Ciò che in primo luogo colpiva in Padre Bevilacqua era lo stile, il tipo di intelligenza. Padre Bevilacqua avvertiva acutamente che la verità è sempre qualcosa di più profondo delle forme concettuali in cui si esprime; e se questo è vero in ogni forma di conoscenza, lo è a fortiori quando si tratta del Vangelo, quando si muove incontro a quella verità che ci supera da ogni lato e nello stesso tempo ci fonda. Malgrado certe apparenze ed alcune espressioni drastiche, non vi era traccia di irrazionalismo in Padre Bevilacqua, ma uno sforzo incessante per vedere in profondità, per disporsi all’ascolto della Parola che ci rende liberi, per unire l’umano e il divino senza lasciarsi imprigionare da aride formule, da romanzi pseudo-metafisici e da false evidenze.
Padre Bevilacqua aveva un’intelligenza intuitiva e possedeva il dono raro di saperla destare negli altri. Il suo spirito si manteneva nel concreto. La sua era, infatti, una mente libera dallo spirito di sistema e dalle sue illusioni. A venticinque anni dalla sua dipartita, Padre Bevilacqua è presenza viva nella memoria di quanti lo poterono ascoltare e leggere, perché incarnava una forma mentis e una spiritualità che felicemente aprivano alla comprensione del Vangelo. C’era in lui il gusto di pensare e di far pensare su misura dei fatti, la capacità di ascoltare con grande rispetto l’uomo che lotta per porsi in chiaro con se stesso, con gli altri e con Dio.
Tra le fonti del pensiero dell’indimenticabile filippino io metterei al primo posto Henri Bergson, soprattutto il Bergson de Le due sorgenti della morale e della religione, che è del 1932. Bergson, il filosofo dell’intuizione che affronta il problema della vita morale e religiosa – indagate l’una e l’altra al punto più basso e al punto più alto del loro manifestarsi – secondo il procedimento duale del suo pensiero. È uno degli ispiratori del Bevilacqua della piena maturità, un grande in cui Bevilacqua si è pienamente riconosciuto.
Affascinava in Padre Bevilacqua il confronto costante e aperto con gli orientamenti che emergevano nella cultura del tempo e, direi, soprattutto negli spiriti. La sua riflessione gettava luce sui problemi che realmente si dibattevano. Padre Bevilacqua non ha mai messo la testa nella sabbia e nutriva una schietta ripugnanza per quei cristiani che si rifugiano nelle facili consolazioni e nel facile disprezzo. Non si è cristiani, infatti, se non si condividono le ansie e le speranze dei nostri simili, se non se ne ascoltano le voci, anche se da noi discordanti, con il massimo di onestà e di apertura intellettuale. Questo coraggio, questa sua grandezza d’animo, ci hanno sempre conquistato. Il libro che meglio attesta questa sua capacità è Equivoci- Mondo moderno e Cristo. Padre Bevilacqua non faceva del cristianesimo un vinello dolce, non amava gli ibridismi e i compromessi e avvertiva dolorosamente le deformazioni aberranti, la forza di disumanizzazione di errori e unilateralità che teorie e movimenti si portano dentro; ma egli sapeva altresì che una verità senza amore per gli uomini non è mai verità cristiana. Il sì e il no di Padre Bevilacqua erano caldi, magnanimi, energici, tali da liberarsi da una serie di schematismi e di contrapposizioni manichee, ma anche da confusioni e ammiccamenti. Bevilacqua era insomma l’uomo della chiarezza, strutturalmente incapace di patteggiare con ciò che doveva essere rifiutato dalla coscienza cristiana. È giustamente nota la sua intransigente opposizione al fascismo, ma fu netto anche il suo rifiuto del totalitarismo comunista.
Padre Giulio parlava al cuore dei giovani generosi perché la passione per la giustizia sociale e la sua eroica povertà erano fin troppo evidenti nella sua parola e nella sua vita. Egli ci fece comprendere che il cristianesimo non ha nulla a che spartire con il conservatorismo di qualsiasi genere, che non ci deve essere una cattura borghese del cristianesimo, che il messaggio evangelico va oltre tutte le ideologie e le realizzazioni politico-sociali di questo o quel momento storico. Il messaggio evangelico proclama il metodo dell’incarnazione ed è il fermento che suscita iniziative sempre nuove per meglio servire l’uomo, è ciò di cui han più bisogno la politica e l’economia per umanizzarsi; ma la riduzione mondana del cristianesimo, sotto qualsiasi forma, è la negazione immanentistica più radicale della sfera religiosa e del destino immortale della persona. La distinzione, così ricorrente nei suoi scritti e nella sua conversazione, fra le diverse forme di “cristianità” storicamente determinate e il “Cristianesimo” che tutte le trascende, fu per noi un modo prezioso sia di avvertire l’impegno sociale e politico, sia di non trasformare mai la militanza politica in una specie di clericalismo, diretto o indiretto, di sinistra o di destra che fosse.
Quest’uomo ci ha insegnato un’altra verità alta e bella: la discrezione di Dio. “Il vero Dio è discreto”, amava ripetere. Verità questa che egli strettamente univa all’imperativo per la Chiesa di porsi in prima linea nella difesa della libertà di coscienza ovunque, e non solo dove essa è perseguitata. Per questo gli era caro ricordare che l’eroe incredulo di un romanzo di Cronin, Le chiavi del regno, ringrazia il missionario perché non l’ha voluto convertire per forza. Per questo la dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa gli apparve la conditio sine qua non per un dialogo a tutto campo tra la Chiesa cattolica e il mondo contemporaneo. Noi troppo spesso abbiamo confuso la discrezione di Dio con la nostra vigliaccheria, con il nostro tacere sul messaggio di Dio. Non così Padre Bevilacqua. Egli non era certo l’uomo che temeva di annunciare il Vangelo nella sua forza e interezza. La Parola lui non l’ha mai tradita. Ai suoi occhi cercare gli uomini, in un’epoca dura e senza sentimentalismi come la nostra, si può, non solo, ma si deve. A una condizione, però: che gesti e parole emergano da un’evidente calda atmosfera di calda e umana simpatia. Il cristiano deve andare incontro agli uomini senza manovre accerchiatrici, ma suscitando in essi la consapevolezza di quel bisogno di luce e di fraternità che è insito in ogni uomo.
Giornale di Brescia, 6.5.1990.