Un pensatore che molti considerano un genio, Teilhard de Chardin, scriveva qualche decennio fa: “Il sogno che alimenta oscuramente la ricerca umana è, in ultima analisi, quello di riuscire a dominare l’energia fondamentale che tutte le altre forme di energia non fanno altro che servire; afferrare, tutti uniti, il timone del mondo, per impadronirsi della molla stessa dell’evoluzione. A coloro che hanno il coraggio di confessare che le loro speranze arrivano sino a questo punto, io dirò che essi sono i più uomini tra gli uomini”. E ancora, nella stessa opera, Il fenomeno umano, il cantore de “le magnifiche sorti e progressive” proseguiva: “Se l’umanità fa uso dell’enorme quantità di tempo di cui ancora dispone, essa ha dinanzi a sé delle possibilità immense”. Ma il vero problema è se le possibilità di cui dispone l’umanità saranno effettivamente utilizzate perché quello che realmente accade oggi e accadrà in futuro si decide nel campo della storia. Solo questo ci concerne direttamente. La questione del potenziale biologico-genetico dell’umanità non ci toglie il sonno, ma la questione del suo futuro storico sì. La situazione suicida dell’era atomica, ad esempio, e il terricidio ecologico possono ben toglierci il sonno.
È finita anche l’illusione del progresso tecnologico che, in virtù delle sue straordinarie risorse, si pensava sempre capace di porre rimedio ai mali che accompagnano il suo stesso sviluppo. L’uomo d’oggi sta perdendo la sua antica fiducia in sé, nel meraviglioso futuro a cui avrebbe aperto le porte “la conquista della natura da parte dell’uomo”. Al contrario, il futuro è diventato terrificante. E lo è almeno per tre ragioni. Il pericolo atomico non è una fantasticheria. In secondo luogo stiamo sprecando le limitate risorse del pianeta a velocità fenomenale, camminando a grandi passi verso il crollo della società tecnologicamente avanzata da cui abbiamo finito per dipendere. Infine stiamo inquinando la terra, l’acqua e l’aria su tale scala che in un futuro abbastanza ravvicinato il pianeta non sarà più abitabile.
Su quest’ultimo aspetto della nostra esistenza ha richiamato l’attenzione il saggista inglese Christopher Derrick, in un libro dal poetico titolo, La creazione delicata, tradotto in italiano da Jaca Book. Fa impressione leggere sui giornali e sulle riviste scientifiche fatti da incubo che rendono il quadro d’insieme sempre più chiaro e spaventoso. Il Reno e il Danubio sono così inquinati da rendere impossibile la vita persino alle anguille; i due fiumi i più celebri sono oggi diventati le due fogne più luride d’Europa. Lo smog di Los Angeles è stato avvistato dagli astronauti a oltre 25000 miglia di distanza. In California ai bambini viene regolarmente proibito di fare giochi energici o troppo moto, perché ciò li farebbe respirare più profondamente, avvelenandoli. Come si vede, siamo minacciati da qualcosa di peggio di un’orrenda distruzione. Molte specie sono scomparse: potrebbe succedere anche alla nostra e non necessariamente a causa di una terza guerra mondiale. Come si è giunti a tanto? Che cosa fare? È difficile dirlo. Qualche considerazione, però, può legittimamente essere formulata. Nel mondo intero, dovunque giunge l’impero dell’homo techno-scientificus, nasce una crisi ecologica e ambientale, che ha la massima acutezza là dove tale impero viene riverito più profondamente. La materia non più compresa ed amata, ma soggiogata e sfruttata con brutale cinismo. Il mondo, la natura, la vita sono semplicemente qualcosa da strumentalizzare, perché in sé non hanno valore, e il terricidio non sarebbe oggi possibile se da qualche secolo un disprezzo profondamente manicheo per la materia non si fosse insinuato negli animi.
“Quel che fa la gente in merito alla sua ecologia – ha scritto Lynn White Jr.- dipende da quel che pensa di sé in rapporto alle cose che la circondano. L’ecologia umana è profondamente condizionata da convinzioni relative alla natura e al destino dell’uomo, dalla religione”. Di fronte al manicheismo che si affianca alla prassi tecno-scientifica del dominio assoluto della natura, abbiamo effettivamente bisogno di riscoprire, riaffermare, tradurre in comportamenti pratici l’antica consapevolezza che la creazione delicata di Dio attesta una presenza, non è cattiva e nemmeno neutrale. In ragione della loro esistenza e a misura di essa, tutti gli esseri hanno una loro bontà. Questa consapevolezza, pienamente ritrovata e profondamente sentita, condurrebbe a un modo radicalmente diverso di guardare e di trattare la natura, su direttrici più simboliche e meno volte allo sfruttamento, meno appropriate a un nemico e più consone a una madre. L’empietà cosmica cederebbe allora il posto alla pietà cosmica. Questa è la “rivoluzione francescana” di cui abbiamo bisogno per lavorare rendere abitabile il mondo. Un nuovo ascetismo, un nuovo senso del dono e della bellezza della natura, un’animazione etica della tecnologia (un fardello che non si può deporre solo perché cominciamo a sentirlo pesante) ecco tre prospettive degne e necessarie per un’umanità che voglia avere un futuro.
Giornale di Brescia, 13.1.1982. Incontro scritto in occasione dell’incontro con il filosofo Christopher Derrick sul tema: “La creazione delicata: per una cultura dell’ambiente”.