Voce del Popolo, 22 novembre 2012
Educare significa anche coltivare e promuovere nei giovani ideali e valori positivi, non soltanto impartendo astratte nozioni, ma anche, traendo spunto dai testi e dagli avvenimenti, proponendo figure paradigmatiche per generosità, altruismo, coraggio, amor di patria e grande senso di giustizia e libertà. È n quest’ottica che l’iniziativa della posa delle Stolpesteine (Pietre d’inciampo), ideata e proposta dall’artista tedesco Gunter Demnig e attuata in alcune città italiane ed europee, deve essere giustamente resa nota anche nelle scuole. Si tratta di un percorso simbolico, che rinnova il ricordo dei deportati nei ager, attraverso la posa di una pietra incisa, davanti alle loro abitazioni. Un segno tangibile e concreto, che rende la memoria parte integrante della nostra quotidianità, intrecciando presente e passato. È il ricordo di un periodo buio della storia, ancora vivo nei nostri nonni, che è un nostro preciso diritto e dovere non dimenticare. Ricordo di cui dobbiamo far tesoro, perché, per chi resta, è il miglior strumento per riflettere e cercare di non commettere gli stessi errori del passato. Agli studenti del Liceo Arici di Brescia è stato assegnato il compito di presentare la figura dell’ avvocato Andrea Trebeschi, ex alunno, compagno di classe e amico di G.B. Montini, il futuro Paolo VI. Trebeschi fu deportato nel 1944 nei campi di concentramento nazisti e morto il 24 gennaio del 1945 nel lager di Gusen. L’essere cresciuto in una famiglia non solo di ispirazione cattolica, ma anche culturalmente stimolante e socialmente impegnata, contribuì a maturarne la vivacità intellettuale e l’impegno politico. Nel corso della sua vita egli profuse grandi energie per far sì che la scuola avesse una valenza formativa anche, e soprattutto, nelle coscienze dei giovani. Mi sembra significativo citare le parole dell’avvocato Cesare Trebeschi, figlio di Andrea: “Pare importante che, camminando sulle nostre strade – afferma l’ex sindaco di Brescia – i cittadini inciampino nella memoria di semplici vittime, vittime non soltanto ma anche e forse soprattutto del complice silenzio di chi preferisce stare alla finestra”.