Università Cattolica di Brescia – sabato 27 ottobre 2018
Convegno in onore del beato Teresio Olivelli[1]
Intervento di Anselmo Palini per la presentazione del proprio libro
Teresio Olivelli. Ribelle per amore – Ave, Roma settembre 2018, pp.320
Il filo rosso che unisce i miei lavori: la memoria del bene
Permettetemi di iniziare illustrando il filo rosso che collega tutti i miei lavori, ossia la “memoria del bene”.
È doveroso, come ha chiesto a gran voce Primo Levi nella lirica Se questo è un uomo, fare memoria del male affinché questo non si ripeta più. È però altrettanto doveroso fare anche memoria del bene, ossia riproporre le scelte e il pensiero di quanti, di fronte al male, si sono alzati in piedi e hanno ad alta voce manifestato il proprio desiderio di pace e di giustizia; è importante ricordare coloro che hanno anteposto il primato della coscienza, la fedeltà ai valori della pace e della libertà, perfino alla propria sopravvivenza.
Queste persone hanno trasmesso il fiore rosso della testimonianza, come ha scritto Paolo Giuntella in un libro intitolato proprio “Il fiore rosso”: non è stata la forza dei templi, la potenza delle istituzioni umane, ad assicurare all’umanità il suo avvenire, bensì il passaggio del tizzone ardente della testimonianza di generazione in generazione, attraverso un grande movimento biografico, cioè attraverso storie di uomini e di donne ben concreti. A titolo di esempio possiamo ricordare il contadino austriaco Franz Jagerstatter che si rifiutò di vestire la divisa dell’esercito tedesco al seguito di Hitler, come pure il giovane bolzanino Josef Mayr Nusser, o i ragazzi della Rosa Bianca che a Monaco di Baviera osarono sfidare il nazismo con la forza della parola diffondendo dei volantini, o Marianella Garcia Villas che si oppose alla brutalità della dittatura militare in El Salvador con la forza del diritto. E poi Etty Hillesum, Edith Stein, Dietrich Bonhoeffer, Pavel Florenskij, Jerzy Popieluszko, Odoardo Focherini, Oscar Romero, tutti testimoni di pace e di giustizia che ho trattato nei miei libri.
Fare memoria del bene è fare memoria di queste figure luminose, di questi Giusti, che, negli anni delle guerre e dei totalitarismi, degli squadroni della morte e delle camere di tortura, hanno difeso la dignità umana e dimostrato che un’altra strada era ed è possibile: alla logica delle armi e della distruzione poteva e può essere sostituita quella del confronto, del dialogo, della tolleranza, della comprensione, della solidarietà, della nonviolenza.
Questo nuovo approccio alla storia sta prendendo piede anche nella scuola, come testimonia il protocollo d’Intesa firmato il 22 marzo 2018 dal Ministero della Pubblica Istruzione (Miur) e da Gariwo onlus-Comitato la Foresta dei Giusti “per la diffusione della conoscenza dei Giusti e della memoria del bene”.
In questo lungo percorso sulla memoria del bene si inserisce questa mia nuova pubblicazione su Teresio Olivelli.
Perché un nuovo libro su Teresio Olivelli?
La vicenda biografica di Teresio Olivelli è ormai al centro di numerose pubblicazioni. Eppure vi sono degli aspetti della sua vita e delle sue scelte che non sono stati sufficientemente chiariti o esplorati. In alcuni casi sono stati anzi sottovalutati o addirittura taciuti. Si tratta, in particolare, da un lato del periodo in cui è entrato fin nel cuore del regime fascista, dall’altro della stagione che ha visto la sua attiva partecipazione alla Resistenza con le Fiamme Verdi.
Anche la sua scelta di andare volontario in Russia come alpino non è stata sufficientemente approfondita, sia nelle implicazioni di carattere morale e religioso che comportava il prendere le armi, sia nell’adesione al folle progetto politico-militare avviato dal regime fascista con il sostegno della monarchia e in alleanza con la Germania di Hitler.
Ci sono così testi che sottolineano solamente il momento finale della sua vita, il martirio, e altri invece, pochi in realtà, che cristallizzano la vicenda di Olivelli agli anni in cui si è immerso nel fascismo, senza tener conto del successivo sviluppo della sua vita e delle sue scelte.
O ancora testi che si concentrano solamente sul suo essere stato alpino e altri che dimenticano la sua ribellione per amore e la fase resistenziale.
Con il presente libro intendo offrire un contributo per far conoscere, nella sua completezza e complessità, senza reticenze, una persona che ha concluso la propria vita con la totale offerta di sé nel famigerato lager tedesco di Hersbruck e che la Chiesa ha innalzato agli onori dell’altare con la beatificazione avvenuta a Vigevano il 3 febbraio 2018. Sarebbe, infatti, far torto alla statura assoluta di questo giovane resistente presentarlo prescindendo dal contesto storico in cui visse, oppure illustrarne la figura parlando di conversione “alla san Paolo”, senza indagare i fattori che lo portarono progressivamente ad allontanarsi dal fascismo per abbracciare la causa della Resistenza, fino al sacrificio supremo.
Il tutto viene proposto in termini divulgativi, in quanto non ci si vuole rivolgere solamente agli specialisti o agli addetti ai lavori. La narrazione intende, tuttavia, essere rigorosa nella ricostruzione storica e nei riferimenti bibliografici.
Possiamo sempre scegliere
Parallelamente alla vicenda di Olivelli, nel testo si fa spesso riferimento alle scelte, nettamente opposte, che negli stessi anni altri giovani della sua età compivano rispetto alle stesse problematiche e alle medesime sfide. Questo accostamento vuole ricordare che tutti noi possediamo una prerogativa che nessuno ci può togliere: quella di dire “no, non sono d’accordo, non posso essere complice”. Questo è il potere che ciascuno ha nei confronti di se stesso, l’unica possibilità che anche il più impotente di noi possiede e di cui nessuno potrà mai privarci. Nel nostro piccolo, possiamo sempre lasciare una traccia in un’altra direzione, oppure fare finta di niente e rimanere passivi. Possiamo ascoltare la voce della coscienza oppure tacitarla e rimanere indifferenti. Alcuni giovani, della stessa età di Olivelli, immersi nel medesimo contesto storico, hanno compreso da subito quale fosse la strada giusta da seguire e l’hanno percorsa con coraggio e determinazione. Olivelli ha impiegato più tempo, ma alla fine ha offerto tutto se stesso, immolandosi per i suoi compagni di prigionia nel lager di Hersbruck.
I giovani della “generazione Mussolini”
Quanti, sin da piccoli, sono cresciuti in un sistema totalitario, hanno subìto un costante e pesante condizionamento ideologico: nella scuola, nel tempo libero, sul lavoro. La stampa, la cultura, la radio, l’arte, lo sport, il cinema sono stati gli strumenti utilizzati dai vari regimi per diffondere il proprio verbo. Accanto a ciò non va dimenticata l’opera di repressione che nei sistemi totalitari ha colpito tutti coloro che, in qualche modo, osavano mettere in discussione i pilastri ideologici del totalitarismo al potere. La fabbrica del consenso, funzionando a pieno ritmo e mettendo a tacere ogni voce critica, ha creato ampie masse di ubbidienti esecutori degli ordini e significativi gruppi di fanatici servitori dell’ideologia dominante.
Questo è accaduto anche in Italia nel ventennio fascista. Intere generazioni sono cresciute in un ambiente intriso di fascismo e sono state educate secondo i dettami di tale ideologia. Molti non sono stati in grado di elaborare un’idea diversa e negli anni della loro formazione non hanno mai potuto ascoltare autorevoli voci critiche, per cui hanno abbracciato quanto veniva loro proposto come “verità indiscussa”.
Questi giovani non furono certamente aiutati ad orientarsi o a elaborare criticamente una propria visione della realtà. Il mondo della scuola e della cultura in buona parte si piegò alle esigenze del regime. Le nuove generazioni non trovarono così sulla loro strada dei maestri autorevoli, ma solo dei chierici del regime oppure persone che, per non avere problemi e vivere tranquillamente, mostravano indifferenza rispetto a quanto accadeva. Ha scritto Edoardo Malagoli ricordando la propria giovinezza negli anni del fascismo:
«Se ci riportiamo con la memoria a rivedere le possibilità latenti di un aiuto vicino, dobbiamo rilevare che, oltre alle generiche ribellioni e ad una certa inquietudine generale, nulla ci è stato offerto. Non si vuole accusare nessuno, ma solo riconoscere il terreno di solitudine sprovveduta in cui sono maturate le nostre ansie» .
Tra i tanti giovani cresciuti negli anni del fascismo, si pone certamente anche Teresio Olivelli.
Alcuni termini ci possono aiutare a capire la complessa figura di Teresio Olivelli.
La sua “ribellione per amore” è avvenuta dopo un viaggio fin nel cuore del fascismo: Olivelli è stato littore nel 1939, ha scritto su diverse riviste fasciste, ha partecipato a Berlino a dei corsi sul nazionalsocialismo, è stato relatore a convegni e incontri organizzati dalla Gioventù Universitaria Fascista o da istituzioni culturali del regime, ha assunto incarichi in organismi del regime. In tali anni la cifra del suo impegno può essere sintetizzata in una parola utilizzata anche da alcuni suoi biografi, come Alberto Caracciolo: ulissismo.
Ciò sta ad indicare la sua esigenza di essere al centro degli eventi, sempre in attività, pronto in ogni momento a dare il proprio contributo. Questa era per lui un’esigenza anche fisica, come dimostra il suo amore per svariate discipline sportive e la sua pratica delle attività agonistiche che richiedevano maggiore sforzo. Pur essendosi laureato con il massimo dei voti e pur avendo occupato, ancora giovanissimo, la carica di assistente di Diritto Amministrativo all’Università di Torino, Olivelli non era uno spirito speculativo, non era uno studioso, un teorico. Era una persona che si sentiva chiamata all’azione. E ciò è quanto chiedeva il fascismo ai giovani di quel tempo. A livello culturale e politico, certamente con una grande dose di ingenuità, riteneva di poter orientare in senso “più cristiano” gli avvenimenti del suo tempo e anche “il farsi del fascismo”, verso cui comunque sentiva una certa affinità per il comune anticomunismo, per la critica allo stile di vita borghese, per i richiami ai problemi sociali, per l’esortazione all’azione individuale e alla disponibilità al sacrificio.
Decide di partire volontario per il fronte russo. E’ per lui un imperativo della coscienza, il bisogno di condividere la sorte del popolo di cui fa parte. Dalla guerra può uscire una nuova e più organica organizzazione dell’Europa. La guerra idealizzata, vista come necessità per dare un futuro di giustizia e pace al mondo, ben presto comincia ad apparire a Teresio Olivelli attraverso il volto delle popolazioni civili, sfinite dalla fame e dalle privazioni, terrorizzate da quanto accade nel loro Paese, prive di speranza per il futuro. Il contatto diretto con la drammaticità e assurdità della guerra costringe Olivelli lentamente a ripensare il suo ottimismo iniziale. E, soprattutto, durante la ritirata, Olivelli è sempre accanto ai feriti e a chi ha più bisogno. Conforta, sostiene, aiuta, medica.
L’Olivelli che torna dalla Russia non è più quello che era partito. Avere constatato di persona l’assurdità di una guerra voluta dal regime, avere visto i propri compagni, mandati allo sbaraglio, bruciare senza un perché la propria vita in terra straniera, lo allontana definitivamente dal fascismo. Anche altri reduci dall’allucinante esperienza della campagna di Russia taglieranno del tutto i ponti con il regime e diventeranno protagonisti della Resistenza.
Tornato dal fronte russo, dopo l’8 settembre 1943 viene arrestato e destinato al lager in quanto si rifiuta di arruolarsi tra le truppe nazifasciste. Al terzo tentativo di fuga, riesce ad evadere da un campo in Austria e ritornare in Italia.
Da subito si attiva nella Resistenza contro l’occupante tedesco e i fascisti della Repubblica Sociale di Salò. Questa sua scelta di “ribellione per amore” può essere compresa facendo anche qui riferimento ad un termine: incontro. È stato infatti grazie soprattutto agli incontri bresciani e milanesi che ciò è potuto avvenire: il confronto e il dialogo con le Fiamme Verdi bresciane e con gli Oratoriani della Pace da un lato, e quello con i resistenti milanesi e i compagni di prigionia dall’altro, hanno permesso a Olivelli di chiudere nettamente con le proprie precedenti posizioni e di impegnarsi a fondo nella Resistenza contro il nazifascismo.
Padre Manziana e don Giuseppe Tedeschi, Astolfo Lunardi e Ermanno Margheriti, Giacomo Perlasca e Mario Bettinzoli, Claudio Sartori e Romero Crippa, Romolo Ragnoli e don Carlo Comensoli, la famiglia Rinaldini e Alberto Caracciolo, Enzo e Rolando Petrini, Gian Andrea Trebeschi e Lionello Levi Sandri, Laura Bianchini e il giovane Attilio Franchi e molti altri ancora, sono le persone che a Brescia incontrano Olivelli e che l’aiutano a tagliare del tutto i ponti con il passato e diventare un punto di riferimento della Resistenza cattolica.
E poi a Milano, gli incontri con Carlo Bianchi, don Paolo Liggeri, don Giovanni Barbareschi, che ci ha appena lasciato, con David Maria Turoldo, Camillo De Piaz, Mario Apollonio, Luigi Masini, Franco Rovida.
La vicenda biografica di Olivelli probabilmente sarebbe stata diversa senza questi incontri.
Grazie a queste persone Olivelli è diventato “ribelle per amore”. Ecco il terzo termine che lo definisce. Ribelle, ma per amore.
Entra nelle Fiamme Verdi e diviene ben presto un punto di riferimento, incaricato di tenere i contatti tra i gruppi milanesi, quelli bresciani e quelli cremonesi.
Olivelli inizia un pericoloso pendolarismo per le strade della Lombardia, controllate dalle truppe nazifasciste. A Brescia partecipa ad incontri organizzativi presso l’Oratorio della Pace, oppure a Palazzo S. Paolo, sede dell’Azione Cattolica, o anche nella parrocchia di S. Faustino e, talvolta, in ambienti della stessa curia. A Cremona è ospitato al convento degli Agostiniani o al collegio degli Sfrondati.
Teresio Olivelli non partecipa ad azioni militari, non usa armi, solamente in qualche caso ne trasporta alcune da consegnare alle formazioni partigiane; il suo incarico principale è quello di tenere i collegamenti fra i vari gruppi. Le idee e la parola sono ormai le sue sole armi. Ed ecco la stampa clandestina.
Su iniziativa di Teresio Olivelli, Carlo Bianchi e Claudio Sartori, il 5 marzo 1944 esce il primo numero de «il ribelle», ideale continuazione di «Brescia libera», ma più completo e leggibile in quanto non ciclostilato ma stampato. Viene preparato a Milano, dove si sono rifugiati molti esponenti bresciani delle Fiamme Verdi. Riprende il motto che era stato di «Brescia libera»: “Esce come e quando può”. Accanto alla testata una frase del poeta e drammaturgo tedesco Christian Friedrich Hebbel: «Nell’inferno della vita entra solo la parte più nobile dell’umanità, gli altri stanno sulla soglia e si scaldano». Dall’altra parte della testata poche parole che indicano i doveri cui ci si sente chiamati: «Insorgere per risorgere» e «Convivere per vivere». Il primo numero del giornale è tutto dedicato alle figure di Astolfo Lunardi e di Ermanno Margheriti, fucilati da poco. L’articolo centrale è di Teresio Olivelli e si tratta di un commosso ricordo di Astolfo Lunardi.
Dal confronto con i suoi compagni di lotta nasce la Preghiera del ribelle, che abbiano già sentito, una preghiera per quanti erano impegnati nella clandestinità, sulle montagne, lontano dai propri cari.
Signore facci liberi
(La Preghiera del Ribelle)
Signore, che fra gli uomini drizzasti la Tua Croce, segno di contraddizione,
che predicasti e soffristi la rivolta dello spirito
contro le perfidie e gli interessi dei dominanti,
la sordità inerte della massa,
a noi, oppressi da un giogo numeroso e crudele
che in noi e prima di noi ha calpestato Te, fonte di libere vite,
dà la forza della ribellione.//
Dio, che sei Verità e Libertà, facci liberi ed intensi;
alita nel nostro proposito, tendi la nostra volontà,
moltiplica le nostre forze, vestici della Tua armatura.//
Noi ti preghiamo, Signore;
Tu che fosti respinto, vituperato, tradito, perseguitato, crocifisso,
nell’ora delle tenebre ci sostenti la Tua vittoria:
sii nell’indigenza viatico, nel pericolo sostegno, conforto nell’amarezza.//
Quanto più s’addensa e incupisce l’avversario, facci limpidi e diritti.
Nella tortura serra le nostre labbra.
Spezzaci, non lasciarci piegare.//
Se cadremo, fa’ che il nostro sangue si unisca al Tuo innocente
e a quello dei nostri Morti, a crescere al mondo giustizia e carità.//
Tu che dicesti: «Io sono la resurrezione e la vita»,
rendi nel dolore all’Italia una vita generosa e severa.
Liberaci dalla tentazione degli affetti: veglia Tu sulle nostre famiglie!//
Sui monti ventosi e nelle catacombe delle città,
dal fondo delle prigioni, noi Ti preghiamo:
sia in noi la pace che Tu solo sai dare.//
Dio della pace e degli eserciti,
Signore che porti la spada e la gioia,
ascolta la preghiera di noi,
ribelli per amore.
Quella prospettata da Olivelli è una ribellione animata non dall’odio, ma dall’amore per la libertà, come ha ben messo in risalto anche un altro protagonista di tali anni, il bresciano Franco Salvi, cresciuto all’Oratorio della Pace e attivo in particolare proprio nella diffusione della stampa clandestina prima con «Brescia Libera» poi con «il ribelle»:
Chiunque con obiettività voglia indagare che cosa fu il Movimento della Resistenza, che cosa esso abbia rappresentato nella vita del popolo italiano, non può che convenire che il periodo ’43-’45 non rappresentò tanto e non solo un triste periodo per la lotta civile che insanguinò la nostra terra, ma rappresentò soprattutto un fatto morale, uno shock che maturò molte coscienze e ripresentò vivi e affascinanti certi valori che forse erano andati perdendo la loro luce nel grigiore apatico di una vita non libera, nella codarda acquiescenza delle coscienze all’arbitrio del più forte. Se l’odio, la viltà, la violenza avessero sostenuto l’attività di coloro che si schierarono dalla parte della Resistenza, meglio sarebbe dimenticare quel periodo e lasciare che passi alla storia così, con la semplice definizione di guerra civile. Ma far ciò sarebbe veramente falsare la storia.
Ecco la testimonianza di una giovane staffetta partigiana, la comasca Bice Tibiletti, quando arrivò tra le loro mani la Preghiera del Ribelle.
Nell’ora più buia, quando ancora altro non si poteva fare se
non tacere ed attendere, corse da mano a mano, distribuito
non si sapeva da chi, un umile fogliettino grigio segnato
da una croce. Portava una preghiera e, misteriosamente,
emanava una luce, una luce consolatrice. Per molti di noi
divenne viatico di forza e i cuori vi attinsero ogni giorno la
certezza che il silenzio e l’attesa non erano inerzia, che v’era
nell’ombra chi, lavorando, pregando, sacrificandosi, prepara-va con ardore purissimo la risurrezione. Non si seppe e non ci si chiese neppure allora chi l’avesse composta; la si accolse con la freschezza di spirito con cui le popolazioni medioevali contemplavano le loro cattedrali e ascoltavano le strofe delle loro canzoni di gesta. E strofa di un’epopea più meravigliosa di quante il Medioevo conobbe è veramente questa preghiera;anzi, non strofa, ma sintesi suprema, sgorgata non dalla fantasia di un trovero, ma dal cuore dell’eroe stesso che le gesta non canta, ma vuole vivere e vive. Oggi sappiamo chi fosse l’eroe e proviamo una commozione infinita.
Una volta arrestato, Olivelli ha proseguito nella sua ribellione per amore, ribellione ai soprusi, alle angherie e alle brutalità nei lager in cui è stato detenuto: in tali gironi infernali si è attivato continuamente per difendere i propri compagni di prigionia e per alleviare le loro drammatiche sofferenze, operando sempre senza essere animato dall’odio e dal risentimento, ma appunto dall’amore. Ma anche qui con accanto compagni di prigionia eccezionali. Sentiamo quanto scrive don Paolo Liggeri dopo essere entrato nella cella di San Vittore e il testamento spirituale redatto da Teresio Olivelli a Fossoli quando era certo che sarebbe stato fucilato, cosa che poi non avvenne.
Una mattina ho salito le scale del primo raggio e sono entrato
in una cella qualunque. Quattro giovani sorridenti
mi hanno accolto: Olivelli, Bianchi, Petrini, Rovida. Pochi
minuti mi sono bastati per comprendere che quella non è
davvero una cella qualunque. C’è qualcosa di indefinibile in
quella cella, qualcosa di soprannaturale, di mistico, che improvvisamente
mi ha dato la sensazione di essere penetrato
in un piccolo tempio sconosciuto. Su una parete era stata
riprodotta la testata de «il ribelle», sotto un crocifisso e tutto intorno una preghiera che aveva il profumo dell’entusiasmo eroico dei primi cristiani.
E c’era luce in quella cella, una luce che non aveva nulla a che fare con quella pallida e triste che pioveva dai lucernai, che emanava dall’anima limpidamente cristiana dei quattro giovani e si diffondeva coll’acceso sfavillio dei loro sguardi. Sono tornato più volte in quella cella.
Sono per me momenti di serenità e di intimo gaudio.
Durante la giornata studiano i quattro giovani, meditano, conversano, discutono. A poco a poco la loro cella assume l’aspetto di un animato convegno dove adulti e giovanissimi, sempre animati da Olivelli, scambiano idee, fondano propositi, desideri, sogni per una rivoluzione cristiana del domani. Poi si pregava, lo sguardo rivolto al piccolo crocifisso disegnato sulla parete o anelante attraverso le sbarre massicce del lucernario, in cerca di uno squarcio di luce.
Mirabile fascino della preghiera!
Volti incupiti si rischiaravano, l’anima si inondava
di una soavità celeste che ti faceva sorridere anche alla morte
sempre in agguato.
Il testamento spirituale scritto a Fossoli
Mamma, quanto amata!
Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il Signore!
E gloria sia a Lui nell’alto dei cieli e pace, quella pace che ricolma il mio spirito, sulla terra, a voi straziati e credenti e a tutti gli uomini di buona volontà.
Scoperto, quanto più vicino speravo il giorno di rivedervi.
Di gran cuore perdono a tutti coloro che mi fecero del male ed auguro loro ogni bene, soprattutto che conoscano Lui e il Suo Amore.
Se a qualcuno fossi dispiaciuto o avessi nociuto, chiedo perdono.
Mossi impetuosa la vita. Sugli abissi mi librò il Signore: dolcemente. Ho consumato il mio corso, ho conservato la fede, ho combattuto la buona battaglia.
Se qualche incremento al Regno di Dio è venuto o verrà per opera mia, la mia gioia sarà completa.
Credete fortemente, sostenetevi fortemente, operate fortemente.
La misericordia e la consolazione di Dio siano con voi.
Avevo promesso al Signore che nessuna ostilità o diffidenza verso parenti e vicini avreste conservato. Per amore di Lui e di me portate in queste case la Pace.
I miei risparmi, se non ne avete bisogno, ai poveri di Pavia, Mortara e Tremezzo.
Che Carlettore si sposi e vi dia la gioia di sentirvi crescere intorno nuova vita.
I miei pochi libri agli amici più cari che tanto conforto d’amicizia mi profusero. Li conservino.
Al Ghislieri diletto, un Cristo su tela.
L’ultimo termine utile a definire la vicenda biografica di Olivelli, nei mesi di prigionia, è quello di immolazione.
Nel carcere di San Vittore, a Fossoli, nel lager di Bolzano Gries, in quello di Flossenburg e infine a Hersbruck, Olivelli si rende conto che non è più chiamato a tentare la fuga. Ora il suo posto è accanto ai suoi compagni di prigionia: accanto ai malati, ai moribondi, a quanti sono sfiniti psicologicamente, a quelli che non reggono più il peso di quella situazione. Aiuta tutti coloro che ne hanno bisogno, anche a rischio della propria incolumità. Spesso infatti subisce violente punizioni per avere preso le difese dei propri compagni o per avere richiesto un po’ più di cibo o coperte per tutti i prigionieri.
Olivelli è finalmente in pace con se stesso. Il suo posto non è più sulle montagne o tra i gruppi partigiani che operano nelle città, in una frenetica attività di propaganda e di collegamento. Ora è in un luogo di male assoluto e di dolore estremo, piegato su quanti stanno morendo senza nessuno vicino. In queste persone vede il volto di Cristo e nel servizio a loro il senso ultimo della propria vita.
Olivelli è ora pienamente un “uomo per gli altri”, per usare un’immagine cara al grande martire di Flossenbürg, Dietrich Bonhoeffer . Il Dio di Gesù Cristo ora è pienamente anche per Olivelli, come lo era per Bonhoeffer, il Dio dell’essere “per gli altri”, che cammina sulle strade degli uomini, che aiuta e serve, che condivide, che si schiera con i perseguitati e con gli oltraggiati. Il Dio, dunque, che di fronte alle aberrazioni della storia non può non schierarsi dalla parte delle vittime. Il 31 dicembre, in un’ultima, estrema, ribellione per amore, mentre tenta di difendere un giovane picchiato ferocemente da un kapò, Olivelli riceve un bestiale calcio allo stomaco. Sul suo corpo martoriato, questa ennesima violenza produce un effetto devastante. Trasportato in infermeria, vi trascorre due settimane in agonia. Muore nella notte fra il 16 e il 17 gennaio 1945. Aveva solo 29 anni. Olivelli, ha scritto Mario Apollonio, è ora «in fuga verso la salvezza sicura. (…). Così si congeda il servo fedele. Ma è dei santi che la morte sia testimonianza della vita; ed è cosa che oltrepassa la storia»[2].
E’ l’immolazione definitiva, il sacrificio supremo. Olivelli ha così compiuto pienamente il senso della propria vita.
Nella notte delle dittature e dei totalitarismi ci sono stati coloro che uccisero, ma pure coloro che, come Olivelli, seppero morire. Ha scritto al riguardo François Mauriac:
Non aspettavamo Hitler e i nazisti per sapere che l’uomo non è nato innocente, che il male è in lui e che la natura è vulnerata. Ma un eroe e un santo sussistono in germe nel segreto dei nostri miserabili cuori. Dipende da noi che i martiri non siano stati torturati invano. Dipende da noi non isolare questa folla che, ben lontana dal gridare vendetta, a noi grida senza tregua le parole che il primo tra loro, il figlio di David, ci insegnò sulla montagna: “Beati i mansueti, perché questi possederanno la terra. Beati coloro che piangono, perché questi saranno consolati. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché questi saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché questi troveranno misericordia. Beati quelli che soffrono persecuzione per amore della giustizia”…»[3].
Teresio Olivelli con il sacrificio della propria vita, con la sua ribellione per amore anche nell’inferno del lager, è entrato a pieno titolo in questa moltitudine di martiri che senza tregua ci pone davanti il Discorso della Montagna come unica strada per uscire dalla follia della guerra e dell’odio.
Anselmo Palini,
Teresio Olivelli. Ribelle per amore,
editrice Ave, Roma settembre 2018, pp. 320
[1] Convegno promosso dall’Associazione “Fiamme Verdi” di Brescia, dalla Federazione Italiana Volontari della Libertà, dall’Archivio storico della Resistenza bresciana e dell’Età contemporanea dell’Università Cattolica e dalla Cooperativa Cattolico-Democratica di Cultura.
[2] M. Apollonio, Teresio Olivelli, p. 34.
[3] François Mauriac, Prefazione a L. Poliakov, Il nazismo e lo sterminio degli ebrei, p. 11.