in noi stessi spegnendo in noi la sua vita.
Ecco che cosa vuol dire anche la sua ascensione: ridarci accesso a quella vita per la quale siamo fatti: “Ci hai fatti per te” in modo irripetibile, fin dall’eternità, e ci prepara nella casa del Padre quel posto dove un giorno saremo accolti tutti attorno alla mensa di Dio, che “sarà tutto in tutto” (1Cor).
Lì Gesù ci precede, per mostrare al Padre che l’alleanza, con cui egli ci ha giurato eterna amicizia, è ormai stretta una volta per tutti e nulla e nessuno può più romperla.
“Io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo”.
Tante volte è stato detto, anche nell’Antico Testamento, che ora è il momento della realizzazione. Proprio quando lui dichiara a Maria Maddalena: “Non cercare di trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre, va’ dai miei fratelli. Di’ loro: io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”.

Tu che hai visto, fa’ vedere.

Alla nostra vita, non solo a quella della Maddalena, viene impressa una svolta definitiva, viene impresso un nuovo stile di vita. Qui ci ha aperto l’unico e vero orizzonte della nostra esistenza, quello di una vita che vale solo se è missione donataci da Cristo, solo se è vissuta in questo movimento verso l’alto, incontro al Padre.
Verso l’alto si apre la mia vita, verso il Padre. Non in solitudine, ma insieme a Cristo, insieme ai fratelli.
Questo significa che io non sono destinato a sparire in un oscuro e anonimo destino senza lasciare traccia, la mia vita (e questo è vero), la nostra vita non può più trascinarsi da un’evasione all’altra, non può più essere un dosaggio calcolato di egoismi e di generosità.
Non ho più il diritto di pensare solo in base al mio io.
Non ho più nemmeno l’alibi di sentirmi schiacciato dalle mie colpe, dai miei sensi di colpa, paralizzato da un Dio implacabile, ostile. La mia vita deve cambiare, la mia vita può cambiare. La mia vita è già mutata, perché Gesù ha fatto la sua Pasqua, è passato da questo mondo al Padre ed è andato a prepararmi un posto.
La mia vita deve cambiare, deve mutare, non solo in questo mondo per cogliere ogni tanto qualche gratificazione in mezzo a tante delusioni, solitudini, chiusure in me stesso, contrapposizioni, sospetto verso gli altri, perché tutto questo Gesù l’ha liquidato anche per me; ma anche verso il Padre in una fiducia filiale e verso gli altri per una condivisione fraterna.
Ecco dove il Cristo porta la mia vita, ecco dove devo e posso farla andare.

Un Padre (quante volte l’abbiamo sottolineato in questi mesi), che è quello di Gesù, che è un abissale e stupenda libertà di amare, immutabile nel suo donarsi totalmente e gratuitamente, una fonte inesauribile, prodiga di sé capace di vivificare tutto ciò che incontra.
Da lui, che è Amore, provengo. In lui vivo, a lui torno con Cristo e con i fratelli. Lui è il senso della mia vita.
Gesù, che sale al cielo, mi riporta in questo flusso di amore, mi apre il sentiero della vita, della libertà.
Io con le mie forze non saprei trovare né aprire questa via che è essenzialmente una missione da accogliere.

“Va’ dai miei fratelli e di’ loro: ho visto il Signore!”. Questa è la conclusione di tutto.
Per essere mandati, per essere evangelizzatori, per essere dei testimoni, bisogna averlo visto.
Solo chi lo ha contemplato, chi lo ha cercato anche con dolore, anche con sofferenza, chi ha ascoltato il proprio nome chiamato da lui, costui può testimoniare agli altri il Signore.
Ecco il senso di questa sosta attorno a questa figura.

Stamani la Maddalena ci invita tutti a verificarci su quale base costruiamo la nostra testimonianza, la nostra evangelizzazione. C’è una responsabilità: su quale base costruiamo la nostra presenza nella storia oltre che nella Chiesa?

Su quale fondamento costruiamo comunione tra di noi?

La Maddalena ci ricorda che saremo utili agli altri nella misura della personale e incondizionata dedizione al “mio” Signore, dal costante e prolungato incontro con lui, nella ricerca, nella preghiera, nel suo ascolto, nella lectio quotidiana, altrimenti quelle poche cose che abbiamo detto vengono spazzate via.

La Maddalena ci ricorda che anche noi possiamo essere dei testimoni se c’è questo costante e prolungato incontro con lui, nella sua ricerca, attraverso la preghiera, attraverso la lectio.

Ma il suo messaggio per noi è anche questo: vede veramente il Signore, resta nel ricordo costante di lui solo chi si lascia mandare da lui ai fratelli.

Solo se lo hai visto, se ti è apparso, fallo vedere, indicalo anche agli altri, altrimenti correrai questo rischio: ti dimenticherai presto di lui, non conoscerai la gioia splendida della fraternità della fede, che ci fa sua famiglia, sua Chiesa.

E credo che le persone, i fratelli hanno il diritto di sentire e di vedere la tua fede. Tu hai il dovere di annunciarla, è giustizia. Se tu veramente stai facendo un reale cammino di fede, non puoi non trasmetterla, per giustizia.

Noi sappiamo che la fede nel Signore è ciò che matura anche la nostra dimensione umana, dà una svolta alla nostra storia.

Quindi offri la tua testimonianza di fede, ciò che il Signore ti ha detto, senza pretese, solo per obbedire a chi ti ama e per amore ti incontra. Sembra dirci: “Da’ senza timore la parola che hai ricevuto e nella fede di nuovo sarai incontrato dal Risorto anche tu”.

Siamo partiti dalla ricerca dell’Amato, una ricerca sincera, profonda, vera, appassionata. Come la Maddalena bisogna essere innamorati del Signore.

Quante volte si dice: “Fino a che punto sei innamorato del Signore?”.

Imparare anche a contemplare il Crocifisso, come ha fatto Maria, la Madre di Gesù, Giovanni, e saperlo contemplare, anche se siamo soli, anche se siamo in pochi.

E poi mentre tu lo cerchi, sarai incontrato dal Risorto.

Poi “Salgo al Padre”, che è anche il Padre vostro.

C’è questa ascesa, e nello stesso tempo c’è “Padre vostro”: nasce anche un senso di fraternità.

Da ultimo: Tu che hai visto, fa’ vedere. Tu che l’hai incontrato, l’hai sperimentato attraverso la preghiera, attraverso l’ascolto, cerca di essere un testimone autentico, sincero, vero, ed è giustizia che tu possa trasmettere anche agli altri ciò che la Parola che incontri ha fatto maturare dentro di te.

NOTA: testo, rivisto dall’Autore, della conversazione tenuta a Bescia il 6.2.2009 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.