Mio compito era quello di elencare le iniziative, leggere i titoli dei testi, delle pubblicazioni, delle mostre, degli spettacoli, delle conferenze e dei convegni, realizzati nel corso degli ultimi anni in collaborazione tra la Cooperativa Cattolico-Democratica di Cultura e la Fondazione CAB. Ma dopo aver visto il volume che viene presentato oggi opto per alcune considerazioni:
La cultura letteraria è bellezza, è riflessione, è consolazione dell’uomo, è conoscenza dell’animo umano, allarga gli orizzonti dell’anima. Per questo una Fondazione., in ogni momento, avrebbe l’obbligo di esaltarla e di essere accanto a coloro che vi operano.
Senza con ciò pensare di sostituirsi alla scuola e senza patire del fatto che la scuola in genere, riesce a impegnare poco i giovani alla cultura letteraria. Compito perciò di una Fondazione può essere quello di operare perché, in maniera diversa da quella scolastica, molti uomini e donne possano approfondirla. Di tutte le arti, viste nelle loro molteplici espressioni, quella letteraria si può senz’altro definire la più difficile e impegnativa. La manifestazione letteraria di per sé non si ammanta di uno pseudo ruolo e, se volessimo scendere a dei confronti, potremmo dire che una mostra dei dipinti o una prima musicale in teatro sono senz’altro nell’approccio, più facili e più accattivanti: il lettore, soprattutto quello di letteratura non contemporanea percorre sempre una strada in salita, che colma i vuoti e individualizza. E’ da solo, il lettore, lui e la pagina, di fronte alla parola scritta.
Non sempre è una posizione facile, ma ciò che ne guadagna, non lo perde più.
La letteratura è allora l’espressione artistica più interiorizzante, proprio perché non deve passare attraverso nessun senso: né quello dell’udito, né quello degli occhi. Non a caso, senza nulla togliere all’arte che ci può essere in un quadro, questo lo vedono tutti, è più immediato, un libro no.
E’ senz’altro più facile capire un quadro che Dante Alighieri.
L’arte letteraria è pura e dà frutti che rimangono; è anche la più in sintonia con l’essenza statutaria propria di una fondazione. Ha cioè come obiettivo l’esaltazione dei valori più nobili, la cultura in primo piano, senza lucro.
La letteratura appartiene alla storia di un popolo, e la lingua, che è il suo mezzo espressivo, è il cardine della storia di un popolo.
Quando si parla di popolo ci si riferisce a persone che hanno ali stessi usi, costumi, religione e parlano la stessa lingua.
Ciò non significa chiusura e unica attenzione alla letteratura italiana, come nel nostro caso.
C’è da riscoprire tutta la letteratura dialettale, così come vanno indagate e approfondite le letterature delle altre nazioni, tradotte certamente, anche se dobbiamo dirci che l’ideale sarebbe avvicinare queste letture nel testo in lingua originale e ciò per scoprirne gli elementi più autentici e per saperne leggere i rapporti, i momenti di contatto con la nostra letteratura, in una logica “comparata” (che forse da noi si fa troppo poco).
Così si contribuisce alla ricerca di quella grande Unità, vera se nasce dal confronto, e ci si immerge in quell’anelito, che l’uomo vive di appartenenza al villaggio globale.
La costruzione dell’Europa unita, che ci compete di realizzare, potrebbe ricevere l’indispensabile supporto proprio dalla cultura letteraria, sapendo quanto la politica, l’economia, l’impatto sociale, ne avrebbero bisogno, per far giungere a compimento la progettata unificazione. Diceva il prof. Matteo Perrini in una recente intervista “antidemagoghi per vocazione, vogliamo far capire, soprattutto ai giovani, che l’Italia deve ridisegnare il modello della vita individuale e collettiva su nuove coordinate” e l’intervista stessa chiudeva con l’affermazione: “l’essenziale è che in ogni campo il rigore della ricerca, la libertà di spirito, il rifiuto di ogni grettezza e di qualsiasi servitù costituiscano lo stile del nostro operare.”
La conoscenza letteraria esalta queste parole, che sono pietre miliari per l’incerto procedere delle nostre giornate. Se è vero come è vero che la cultura non ha tempi brevi e che la verità, insita nella Cultura stessa, è fatica, in un tempo dove sembra prevalere la logica dell'”usa e getta” o peggio ancora del “tempo è denaro” bene si affianca al monito del prof. Perrini la dolorosa denuncia di Arturo Carlo Jemolo che, in una lettera degli inizia degli anni ’80 scrive “forse ci eravamo illusi sugli Italiani; avevamo trascorso qualche lustro come in un bozzolo, con persone che pensavano come noi e non ci eravamo accorti dell’egoismo dei più, per cui la libertà del pensare è l’ultima delle preoccupazioni. Ma soprattutto è venuta quella terribile mania del benessere, del lusso, quell’avidità del godimento giornaliero, che è stata la spinta alla rovina”.
Ciò che è contenuto nel libro “Da Dante a Pascoli” è quasi la risposta, oserei dire il riscatto di un’etica, e anche il recupero di quei valori grazie ai quali, che non sembri eccessivo, solamente grazie ai quali la vita vale un impegno.
Sono grato alla Cooperativa Cattolico-Democratica di Cultura per l’opera odierna e, prima ancora, per il passato glorioso che l’ha vista protagonista della storia bresciana, con una scelta politica oltre che culturale che è andata ben oltre i confini della nostra città, in anni difficili quando molti, per eccesso di prudenza, preferivano tacere, altri andavano a nascondersi, altri ancora consideravano l’opportunità di adeguarsi. Sono grato alla Cooperativa Cattolico-Democratica di Cultura perché, nella nebbia di quegli anni, è stata punto fermo, faro acceso, porto sicuro di idee e di interessi veri.
Ciò è stato possibile perché c’era dietro ansia di democrazia e di libertà, senso del dovere nei confronti degli altri, fede nei principi inalienabili.
Sono grato alla Cooperativa Cattolico-Democratica di Cultura perché, ancora una volta, così come in passate occasioni, come è stato, ad esempio, per la pubblicazione “Da Leopardi a Montale”, mi ha rimesso in contatto con i testi del nostro patrimonio culturale e con i commenti ai testi stessi, che sono assai belli.
Ho gustato questo rapporto e non lo dimenticherò.
Ho scelto, per una sola citazione del libro oggi presentato, non a caso, la “Nebbia” di Pascoli.
Là dove il poeta dà significato all’immenso, che l’uomo non è capace di codificare e che perciò rimane nebbia
“Ch’io veda soltanto la siepe dell’orto, … la mura ch’ha piene le crepe di valeriane, … ch’io veda i due peschi, i due meli soltanto, … ch’io veda quel bianco di strada, … ch’io veda il cipresso là solo, qui solo quest’orto, cui presso sonnecchia il mio cane”,
nella nebbia quotidiana è di conforto che rimanga la siepe, i due peschi i due meli e anche il cipresso. Sono segni solo in apparenza “normali”, sono autentici per l’uomo che vuole essere tale.
NOTA: testo, rivisto dall’Autore, della conferenza tenuta a Brescia il 25.11.1994 su invito della Cooperativa Cattolico-democratica di Cultura.