Giornale di Brescia, 25 maggio 2010
Sessant’anni di vita sacerdotale nel segno del dialogo e dell’apertura di mente e di cuore alle persone e alle vicende del nostro tempo, con un tratto ironico e mai sarcastico, tipicamente filippino.
Questo è stato il grande dono che Brescia ha ricevuto da padre Giulio Cittadini, nato a Trento nel 1924 e ordinato prete nel 1950 presso l’Oratorio della Pace.
Vocazione adulta, quella di padre Giulio, maturata nella frequentazione di straordinarie figure di padri filippini, quali Giulio Bevilacqua e Carlo Manziana, negli anni difficili della martellante propaganda razzista e intimamente anticristiana del regime fascista. Dopo il 1943 appare naturale a Giulio Cittadini aderire al movimento partigiano, come a gran parte dei giovani della FUCI che aveva sede in via Pace 10. La fuga durante l’addestramento nell’esercito repubblichino, l’inquadramento nella 76a brigata Garibaldi che operava in Valle d’Aosta, i durissimi mesi passati in montagna, la liberazione: un’esperienza formativa che si affianca a quella ricevuta dai padri filippini. Padre Giulio ha sempre rivendicato l’intima coerenza tra la scelta resistenziale e, immediatamente dopo – il primo ottobre 1945 –, quella di entrare alla Pace quale aspirante al sacerdozio filippino: “non potevo stare dalla parte di una realtà lesiva per la dignità dell’uomo; ed è stato per questo stesso processo interiore che poi sono entrato in una congregazione che serve la persona umana e quei valori che la esaltano”.
All’Oratorio della Pace padre Giulio vive i fermenti, le attese e le riflessioni di un cattolicesimo che vuole rinnovarsi ed iniziare un dialogo con il mondo moderno, assumendone il linguaggio e le contraddizioni, aspettative che troveranno un’eco importante nella stagione del Concilio Vaticano II.
Una delle novità epocali del Concilio, l’avvio del dialogo con le altre confessioni cristiane, aveva già avuto inizio alla Pace e vede da subito impegnato in prima fila padre Giulio nel proporre incontri per far conoscere le ricchezze di ogni Chiesa, momenti di convivialità e di preghiera comune.
Padre Giulio ha più volte ricordato che l’ecumenismo è una dimensione interna della Chiesa prima ancora di essere un movimento che si propone la ricostruzione in unità del mondo cristiano.
Richiede pertanto il rifiuto dell’integralismo, del muro contro muro, della presunzione intollerante e, in positivo, la passione del creare comunione, di comprendere l’altro, il diverso da noi, di riconoscergli le ragioni di cui è portatore.
Questo stile dialogico, fatto di ascolto paziente ma anche capace di distinguere tra verità necessarie e opzioni soltanto lecite, è forse il tratto più caratteristico della personalità di padre Giulio, che lo ha fatto amare e stimare da generazioni di giovani studenti liceali e universitari. In lui vi è una tendenza direi innata alla comprensione e all’indulgenza, una straordinaria capacità a non mettere l’interlocutore in difficoltà, un approccio fiducioso. La cordialità e il rispetto facilitano i rapporti umani, la confidenza, la richiesta di un parere che arriva – a questo punto – chiaro e non elusivo. Padre Giulio non si è mai imposto a nessuno e proprio per questo è confidente di moltissimi.
É stato di stimolo a parecchi laici in associazioni e realtà (tra cui gli Scout, le Bande Irregolari Marcoliniane, la FUCI e il MEIC, il Pro Famiglia, la Commissione diocesana per l’ecumenismo, il Centro Studi La Famiglia, la Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura), in molte delle quali continua a portare un contributo fatto di vicinanza discreta, amicizia sincera, intelligenza e incoraggiamento.
Una presenza costante, umile, che – uso una frase dello stesso padre Giulio – ha saputo tenerci “ancorati alla terra proprio mentre ci fa alzare gli occhi verso il cielo, ci consente di essere contemporaneamente fedeli all’uomo e a Dio”.
Una presenza però capace anche di inquietare, di porre le domande radicali che per pigrizia preferiamo tralasciare, di appellarsi alla voce della coscienza prima che a quella dell’autorità e di indignarsi ogniqualvolta il Vangelo, proprio dai cristiani, è mutilato, annacquato, presentato a propria misura.
Da questa curiositas, dal desiderio di “rendere ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15) nascono gli agili volumetti editi per i tipi della Morcelliana: Credo Risorgerò (1985), Elevato da Terra (1987), Invitati a sperare (1996), La tenda e i paletti. Annotazioni e ipotesi sul tempo (2000), Sull’umiltà (2003), Virtù quotidiane (2006).
In essi viene proposta l’immagine di un Dio liberante, amico dell’uomo, che è carità e che ci chiama all’amore.
Cosa resterà secondo il Vangelo, si chiede padre Giulio, dopo il nostro passaggio temporale? “Resterà ciò che per amore avremo donato dei nostri beni, del nostro tempo, delle nostre sollecitudini, di noi stessi” (Invitati a sperare, p.55).
Di questo Dio di cui è innamorato, oggi che non può più scrivere per gravi problemi alla vista, padre Giulio continua a riproporre la misericordia e la speranza in brevi omelie con un’acutezza e un’essenzialità straordinarie, in cui traspare la serena spiritualità del magistero di san Filippo Neri.