Venticinque anni fa padre Carlo Manziana divenne Vescovo. Brescia si rallegrò perché uno dei suoi figli migliori andava a reggere una diocesi vicina e non fu difficile per chi lo conosceva misurare quale dono veniva fatto alla Chiesa di Crema. Chi lo conosceva bene sapeva che quell’uomo esile e dalla fragile apparenza aveva non solo una straordinaria finezza di sentire e il gusto dell’intelligenza della fede, ma anche una volontà di ferro e un cuore grande. A Crema il Vescovo bresciano Carlo Manziana ha portato se stesso, il meglio di se stesso, e si è dato senza risparmio per rendere operante in ogni campo il rinnovamento conciliare. E lo ha fatto nel suo stile, con generosità sconfinata, con dedizione totale, valorizzando ogni collaborazione intelligente e disinteressata.
II Vescovo Manziana, insomma, s’è portato appresso… il Padre Carlo della Pace: schietto, insofferente di chiacchiere e sottigliezze così come di gesti e atteggiamenti adulatori, intimamente angosciato per il trionfo delle mitologie di turno nell’animo di tanti giovani laici e sacerdoti, che avrebbero pagato a troppo caro prezzo il delirio per ideologie che oggi appaiono anche ai ciechi e ai loro stessi sostenitori per quel che sono. Per chi aveva atteso e preparato con azione tenace e lungimirante la stagione del Concilio e aveva dato, con discrezione, la sua opera (insieme a quella di parecchi Padri della Pace) per individuare precisi punti su cui far leva – in primo luogo in campo liturgico, poi sul grande tema della libertà di coscienza e su quello dell’ecumenismo – fu una croce, la più crocifiggente delle croci, veder parassitato il grande movimento conciliare dall’asservimento dei cosiddetti “progressisti” a un politicismo assoluto, intimamente estraneo allo spirito e alla lettera del Vangelo. Negli anni della paurosa crisi postconciliare, a Brescia sono stati in molti ad avvertire che Padre Carlo, pur soffrendo e pregando per la nostra città, era altrove e ci mancava.
Alla sfida che ha caratterizzato tanta parte degli anni del suo episcopato, Padre Carlo ha risposto. Non è uomo da arrendersi. Oltre il dolore e il pianto c’è l’impegno ad agire, a costruire. Purtroppo oggi le coscienze sono tentate da un male ben più insidioso: la banalizzazione dell’esistenza, l’omologazione ad una mentalità utilitaristica, il consumismo edonistico. E il segno rivelatore della nuova barbarie che avanza è tragicamente chiaro: il rifiuto della cultura della vita, l’aborto ridotto a pratica anticoncezionale. Padre Carlo ne soffre tremendamente e non cessa dire, denunciare, ammonire, esortare.
Tornato a Brescia per raggiunti limiti di età, il Vescovo emerito di Crema, è rimasto legato ai suoi fedeli e agli impegni assunti con quella Chiesa che fu sua. Ma ora è un po’ più nostro. E chi non ricorre alla sua indefettibile disponibilità, anche se marcia verso gli ottantasette anni? Io per primo! Penso che non sia passato un anno senza che per la Ccdc non lo abbia costretto a parlare ai giovani. Padre Carlo, infatti,è il testimone di un binomio che va percepito sempre di nuovo: Cristo e libertà. Egli lo ha incarnato nella sua esistenza, lo ha trasmesso a tanti giovani: per quel binomio ha resistito a lusinghe e a minacce, è stato torturato e internato a Dachau. Per quel binomio – Cristo e libertà – egli è non solo uno degli uomini di Dio più coerenti e appassionati, ma anche un alto punto di riferimento per la coscienza civile.
Giornale di Brescia, 2.2.1989.